Tofana Tour
di Roberto Belletti
Era da parecchio tempo che mi frullavano in testa un paio di idee di
escursioni nel gruppo delle Tofane: la traversata per vie ferrate delle
cime della Tofana di Mezzo e della Tofana di Dentro e la salita alla
Tofana di Mezzo per la via normale. Un percorso, quest’ultimo, che
dovrebbe portare dal Rifugio Giussani alla vetta della Tofana di Mezzo
senza uso di attrezzature. Il condizionale qui è d’obbligo, perché
questo sentiero non è né segnato né tantomeno numerato dal CAI. Non è
nemmeno presente su tutte le carte, ed è scarsamente relazionato anche
in rete, dove ormai si trova di tutto su tutto (nella mia datata Tabacco
è indicato a puntini intermittenti).
La traversata l’avevo già provata,
ormai più di una decina d’anni fa, ma avevo rinunciato sul più bello
dopo la salita della ferrata Olivieri per troppa nebbia, ed ero
rientrato scendendo per il sentiero attrezzato Olivieri (da non
confondere con la ferrata: tutt’altro livello di difficoltà). Bella
escursione, comunque, ma mi era rimasto un po' di amaro in bocca e un
conto aperto. La via normale, invece, non mi aveva mai veramente
attirato per via della sua aleatorietà. Le vacanze settembrine in Cadore
di quest’anno mi offrono una occasione per riprovare, ma, purtroppo, la
ferrata Formenton che sale alla Tofana di Dentro e che avrei dovuto
percorrere in discesa è chiusa per rischio frana. Ma allora, perché non
unire le due idee in un unico giro, salendo alla Tofana di Mezzo per
ferrate e scendendo per la via normale?
Si parte dal Rifugio Dibona, che può essere raggiunto in auto tramite
una stradina prima asfaltata e poi sterrata che termina in un’ampia area
parcheggio. L’ultimo tratto, quello sterrato, è piuttosto sconnesso, per
cui, se c’è ancora posto, si può lasciare l’auto nel piccolo parcheggio
al termine del tratto asfaltato. In questo caso occorre mettere in conto
circa un chilometro di strada e un centinaio di metri di dislivello in
più.
Nonostante sia molto presto, che il giro si prospetta assai lungo, il
parcheggio del Dibona è già abbastanza affollato. D’altronde siamo in
Cadore e nel gruppo delle Tofane, quindi in uno dei luoghi più gettonati
delle Dolomiti. Dal Rifugio Dibona si sale per sentiero al Rifugio
Pomedes, circa duecentocinquanta metri più in alto, e da questo, prima
seguendo una pista e poi su sentiero, si raggiunge l’attacco della
ferrata Olivieri.
Ora è il momento di indossare il casco e l’imbragatura, che ci faranno a
lungo compagnia.
La ferrata Olivieri consente di raggiungere la cima di Punta Anna, che è
la prima elevazione di una lunga dorsale che culmina nella cima della
Tofana di Mezzo. Si tratta di una ferrata abbastanza impegnativa, sia
per la presenza di frequenti tratti verticali e atletici, sia,
soprattutto, per il fatto che spesso gli appoggi sono assai levigati dai
numerosi passaggi degli escursionisti. Difatti è parecchio frequentata,
e con motivo, visto l’ambiente superbo in cui si sviluppa e gli scorci
della Tofana di Rozes che consente di ammirare.
L’alta frequentazione,
tuttavia, si associa inevitabilmente alla roccia “unta” e alle code.
Le code oggi mi preoccupano relativamente. È ancora presto e inoltre,
vista la lunghezza dell’itinerario, non ho nessuna intenzione di
correre. La roccia “unta”, invece, è più fastidiosa ma è anche uno
stimolo alla fantasia nel cercare gli appoggi dove nessuno ha ancora
osato mettere il piede. In alternativa è sempre possibile trazionare il
cavo e salire a mo’ di palo della cuccagna. Al solito sono partito da
solo, ma su questi itinerari non si è mai veramente soli, e ci metto
poco a fare amicizia con il ragazzo avanti a me, che scopro essere
anch’egli, proprio come me, un abitante della pianura. La cosa buffa
sarà ritrovarselo il giorno dopo a razzolare fra le trincee sotto al
Sass de Stria per recuperare dalla stanchezza, esattamente come me. Le
Dolomiti sono piccole!
Raggiunta Punta Anna, la cui elevazione non è
così pronunciata, termina la ferrata Olivieri.
