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La Provincia di Sondrio.  15/01/2009

Riccardo Cassin, la leggenda delle pareti

Sette scalatori italiani e uno sloveno ci raccontano cosa rappresenta per loro
il grande vecchio dell'alpinismo italiano e mondiale



Agostino da Polenza                          Normale e speciale: per questo è un mito.

Cosa dire per non rischiare di essere banali parlando di Riccardo Cassin e dei suoi cento anni. Mi vengono in mente
alcune cose "al volo" e ve le scrivo. Uomo concreto, con le mani e la testa nel lavoro.
Uomo austero nelle idee sulla vita, sulla società e pure la politica, ma anche nella loro coerente messa in pratica. Uomo sbrigativo eppure tenace. Uomo severo e talvolta anche sferzante. E' un uomo gioviale e di compagnia, ottimo compagno di cordata e leader di progetti, spedizioni, iniziative alpinistiche. E' anche fortunato, e non guasta certo.
Leale con famiglia, con gli amici, con il Gruppo Ragni che vuole come centro di aggregazione dell'eccellenza alpinistica e omaggio alla sua città adottiva, uomo generoso e affettuoso con chi è meno forte di lui in alpinismo, nel lavoro, nella vita, ma soprattutto con i giovani.
Riccardo Cassin è tutto questo e molto di più. E' la storia dell'alpinismo del secolo scorso, la passione per la montagna, l'amore per l'arrampicata, l'incanto per la natura, il piacere della caccia, ma anche il coraggio e la fantasia nel scegliere pareti, itinerari, montagne in Europa e nel mondo. Riccardo è soprattutto un uomo.
Banale? Forse queste mie parole si, lui invece è semplicemente un mito.

Janez Dovzan                                    In Slovenia a caccia e poi al rally grazie a lui.

Riccardo Cassin è stato anche un cacciatore appassionato.
Già nei primi anni '70 veniva in Slovenia, da Tincek Mulej, e insieme visitavano il distretto di caccia di Trzic.
In una di quelle occasioni gli alpinisti di Radovljica furono invitati da lui a Lecco, a un rally alpinistico.
Non ci potevano andare, perciò dissero agli alpinisti di Mojstrana: «Andateci voi!»
E così gli "scoiattoli di Mojstrana" presero i loro modesti scarponi da sci con "langrimen" ed arrampicarono - non senza
difficoltà e per la prima volta - i monti di Lecco.
Dopo questi insoliti e semplici inizi anche noi sloveni riuscimmo ad acquistare un'attrezzatura tecnica più adeguata: da allora in poi potevamo competere con tedeschi, austriaci, francesi e italiani.
Ad uno degli incontri dei cacciatori invitai Cassin a Dovje, in Slovenia, a caccia del camoscio, e lui accettò l'invito con
piacere. Finita la caccia Cassin ci tenne una simpaticissima conferenza.
Il legame tra noi rimase stretto e amichevole nel tempo. Quando nel 1978 gli Sloveni stavamo progettando una spedizione sulle Ande, Cassin ci suggerì di visitare uno sconosciuto e selvaggio gruppo montuoso, la Cordillera Huayhuash, e ci mise in contatto con il suo amico Celso Salvetti del Club Andino di Lima.
I rapporti di amicizia con Salvetti si approfondirono... a punto tale che Salvetti (nel passare del tempo) sposò un membro associato di quella spedizione: la signorina Marjeta di Dovje.
Ecco, la Leggenda Cassin é riuscita a fare anche questo...

Lorenzo Festorazzi                            Quei suoi bei chiodoni che quasi ti parlano.

Non ho mai avuto di conoscere personalmente Riccardo Cassin. Ci siamo solo incrociati in macchina ai Piani Resinelli,
ma anche in quel caso ho provato una forte emozione. Ero gasato: «Ehi, ho visto Cassin».
Una forte emozione che provo quando mi capita di ripetere le sue vie. Una forte emozione quando ti trovi in difficoltà e non sai come fare a passare, poi però riesci ad alzarti ancora un po', al massimo, tanto quanto basta per vedere uno dei suoi chiodoni con l'anello. Allora ti senti tranquillo: un bel chiodo grosso dà sicurezza, sembra che ti parli ma non ti svela come ha fatto Riccardo a piantarlo. Nel ripetere una sua via mi gaso: anche se ne esistono di più dure, anche se esistono alpinisti più forti, Cassin è sempre Cassin.
Se chiudo gli occhi e mi dicono «alpinismo», la prime due parole che mi vengono in mente sono montagna e Cassin.

Oreste Forno                                       Dal Medale al Badile un'avventura verticale

Per me Riccardo è come un grande padre. Ho sempre visto la modestia nel suo modo di fare e una grande disponibilità,
non solo nei miei confronti. La cosa più bella, comunque, è che sento di provare affetto nei suoi confronti e so di essere ricambiato. I suoi discorsi rivolti ai giovani, in varie occasioni, affinché possano scoprire i benefici della montagna sono una delle sue "vie" più belle.
La mia salita della Cassin al Badile mi fa sentire ancora di più legato a lui.
Forse perché anch'io ho vissuto una piccola avventura sul Badile, salendone da solo lo spigolo nord quando l'unica esperienza di arrampicata in roccia era la Cassin al Medale, la mia prima vera salita.

