Nel mezzo del cammin di nostra gita
ci inoltrammo in una selva oscura
che la diritta via, presto fu smarrita.
Ma il rider non dè spazio alla paura.
Per ardue chine le zampe irrequiete,
da alpigiani itineranti affaticammo.
L'ombra scura dei boschi e le liete,
immacolate nevi attraversammo.
L’astro di fuoco percorse intér il suo cammino
solcando il ciel da Oriente ad Occidente
si che ci trovammo, al baglior d’un lumicino,
la mappa a rimirar, senza capirci niente.
Così fu che sulle vette dei maestosi monti,
dopo il riflesso dell'albe e dei tramonti,
la luce vedemmo bianca degli astri
scintillar sui nitidi alabastri.
L’oscurità avvolgea le cime ardite
ove splendean di lontan gli alti rifugi
come dolci promesse di languidi pertugi
di lucciole da Cupido irretite.
Il vigor ci abbandonò cammin facendo
tra lo sbirciar di fauni, elfi e di qualche folletto
che di timor anelar ci fè quattro mura e un tetto.
Si che continuammo a peregrinar dormendo.
Tra le braccia Morfeo c’accolse sui declivi fioriti,
tra la vaniglia dall’acuto aroma
e l’edelweiss dalla stellata chioma.
Ma del sonno il dio ci riservò incubi inauditi.
Ci apparve in sogno un mostro orripilante
ed il sole, declinante verso Occaso
ne rivelava l'abbigliamento sado-maso.
Ferri, lacciuoli e ammennicoli inquietanti.
Mirandolo con sangue raggelato,
della man le dita su una selce apersi
e stringendola, rincuorato, staccai quattro versi,
fingendomi lieto e non turbato.
"Che vai? Su che remota Alpe s'attinge
il tarantolato vigor che t'incalza?
Qual pozione inesauribile ti spinge
di balza in balza?"
Com’ebbe l’uso ritrovato, della lingua sua pendente,
ei gemette d'Alpi lontane perdute storie
movendo in noi, con voce innocente
incerti sentimenti e remote memorie.
Ci narrò poi di novelle e resoconti accolti
su di un sito ai giaroni dedicato,
dagli amici dei monti frequentato.
E poi dell’Impero e dei ribelli molti.
Poscia che spenta fu l’antica sua narrata,
fier ci guardò e disse:" Il mio nome è Gabri Villa
maestro e servitor d’arrampicata,
dietro me romba il tuòn, ma non v’è scintilla."
E poi rivolto a noi: ”E voi chi siete
che delle risate l’argentina eco
più che dello zaino il peso porto meco,
rendendomi penose del salir le ore liete?”
Guardammoci ne li occhi appena un po’
e ribattemmo lesti a colui in cotal guisa:
“Se a lei ci dà fastidio, non venga brìsa.
Mò se ci piace l’alpino sciroccato
in due esemplari rari s’è imbattuto.
Comunque, per servirla, siam Bibì & Bibò.”
Da tal verbo ei rimase folgorato.
La via allor, cortese, c’indicò verso la vetta
rivelandoci il saper suo, da Ere accumulato
e allontanandosi, lieto, con rumor di motoretta.
Grati assistemmo all’andare suo contento.
Salutammolo agitando in ciel le mani
come fosser piccoli aquiloni lontani,
sempre accorti nel restar sottovento.
Fetonte sorse a riscaldar le membra.
Schiudemmo gli occhi e sotto i cieli tersi
veloci vergammo sul foglio i pochi versi
di quel che del sogno rimembrammo, o almen ci sembra.
Attorno a noi guglie, cime e ghiaioni
che scendemmo volando sul pietrame
oltre il rododendro, fino all’ultimo ciclame
al ricordo sempre vivo delle orride visioni.
Del senno suo tesor facemmo e, d’allora,
ei ci divenne Musa ispiratrice,
profumando i racconti nostri d’appendice
d’un olezzo diciam… d’alpestre flora.
Sogno o realtà? Tutto si confonde.
Come delle pietraie i sassi pàion onde.
Ma una cosa è certa, senza dubbio alcun:
questo ed altro troverete su “INTRAIGIARUN”.
Vamo là!
Bibì & Bibò.