Un piccolo omaggio alla figura
di Luca Vuerich
di
Gabriele Villa
Se avete letto l'articolo in "Rassegna
Stampa" sapete già qualcosa di Luca Vuerich.
Noi abbiamo voluto andare al di là del
titolo, forse un poco retorico, assegnato all'alpinista (il "Mago" del
ghiaccio) che ne coglie una caratteristica tecnica specifica senza
entrare più di tanto nella comprensione della persona e nella conoscenza
dell'uomo.
Così, seguendo le indicazioni di Carlo
Caccia su intotherocks [vedi
LUCA VUERICH (1975-2010)] siamo andati a visitare il sito
dell'alpinista tarvisiano e, tratte da questo, vi proponiamo alcune
pagine che aiutano a capirne la grande passione per la montagna e
l'alpinismo, oltre alla semplicità e modestia della persona.
Un piccolo omaggio di intraigiarùn
ad un alpinista "autentico".
Questa è la semplice e spontanea
presentazione che ha fatto di sé Luca Vuerich.
Senza ombra di dubbio l’amore per la
montagna ha radici nella mia famiglia.
Ho la fortuna di essere cresciuto a Tarvisio, un piccolo paese di
montagna e quindi a me bastava aprire la porta di casa o guardare dalla
finestra per vedere la natura.
Mio padre, grande appassionato di alpinismo e di viaggi, mi ha fatto
conoscere questo mondo già da piccolo.
Le domeniche passate tra i monti per gioco per me cominciarono a
diventare sempre più frequenti, le cime sempre diverse e le gite sempre
più impegnative.
A nove anni avevo già salito tutte le cime del
Tarvisiano per ferrate e sentieri e volevo sempre qualcosa di più,
qualche nuova meta.
Ricordo quando in quarta elementare ho portato una foto del
Grossglockner (3798 m) che avevo salito assieme a mio padre pochi giorni
prima e nessuno dei miei compagni credeva alla mia salita...
Ma per me non c’è stato solo la montagna, anche perché a Tarvisio
bisogna convivere con la neve per quasi 6 mesi all’anno, e così l’altra
mia grande passione è lo sci, prima sui campetti poi a livello
agonistico fino a 16 anni per poi dirottare tutto sullo sci alpinismo.
Ricordo ancora i miei primi bellissimi Head Alpinist con attacchi
Tyrolia che mi hanno aperto un nuovo mondo.
Così assieme ad un mio coetaneo cominciai ad arrampicare in falesia e a
sognare le salite sulle grandi pareti che si vedevano da casa o si
trovavano sfogliando libri di montagna.
Le vie di Ignazio Piussi, Enzo Cozzolino, Emilio Comici presto mi
diventarono familiari e così a 17 anni avevo già salito le vie più
impegnative delle Giulie.
Una tappa fondamentale e una fortuna per me è stato conoscere Romano
Benet e Nives Meroi, che nel 93 non avevano ancora salito nessun 8mila,
ma erano i più forti alpinisti della zona.
Ci siamo conosciuti durante una festa su un monte e la cosa che mi stupì
era che già mi conoscevano, sapevano che salite avevo fatto e ci
proposero di andare in Dolomiti con loro il giorno dopo.
Quella notte non riuscii a chiudere occhio. Alle 3.00 Romano passò a
prendermi, Nives dormicchiava seduta vicino a lui, Maxi era seduto
accanto a me e dalla sua faccia anche lui non aveva dormito... Si andava
in Dolomiti!
La via scelta per noi giovani da Romano era la Costantini Apollonio
sulla Tofana di Rozes: dopo aver letto la relazione, preoccupato chiesi
a Romano: "Ma ce la facciamo?"
E lui rispose semplicemente - "Se avete salito il diedro Cozzolino
potete salire tutto..."
E da quei giorni in poi per me cominciò una grande amicizia e una scuola
che mi ha portato a salire le vie più difficili delle Alpi e le cime più
alte del mondo...
Questi alcuni dei suoi sintetici, ma originali diari di spedizione.
Un concentrato di sensazioni e di sincera modestia, mescolate ad una
sconfinata passione.
