Pazza odissea sulla Torre Trieste
di
Cristiano Pastorello
Ormai sono otto anni che arrampico in montagna (a
parte questa stagione saltata per una lussazione alla spalla destra) e qualche
avventura l'ho pure vissuta, come un bivacco non preventivato sul Philipp in
Civetta sotto l'acqua o un rientro a cinque tiri dalla fine di Tempi Moderni
lungo la stessa via perchè, sempre a causa della pioggia, non trovavamo le
doppie di Olimpo. Le altre salite erano sempre farcite delle sane emozioni
che accompagnano una grande via dolomitica, tuttavia mantenevano una certa
costante di normalità, di rischio calcolato, cosa che ogni sano alpinista
dovrebbe considerare come una fortuna e senso di autoconservazione.
Tutto
questo è cambiato da quando ho cominciato ad arrampicare con due fratelli
della provincia di Padova, che sembrano la fotocopia dei fratelli Remy che
chiamerò Balota e Balotin e un piccolo biondo triestino che chiamerò
Maxi.
Abbiamo inaugurato questa accozzaglia del nord – est (io Veronese,
due Padovani e un Triestino), con la Biasin al Sass Maor ed è stato
subito una salita col botto visto che abbiamo sbagliato attacco, poi
abbiamo beccato il raccordo Bettega a metà parete pensando fosse ancora
uno dei tiri iniziali (bestemmiando contro 'sti quarti durissimi) e siamo
finiti ignari sulla Castiglioni, intuendo che c’era qualcosa che non
andava solo quando, secondo la relazione, dovevamo essere a metà ed invece
eravamo in cima. Comunque un po’ alla volta ci siamo rodati, ma sempre
senza perdere quel fare “sbarazzino” che contraddistingue le nostre
salite, inoltre abbiamo sempre avuto un rapporto quasi idiosincratico con
le relazioni (soprattutto del Furlani, ma questa è un’altra storia).
Un weekend di fine maggio 2004, fatto il solito
giro di telefonate e radunati i quattro moschettieri, partiamo per il
Vazzoler in Civetta con l’intenzione di fare una vietta tranquilla il
sabato e la Carlesso alla Trieste domenica.
Già salendo lungo la Val Corpassa mi chiedevo se avevamo ragione noi, quattro ragazzi di età
compresa tra i 23 e 26 anni, ad andar a far fatica su per le crode, oppure
avevano ragione gli occupanti delle auto con i vetri appannati e imboscate
nelle piazzole prima di capanna Trieste … poi sono arrivato alla
conclusione che il Top era avere l’uno e l’altro. Il sabato ci siamo svegliati con una giornata
uggiosa, cosa facciamo? Le vie semplici che io avevo proposto (Soldà alla
Babele per esempio) il Balota le boccia tutte e mi viene a proporre la Nardella
alla Venezia.
Leggiamo la relazione di Padovan … molti chiodi, possibilità
di provare in libera l’artificiale … ok andiamo.
Inutile dire che è
stata un’agonia con tiri che non c’erano in relazione, era scritto a sinistra e bisognava andare a
destra, artificiale su chiodi ad “impressione”,
ecc … Siamo tornati al Vazzoler cotti e sarà stata la contentezza di aver
portato a casa la pelle che ci siamo bevuti tutte e due le bottiglie di
vino da 2 litri che avevamo con noi.
Domenica mattina suona la sveglia alle 4.30, mal di
testa, sonno, siamo partiti alle 6.30 ed eravamo all’attacco della
Carlesso alle 7.50, un po’ tardino, ma tanto, se proprio proprio, ci sono
le cenge per scappare …
Parto io col Balotin, un po’ alla volta
ingraniamo anche se la testa è sempre un po’ pesante, usciamo dal primo
pezzo in comune con la Cassin, prendo la relazione dallo zaino e con mio
sommo stupore noto che la descrizione fotocopiata in fretta dal Buscaini,
manca per metà della prima colonna. Si potevano leggere queste frasi:
“Seguire la cen…….chia gialla”. Intuivo che si doveva prendere una
cengia e magari arrivare ad una nicchia gialla, ma dove? Per quanti metri?