Alessandro Gogna                             Fiero del Lhotse con lui e delle sue vie ripetute

Riccardo Cassin è sempre stato uno dei grandi fari del mio alpinismo e credo di averlo dimostrato scegliendo, nel pieno
delle mie energie, di tentare imprese che avessero come sfondo uno dei suoi meravigliosi itinerari.
Mi hanno sempre affascinato la scelta dei suoi obiettivi, il modo in cui l'impresa era da lui condotta, da vero capo, e, naturalmente, le grandi difficoltà da lui superate.
Certamente uno tra i più grandi alpinisti mai esistiti, completo su ogni terreno, Cassin è stato un "vincente" per tutta la vita e in ogni campo della sua attività di uomo, partendo dal nulla.
Sono fiero di essere stato suo compagno nell'ultima sua grande iniziativa, quella spedizione alla Sud del Lhotse che purtroppo, sia pur con onore, fallì: unico rincrescimento tra mille successi.

Mario Manica                                      Ha parlato ai giovani senza salire sul podio

Sono affezionato all'alpinismo extraeuropeo e mi piace ricordare Cassin per le sue incredibili intuizioni.
In un articolo di The Mountain World del 1956-57, Bradford Washburn scriveva: «L'ultima, e forse la più difficile e drammatica di tutte le nuove potenziali linee sul McKinley, è quella rappresentata dagli oltre 3000 metri dello sperone centrale». Parole che hanno ispirato Riccardo, che definirà questa sua ascensione del 1961 come la più difficile e straordinaria.
Nelle sue spedizioni all'estero, dal G-IV all'Jirishanca al Lhotse, Riccardo sarà la forza ispiratrice e motivazionale dei più
giovani. Perché questo è Cassin: ha sempre saputo parlare alle nuove leve, invogliandole e ascoltandole.
Senza mai salire sul podio. Allora mi piace ricordarlo con la sua Irma, seduto al tavolo con le nuove generazioni di scalatori. E la foto più bella, quella che più sa darmi l'idea del suo essere avanti, senza barriere, è quella in cui Riccardo fa il giudice, con i suoi settantacinque anni, ad una gara di arrampicata sportiva.

Elio Orlandi                                         Le sue magiche mani e un segreto: la passione

Parlare di un alpinista di ieri, prezioso testimone e grande protagonista del suo tempo, ma ancora oggi presente in tutto il suo carisma, non è facile.
Se posso descrivere una mia fantasia, mi garba spesso paragonare Riccardo Cassin ad un buon, caro, vecchio chiodo, di quelli veramente speciali però, che infisso nel modo più sicuro e con assoluta affidabilità nella memoria storica dell'alpinismo, rimane un chiaro punto di riferimento per tutti noi ed immutato indicatore di un infinito percorso di vita.
Uomo di grande intuito, temprato e forgiato alle fatiche del tempo. Alpinista, grande e tra i pochi, ad avere capito che la notorietà non conferisce né privilegi, né potere, ma impone invece delle responsabilità ed il rispetto delle cose che fanno anche gli altri. Un segno tra i segni, anche lui figlio di grandi sogni e fantasie.
Mani? mani che hanno fatto parlare le montagne e reso speciale un uomo semplice.
Salire le sue vie significa vivere momenti intensi, frammenti di storia che ci fanno ripercorrere il tempo e pensare
all'eleganza ed alla semplicità dell'alpinismo di ieri.
Esistono anche oggi grandi alpinisti, ma chi come lui, ha scritto pagine di storia, lo ha fatto con pochi ed essenziali mezzi, con semplicità, determinazione e sacrificio. Prendiamo insegnamento da questo per trasmettere alle nuove generazioni l'importanza della passione ed il vero e semplice spirito dell'alpinismo.

Erik Svab                                              "Problemi" impossibili poi però è arrivato lui

Per me Cassin è l'archetipo dell'alpinista che più ammiro: chi nella sua epoca ha saputo osare e scalare quanto gli altri
ritenevano "impossibile", magari anche rischiando parecchio, ma grazie alle sue capacità fisiche e psicologiche è riuscito a sopravvivere e non solo, a diventare "vecchio alpinista".
Non saprei scegliere una delle sue vie, ma ritengo che tutte le sue salite più conosciute e ripetute hanno qualcosa in
comune: Cassin ha risolto un "problema" che gli altri ritenevano impossibile o effettuato una salita che altri hanno provato, ma nella quale non sono riusciti.
Oltre a questo le sue vie, anche se ripetute oggi (70 anni dopo!) rimangono delle grandissime salite di tutto rispetto!
Mi riferisco ad esempio alle sue vie in Tre Cime dove l'esposizione della salita e l'aleatorietà della discesa la dicono lunga sul "pelo" che aveva il nostro caro vecchietto!
Quando anni fa ci siamo incontrati presso la sede di Valmadrera della Cassin o in occasione del "Grignetta d'oro" mi ha
colpito la sua competenza e il fatto che fosse aggiornato e "'graffiante" nei suoi commenti sulle realizzazioni dei giovani leoni di oggi.