Nanga Parbat (1998)
A 22 anni si hanno tanta grinta, energia e voglia di strafare e in quel
periodo non mi sono lasciato sfuggire la magnifica occasione di salire
una cima di 8000 metri ed ho avuto la fortuna di affrontare questa
difficile parete assieme a persone veramente preparate e con esperienza
himalayana, e anche grazie a questo sono ancora qua a raccontarlo..
Purtroppo nel periodo che precedeva la salita alla cima mi sono ammalato
ed ho passato cinque giorni con febbre e problemi intestinali, nessun
problema...
Il giorno prima della partenza mi sono imbottito di medicinali e assieme
a Maxi sono partito per tentare la cima.
Arrivato al campo 4 a 7500 metri dopo quattro giorni di arrampicata il mio
fisico ha detto basta e per fortuna che con me al campo c’erano Maxi
Stoffie, Fabio Agostinis, Romano Benet e Nives Meroi che con la
supervisione del medico Leonardo Pagani mi hanno assistito e
letteralmente trascinato al campo base.
Per Romano e Nives quello fu il primo ottomila, a me costò quasi la vita
e 12 kg di peso...
L’inesperienza e la voglia di salire mi hanno giocato
un brutto scherzo e così ho imparato a mie spese che se vuoi salire una
cima di 8000 metri devi essere al 100% della forma fisica.
Gasherbroum 2 - Parete Nord (2000)
Nel 1998 al Nanga Parbat con noi c’era anche Kurt Diemberger, leggenda
vivente dell’alpinismo che durante i giorni di permanenza ci raccontò
della spettacolare ed inviolata parete nord del Gasherbroum 2.
Quei discorsi hanno girato per un anno nelle nostre teste e così
nell’estate del 2000 partimmo in otto di Tarvisio per tentare questa parete
ed esplorare queste zone.
Il viaggio durò quasi tre mesi, un’autentica avventura in uno dei posti
più belli che io abbia mai visto.
Dal Pakistan attraverso la Karakorum Highway, fino in Cina per poi
lasciare i mezzi e proseguire a piedi e per valli abitate solo da
pastori.
Otto giorni di avvicinamento al ghiacciaio e poi i cammelli che
portavano i nostri bagagli necessari per 40 giorni di scalata sono
tornati indietro e così nel totale isolamento è cominciata la nostra
avventura.
Trasporto dei carichi per 30 km, poi il tentativo di salita interrotto a
6500 metri a causa del brutto tempo, le esplorazioni dei ghiacciai e la
salita di quattro cime alte fino 6600 metri.
Anche senza l’arrivo in vetta questa è una delle mie più belle avventure
sulle alte montagne, l’avventura, l’amicizia e il sapore del completo
isolamento hanno lasciato in me un ricordo che non potrò mai
dimenticare.
Lhotse (2004)
Quasi
cinque mesi di spedizione senza tornare a casa, prima al Lhotse e poi
direttamente in Cina per tentare la salite del K2 dal suo versante Nord.
Per me questa è stata la prima spedizione in Nepal ed è stato subito
amore, la spiritualità che quasi si respira, la cordialità della gente,
la bellezza di queste montagne è una cosa indescrivibile.
Come sempre Romano e Nives, poi Walter e Marina e il mio migliore amico,
Alessandro Di Lenardo.
La prima volta che ho visto il Lhotse dal vivo ho pensato "Non ce la
farò mai..."
Era enorme, venti fortissimi battevano la cima e trascinavano le nuvole
in una maniera che mi fece quasi paura: avevo paura, paura di non
farcela, di non essere all’altezza... 8517 metri, la quarta montagna più
alta del mondo, considerata molto impegnativa; meno di 200 salite dal
1955 a questa parte. Campo base in comune con quello dell’Everest:
commerciali, sherpa e tanta gente.
Circa 400 persone e solo 30 per la
nostra montagna che ha in comune la via di salita fino a 7600 metri.
14 maggio. Raggiungiamo direttamente il campo 2 a 6400 metri ed il
giorno 15 saliamo a 7800 metri al nostro campo 2: la nostra tecnica è di
saltare campi per passare meno tempo in quota e funziona bene perché il
giorno 16 raggiungiamo la cima.
Mi sembra di sognare, seduto sulla cima guardo la cima dell’Everest li
davanti a me, mi sembra di toccarla...
Chissà, forse un giorno...
Per altre notizie e approfondimenti
www.lucavuerich.it
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