Brividi
di Mauro Loss
Estate 2008
Il corso estivo di roccia volge al termine e Massimo, il direttore, sta
predisponendo gli abbinamenti istruttore/allievo per l’uscita finale del
giorno dopo.
Mi chiede se mi va di andare sulla cima d’Ambiez.
La meta mi piace, la parete è solare ed essendo l’uscita finale del
corso, poco importa quale sarà la via.
Quindi nessun problema.
Scopro solo dopo cena che l’itinerario a me destinato è “Ci piaccion
tutte quante”.
Argh! Brutti ricordi, brutti pensieri.
Estate 1997
Una bella giornata di luglio, quattro persone salgono lentamente il
sentiero che porta alla base della parete dell’Ambiez. Sono contenti,
scherzano e parlano allegramente, trovato l’attacco della via prescelta,
si preparano in silenzio, gesti metodici, sempre gli stessi, poi
un'ultima occhiata alla relazione e via.
La salita non è difficile, la roccia nera e solida, il sole scalda e
tutto procede bene poi … un rumore sordo …. un appiglio che si rompe, il
vuoto, attimi interminabili… la corda che si tende… lo strattone forte e
deciso … l’impatto violento con la roccia nera … un dolore intenso alla
coscia destra.
Dolore, dolore ma niente sangue, niente di rotto, attimi di smarrimento
che durano un’eternità, poi le urla dei compagni che ti riportano alla
realtà, al presente.
Li tranquillizzo, vogliono desistere ma io no!
Voglio, devo riprendere ad arrampicare.
Riparto lentamente molto lentamente, tutto è più calcolato, più accorto,
con difficoltà i movimenti tornano a farsi più sciolti.
Finalmente siamo in cima.
Si scende, ma non c’è allegria solo silenzio e voglia di arrivare presto
al rifugio.
Qui la tensione finalmente si allenta e il dolore, pian piano, ritorna e
con esso i brividi.
Brividi di freddo, forti, improvvisi fanno compagnia ad un gelido sudore
che imperla la fronte e il mio corpo.
Roberto mi offre una branda e ben presto mi addormento sarà un sonno
convulso, agitato e ricco di brutti sogni. Verso sera con la Jeep del
gestore scendo a valle.
La febbre è salita ed ho tanto freddo.
Il giorno dopo in ospedale mi diagnosticheranno una lacerazione
muscolare sottocutanea di circa 15 centimetri con forte edema.
In fin dei conti una cosa di poco conto.
Dopo quel luglio non l’ho più voluta ripetere quella via e ogni volta
che passo sotto quella parete, conosciuta e amica, i ricordi si
manifestano prepotentemente, le immagini tornano a scorrere lentamente
ed implacabili … la faccia di Renata, la piastra che si sbriciola,
l’urto con la roccia grigio-nera…
Brividi, sempre brividi.
Estate 2008
La notte, un forte
temporale ci fa compagnia e la mattina, all’ora stabilita per la
partenza, tutto è ancora bagnato.
I tempi si allungano e i pensieri, i ricordi volano a quel estate del
1997.
Sono sulla terrazza del rifugio guardando la valle e il cielo sempre più
terso quando Mauro mi richiama alla realtà.
Le condizioni sono migliorate, il sole sempre più caldo sta facendo il
suo lavoro e le pareti si stanno progressivamente asciugando.
Si parte.
Arriviamo all’attacco, la nostra linea è ancora impraticabile, il sole
fa il suo dovere e le condizioni migliorano a vista d’occhio, ma
dobbiamo aspettare.
Nel frattempo Mauro legge la relazione assieme agli allievi e li invita
ad individuare la linea di salita.
Sto in disparte silenzioso, intervenendo poco, immerso nei miei pensieri
e con gli occhi fissi su quel maledetto … (“maledetto” perché poi?)
… passaggio.
Gli allievi leggono, confrontano, chiedono lumi e spiegazioni, Mauro sta
facendo proprio un bel lavoro con loro, io mi sento distante, vorrei
tornasse brutto per avere una scusa, per poter ritornare al rifugio, ma
il cielo è di un meraviglioso azzurro e il sole sempre più caldo.
Poi la voce di Mauro: “Che si fa? Si va?”
Guardo la parete, non è il massimo, ma le condizioni sono ormai
accettabili e aspettare ancora avrebbe poco senso.
Mi preparo, tocca a me partire, Mauro è un aiuto istruttore e mi seguirà
al comando della seconda cordata.
Parto, faccio quei benedetti dieci metri che separano la cengia di
partenza dalla prima sosta, quei metri a cui molto probabilmente devo la
vita, rivedo la “X” scolpita sulla roccia, le clessidre di sosta, rivedo
Renata seduta sul pulpitino che mi assicura sorridente, rivedo Arturo e
Lucia che aspettano il loro turno in cengia.
Riparto, traverso a destra, trovo il chiodo ad “U” che non ero riuscito
a moschettonare, la roccia è umida, ma non me ne accorgo più di tanto,
sudo e la maglietta mi si appiccica addosso con una sensazione poco
piacevole.
Sono “malmostà” (vedi nota*), doppio il chiodo con un friend e
finalmente passo, un cordino in una clessidra, poi un chiodo, la roccia
sempre più asciutta … e finalmente sosta!
L’allievo sale spedito e contento.
Io penso ad Arturo, compagno di tante salite e soprattutto di quella
brutta avventura.
Lui purtroppo non c’è più.
Continuo la via, la giornata è sempre più propizia e i fantasmi si vanno
smaterializzando così come il sole, sempre più caldo, sfalda le ultime
nuvole in cielo.
Siamo di nuovo alla base, recuperiamo gli zaini mentre il mio sguardo va
alla “X” scolpita sulla parete, sorrido … finalmente il “mio” orco non
fa più paura o meglio fa molta meno paura.
Nota*: Difficile da tradurre. Identifica una sensazione generale di malessere, di non tranquillità.
Mauro Loss
Trento, estate 2008
Cima d’Ambiez
Parete est
Via "Ci piaccion tutte quante"
Difficoltà: IV e V grado
Lunghezza: 150 metri