Verso destra o sinistra? Intanto Balota e Maxi si affannavano per capire cosa
potesse essere la “cenchia gialla” (l’abbiamo cercata in tutte le
pareti questa fantomatica cenchia, ma non l’abbiamo mai trovata).
Lì è
stata la diaspora: io e Balotin abbiamo seguito la cengia verso sinistra, Balota
e Maxi hanno proseguito per la Cassin.
Faccio un traverso e supero un
tettino, trovo qualche chiodo … duro 'sto 5 … e trovo una sosta con chiodi
a pressione! Mmm, penso ci sia qualcosa di sbagliato! Arriva Balotin e
riparte verso sinistra fin sotto ad uno strapiombo: “Balotin come xela, se
pasa?”. “Vedo on ciòdo, me par massimo quinto”. “Bon allora vai
che rivèmo so l’altra cengia e dovarissimo esser giusti”. Parte, passa
il chiodo, lo vedo ansimare, cadono piccoli “comodini”, poi la corda
comincia a scorrere, si ferma, scorre, dopo mezz’ora e a fine corda mi
urla la sosta.
Parto, arrivo sotto lo strapiombo … altro che quinto, è
tutto marcio e il chiodo fa schifo … passo, guardo in su e vedo un nut che
mi raggiunge lungo la corda, fino in sosta poi non c’erano più
protezioni, matto e mitico Balotin.
Arrivo a quella che potrebbe essere la
nicchia gialla, dove saranno gli altri? Poi sento bestemmiare contro i
mughi e vedo spuntare a destra, tra gli sfasciumi il Maxi, ok ci siamo riuniti
e siamo in via ma tra girovagare tra la parete e titubanze varie sono le
11.00 e non siamo ancora a metà, ma sì tanto ci sono le cengie.
I tiri
si susseguono uno più bello dell’altro, poi l’ennesimo punto della
relazione indecifrabile ci fa perdere ancora tempo finchè buttiamo via
l’inutile foglio e andiamo a naso. Becchiamo il tiro con il filo di
ferro, poi un magnifico traverso, poi i camini terminali di 5, atletici e
faticosi ed infine siamo in vetta … ma porc … sono le 20.00.
Abbraccio e
via di corsa, per fortuna ricordavo le calate, ma lo stesso alla fine
dell’ultima doppia, in corrispondenza delle cengette che si attraversano
verso monte, come da copione, arrivano le tenebre.
Non eravamo a
conoscenza delle doppie dentro l’ultimo canale e io, unico ad aver fatto
una volta la discesa, avevo traversato su sfasciumi e schifezze varie,
cosa che per altro è riportata anche in relazione.
Gira di qua, gira di là,
arrivano le 23.00 senza aver tolto un ragno dal buco, già ci stavamo
rassegnando a bivaccare quando il Balota ha visto un cordone che scendeva
da un mugo con moschettone finale; non si vedeva dove fosse legato e tutti
avevano lo stesso sguardo di chi pensa… vai avanti tu che a me vien da
ridere.
Poi, in uno slancio di eroismo, il Balota si cala e trova la sosta,
un boato ha accolto il grido di “libera” e così per ogni calata, in
tre al buio rannicchiati ad aspettare in silenzio “libera” e ogni
volta era una festa, finchè abbiamo toccato il ghiaione finale alle
24.30. Ma il duro è stato tornare a casa per essere in ufficio alle 8.00,
con il Maxi che, smontato a Belluno, si è portato via il mio tabacco,
privandomi dell’unica cosa che avrebbe potuto aiutarmi a rimaner
sveglio!
Anche se abbiamo poi fatto salite più difficili
globalmente della Carlesso, questa odissea sulla Trieste mi resterà
sempre nel cuore, soprattutto per aver condiviso sentimenti così forti
come ansia, paura e gioia con persone che prendono la vita per quel che ti
dà, con semplicità e trovando il lato divertente in tutte le cose; e non
vedo l’ora a settembre, quando Balotin starà meglio con la mano, Balota
sarà guarito con il ginocchio, il Maxi con il polso ed io con la spalla,
di tornare con i mie soci a cavalcar le Dolomiti.
Cristiano Pastorello
Verona, settembre
2005
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