Un tratto in falsopiano
porta al bivio fra la via di discesa verso il Rifugio Giussani e la
prosecuzione dell’itinerario.
Tralasciando la discesa, si risale una
parete appoggiata e attrezzata fino a raggiungere una cengia molto
panoramica, al termine della quale c’è la seconda via di fuga, quella
che avevo preso dieci anni fa.
Due terzi del dislivello sono alle spalle
(e nelle gambe). Ma il giro è ancora lungo e lo si può apprezzare dal
fatto che la stazione di arrivo della funivia, posta poco sotto alla
cima della Tofana di Mezzo, appare alla vista ancora piccola piccola e
più lontana di quanto si vorrebbe. Ora c’è da raggiungere la ferrata
Aglio salendo per sentiero su buona traccia. Ma, prima di questo,
occorre valutare bene meteo, tempo a disposizione e stanchezza fisica,
perché, una volta affrontata questa seconda ferrata, non vi saranno più
vie di fuga fino alla cima (in realtà, poco prima del Bus de Tofana, una
traccia sembra scendere nel vallone verso le piste da sci, ma non
avendola percorsa e non trovandola segnata sulle carte, non ci farei
troppo affidamento).
La ferrata Aglio ha caratteristiche assai diverse
da quelle della Olivieri. Innanzitutto, è molto meno atletica e tecnica,
le difficoltà significative si riassumono in un breve canalino
verticale/strapiombante e in un emozionante esposto traverso lungo il
quale è bene non indugiare troppo, ma si sviluppa in un ambiente molto
più severo.
Occorre, inoltre, tenere presente che la fatica accumulata
inizia a farsi sentire e la freschezza con cui ci si trova ad affrontare
i vari passaggi non può certo essere quella che si aveva al mattino.
L’ambiente, però, è davvero spettacolare e imponente.
Siamo nel cuore
della Tofana, e la ferrata Aglio vi passa proprio in mezzo. Con qualche
saliscendi, che andrà ad aggravare il conto del dislivello totale, si
raggiunge quella meraviglia della Natura che è il Bus de Tofana.
Il
percorso della ferrata ci passa attraverso, sfruttandolo per cambiare di
versante. Ormai non manca molto alla cima ma è il caso di approfittare
di questo spettacolo per riposare, ascoltando il canto del vento che,
immancabilmente, lo attraversa. Di là dal Bus si risale una liscia
parete verticale con difficoltà azzerata da un paio di scalette. Ancora
qualche tratto attrezzato e si incomincia a sentire “profumo di cima”.
L’ultimo tratto si sviluppa su roccette non attrezzate, fra il primo e
il secondo grado. Questa parte di percorso non è molto segnata e la
traccia non è sempre evidente; quindi, è meglio fare attenzione e non
perdersi.
La cima della Tofana di Mezzo, finalmente, è raggiunta. La presenza
della stazione della funivia, una cinquantina di metri più sotto,
implica una certa frequentazione da parte dei più “temerari”, che,
saliti con l’impianto ma non pienamente appagati dalla vista dall’ampio
terrazzone, si avventurano verso la cima, spesso con calzature e
abbigliamento i più improbabili. Ma non facciamoci sminuire troppo la
soddisfazione e la bellezza dei luoghi da noi attraversati dalla
banalizzazione di questa cima che supera ampiamente i tremila metri.
La
discesa attraverso la funivia e successivamente per il sentiero
attrezzato Olivieri, è l’opzione scelta da quasi tutti i percorritori
della ferrata Aglio, soprattutto oggi che la ferrata della Tofana di
Dentro è chiusa.
Il mio programma, invece, prevede la discesa per la via
normale, che dovrebbe partire dal vallone fra le due Tofane nei pressi
del laghetto sotto alla Tofana di Dentro. Dalla cima della Tofana di
Mezzo, si scende per sentiero verso la funivia fino al bivio per la
Tofana di Dentro. Qui inizia un sentiero attrezzato che, sfruttando una
stretta cengia, scende alla forcella fra le due Tofane. Avevo già
percorso questo itinerario in senso opposto diversi anni fa, ma non me
lo ricordavo così mal messo. Ci sono diversi fittoni divelti e il fondo
è molto più ghiaioso e sdrucciolevole di quanto ricordassi. Poco prima
di arrivare alla forcella, una labile traccia guida verso il fondo del
vallone in direzione del laghetto e verso l’ignoto. È giunto il momento
di svestire l’imbragatura e riporre l’attrezzatura da ferrata nello
zaino. La parte segnata e conosciuta è terminata, inizia quella indicata
dagli ometti e dalle tracce di passaggio a cui è necessario fare
l’occhio per tenere la giusta rotta. Si traversa senza scendere fino al
lago, su una traccia esile ma tutto sommato più evidente di quel che
temevo. Mi rendo conto di camminare ora sul permafrost, appena coperto
da un velo di detriti, la cui fusione dà vita al laghetto sottostante.
