Tofana, amore mio

di Guido Perini

Cent’anni in due!
E trenta di matrimonio da festeggiare!
Dove? Alle Maldive? A Ibiza?
E perchè non in cima alla Tofana di Rozes salendo per la via Classica?
Noi due, Guido e Edy, siamo scalatori della domenica (anche però del sabato) e in una stagione non superiamo le trenta vie: avventurarci in quell’immane parete ci sembrava più che eccessivo, disumano.
Per dire la verità avevamo pensato all’ausilio di una guida cortinese ma, a prescindere dal costo (tanto), non ci allettava l’idea di farci trascinare in tutti i sensi per pareti e camini.
La soluzione è giunta “aspettata” dall’offerta degli amici Luigino e Elisabetta che, speranzosi in un primo tempo di seguire noi e la guida, si sono ritrovati a guidarci loro “nell’impresa”, con la promessa di un lauto pranzo (solo a via compiuta!).
E arriviamo al fatidico giorno!

Le sei del mattino del 3 agosto 1999 ci vedono arrancare verso l’attacco.
Siamo ben consci che nemmeno oggi vedremo il sole.
Giunti alla base della rampa iniziale e consultate le quattro relazioni (esclusa quella del Berti di difficile interpretazione…), Luigino decide di risolvere il primo passaggio nel modo più “classico”: la piramide umana!
Guido, sovrastato da tanto onere (venti chilogrammi di attrezzatura oltre i sessanta di grassi), non trova molto di umano in tale pratica, ma stoicamente sopporta la dura prova, consolandosi che anche lui è primo di cordata.
La fatica aguzza l’ingegno: Edy indica al consorte l’attacco “forse” originale!
Le quattro relazioni coincidono in una sola cosa: la prima parte della via si dovrebbe concludere nell’anfiteatro dopo otto o nove tiri di corda.
Tutto ciò viene abbondantemente smentito dalla quantità di sassolini nella tasca di Elisabetta (ne aveva messo uno per tiro): che i primi salitori avessero usato corde da settanta metri?

Dopo due ore e mezza capiamo di essere giunti nell’anfiteatro dalla nuvola che ci avvolge.
Impassibili e fiduciosi per la presenza di ometti (pochi) e peste (ancora meno) continuiamo a salire tra roccette e sfasciumi, dopo che Luigino e Guido hanno decretato l’impossibilità di attraversare un lubrico nevaio (nessuna relazione lo menziona).
Forse saremmo ancora là se un provvidenziale spiraglio tra le nubi non avesse permesso di vedere un ometto proprio al di là della lingua di neve.
L’attraversamento impegna gli intrepidi primi di cordata in manovre di assicurazione insolite, la cui efficacia, per fortuna, non è stata verificata.
Raggiunto il secondo anfiteatro dobbiamo superare una paretina solcata da una fessura sormontata da un camino-diedro. Guido, affascinato da tre chiodi, la supera di “slancio” (forse aiutato da una serie di sacramenti).
Solo in questo momento Luigino scorge i famosi “occhi” (caverne circolari) che a nostro giudizio sembrano corrucciati da tanto clamore.
Ora saliamo più speditamente fino a raggiungere una rampa che inequivocabilmente segnala l’inizio della aerea traversata.
Il primo punto da dipanare è la sua effettiva lunghezza, dato che ciascuna relazione fornisce una misura diversa.
Il nostro giudizio, coadiuvato dai tiri di corda e dalla capacità polmonare di trattenere il fiato, la valuta di circa ottanta metri.
Non ce ne saremmo quasi accorti, se qualcuno non avesse deciso di porre il libro di via in una piccola nicchia durante la traversata.
Ciò ha provocato ingorghi e tamponamenti.
Giunti al suo termine, per superare un diedro-camino, Luigino reputa necessario ricorrere ad una seconda piramide umana. Guido, pur nello spazio esiguo, riesce ad eclissarsi, pertanto la vittima diventa Elisabetta.
Dopo due o tre infruttuosi tentativi, determinati dalla difficoltà di sostenere i succitati ottanta chili, decidiamo di salire più agevolmente verso destra.
Sempre immersi in un mare di nebbia, giungiamo ad una spalla che permette di avvicinarci all’ultimo camino.
Di tutto il panorama che si potrebbe gustare da questa altezza, scorgiamo solo, qualche metro discosto, un misero riparo di sassi.
Tutti e quattro pensiamo la stessa cosa: urge muoversi alla svelta!
Comincia a grandinare e ci affrettiamo così verso l’ultimo camino che Guido sale in trance e Edy afferrandosi alle fettucce lasciate da “San” Luigino.

La via è ufficialmente terminata, le relazioni, qui unanimi, parlano di facili roccette per raggiungere la croce.
Mai croce fu più desiderata e sudata!
Tra la nebbia, la fatica, la grandine e le inaspettate apprensioni di Guido, dopo aver girovagato per ripidi sfasciumi, finalmente tocchiamo la cima.
Siamo quasi commossi.
Iniziamo la discesa verso le diciannove cercando di giungere il più presto possibile al rifugio Dibona, dove ci aspettano una lauta cena e un brindisi all’anniversario.

Guido Perini
Tofana, amore mio
Salita il 3 agosto 1999
Treviso, luglio 2023

 



Alcune note informative sulla via a cura della redazione (tratte dal sito de i Sass Balòss)

La parete Sud della Tofana di Rozes venne salita per la prima volta il 9 agosto del 1901 dalle baronesse Ilona e Rolanda Von Eötvös con le guide Angelo Dimai, Agostino Verzi e Giovanni Siorpaes.
I cinque attaccarono alle 8:30 e terminarono la salita alle 18:30. Un tempo che lascia a bocca aperta ancora oggi!

Si tratta di un itinerario che sale lungo l'imponente parete compiendo diversi spostamenti, alla ricerca delle difficoltà minori. La salita è resa discontinua per via della presenza di due grandi anfiteatri, che nonostante non presentino difficoltà di progressione, in caso di brutto tempo possono rappresentare la difficoltà maggiore della salita. La nebbia (o qualche nuvola bassa) può far perdere completamente l'orientamento e "bruciare" ore preziose.

Durante la nostra ripetizione, in corrispondenza del primo anfiteatro abbiamo trovato un nevaio che ci ha richiesto del tempo per essere superato e in corrispondenza del secondo nevaio siamo stati accolti da alcune nebbie.
Terminata la via occorre proseguire slegati per circa quarantacinque minuti superando delle facili rocce di I e II grado fino a raggiungere il sentiero che in pochi minuti sale alla croce di vetta.

La discesa, che avviene lungo i dolci versanti nord e ovest, non presenta particolari difficoltà ma richiede il suo tempo. Oltre il primo anfiteatro è da escludere una discesa in corda doppia.
Per i motivi sopra descritti intraprendere la salita solo in condizioni di meteo stabile.