Giunti sull’orlo di un dirupo, appare la prima cengia che si dovrà
necessariamente attraversare per arrivare al rifugio Giussani. Vista da
qui, è naturale avere qualche dubbio sulla sua effettiva percorribilità.
Una ripida discesa e una breve risalita su traccia quasi inesistente, mi
depositano all’inizio della cengia e inizio così la traversata.
L’ambiente è molto severo, e ispira impressioni e sensazioni ben diverse
da quelle provate sia sulla ferrata Olivieri che sulla Aglio. Inoltre,
ora, la solitudine è davvero totale.
L’attraversamento della cengia non
è così complicato come potrebbe sembrare a prima vista e la perplessità
lascia presto il posto all’eccitazione e al senso di scoperta che questo
genere di percorsi sono in grado di suscitare.
Naturalmente, come sempre
in queste circostanze, l’attenzione va tenuta al massimo, che le
scivolate qui non sono ammesse. Doppiata una punta, ha inizio una
seconda e ultima cengia, anch’essa da attraversare integralmente e che
porterà, finalmente, alla forcella del Valon.
Questa cengia è simile
alla precedente e mai troppo stretta, ma coperta di pietrisco un po'
infido. Una risalita su ghiaie, fortunatamente breve, porta su Punta
Giovannina dove si incontra, inaspettatamente, il rudere di una vecchia
postazione militare cementificata.
Superato il rudere, una breve discesa
con un saltino di un paio di metri agevolato da uno spezzone di corda,
depositano infine sulla forcella del Valon. Da qui in poi è tutta
discesa e la parte, per così dire, incognita, è quasi tutta alle spalle.
Ma non è ancora il momento di rilassarsi, in quanto il tratto superiore
del ghiaione che cala verso il Rifugio Giussani, oltre ad essere
parecchio ripido, è anche molto compatto e profondamente inciso dalle
acque che lo solcano. Inutile dire che la traccia è del tutto assente e
inutile anche dare indicazioni relativamente a questo tratto. Dopo il
prossimo inverno o anche solo la prossima pioggia, sarà tutto cambiato.
È necessario arrangiarsi e trovare la via che si considera migliore per
scendere. Ad oggi prevalentemente sul lato sinistro (scendendo) del
canalone, che però termina con un salto. Occorre quindi individuare un
buon punto dove traversare per riportarsi sul lato opposto, a ridosso
delle pareti di Punta Giovannina. È un tratto comunque complicato, che
farà perdere una quantità inaspettata di tempo ed energie.
Fortunatamente, ad un certo punto, il ghiaione abbandona la sua
compattezza e si fa più soffice, consentendo una progressione molto più
agevole. La vista, laggiù in fondo, del sentiero che porta al Rifugio
Giussani, aiuta a riprendere un po' di baldanza.
Per giungere all’ambito
rifugio occorre contornare a destra Punta Giovannina, scendendo a vista
fino a ritrovare la traccia. L’ora comincia a farsi tarda e di gente in
giro, solitamente numerosa in questo luogo quasi sempre piuttosto
affollato, ce n’è rimasta ben poca.
Sarà per questo motivo per cui,
nonostante la presenza aliena di questo edificio, il luogo mi trasmette
un senso di profonda pace e calma. Oppure, più probabilmente, è il fatto
di essere giunto al termine delle cosiddette “difficoltà” e potermi
finalmente rilassare dopo questo lungo e impegnativo giro che per tanto
tempo avevo desiderato di compiere.
Il rientro dal Rifugio Giussani al
Dibona è tutto in discesa e di ordinaria amministrazione, se paragonato
alle cenge della via normale.
Giunto al Dibona, scoprirò solo a quel
punto, alla fine del giro, che la discesa per la via normale era
vivamente sconsigliata.
E vabbè…
Roberto Belletti
Tofana Tour
Bologna, 14 dicembre 2023
(escursione del 3 settembre 2023)