Un’arrampicata telepatica

di Gabriele Villa

 

Ottobre 2001: sono con Davide, da tutti chiamato Obelix con chiaro riferimento alla sua notevole struttura fisica; siamo ai Vani Alti, una delle zone più selvagge della Val Canali. Erano anni che non salivo fin quassù, fra queste rocce austere, dove ho vissuto intense giornate di alpinismo aprendo due vie nuove con l’amico Stefano Battaglia, detto "il Batt".
Mi sono ricordato di avere visto una bella linea di salita, forse mai percorsa….
Per questo ci siamo portati tutta la dotazione classica, comprensiva di chiodi e martello; questo strumento una volta così importante ed oggi, nell’epoca tecnologica dello spit e del trapano elettrico, così negletto.
Abbiamo camminato più di due ore con ‘sto peso sulle spalle, poi, finalmente, ci siamo imbragati alleggerendoci ed abbiamo cominciato a salire verso la nostra linea, che, adesso, da sotto e da vicino, ha già cominciato a perdere un po’ del suo iniziale fascino.
Abbiamo salito un canale friabile, un tratto di roccette, un passaggio esposto sul quale ci siamo legati, un tratto facile e sassoso, una placca di rocce compatte che non si riusciva a proteggere, poi, finalmente, siamo arrivati al camino che indica la via di salita.
Segue un tiro "serio", anche bello, e poi , malefico, attende lo strapiombo.
A prima occhiata appare non proteggibile e, sopra, s’intuisce la solita banca ghiaiosa, poi, ancora più sopra, chissà…
Il cervello comincia a lavorare per conto suo, iniziando l’inventario automaticamente, senza attendere consensi.
Dunque: primo, le gambe sono un po’ legnose per la lunga camminata di avvicinamento, secondo, i centocinquanta metri di arrampicata fatti non hanno particolare significato alpinistico, terzo, qui c’è da "tirare" al limite per ritrovarsi a pestare ghiaia su una cengia, quarto, dopo bisogna proprio andare in cima e il rientro è abbastanza lungo e complesso, quinto, le giornate a metà ottobre cominciano ad essere corte e fa buio presto.
L’esito dell’inventario dice: meglio rientrare.
"Obelix, qui c’è uno strapiombo che mi piace poco. Cosa dici se scendiamo e ce ne andiamo al Cant del Gal a farci un piatto di pappardelle ai funghi?"
Non ho necessità di fornire ulteriori spiegazioni.
Ho arrampicato pochissimo con Davide negli ultimi tre anni, ma fra noi c’è un’intesa profonda, costruita in alcuni anni di salite ed escursioni alpinistiche e fortificata da un sincero rapporto di amicizia.
"A mì l’am pàr ‘na bona idea. Vien mo zò". Risponde tranquillo.
Sacrificando due cordini per altrettante doppie "mescolate" ad un po’ di arrampicata prudente, siamo di nuovo alla base.
Sappiamo che al "Cant" ci attende una sera particolare.
I titolari, Tito e Letizia, proprio questo fine settimana chiuderanno l’attività, avendo ceduto la proprietà dell’albergo.
Hanno invitato i clienti più affezionati e gli amici e noi siamo fra questi.
Da Ferrara salirà anche Stenio con la Silvana, staremo in lieta compagnia.
L’ arrampicata è subito dimenticata. E domani, si vedrà…
La serata scorre allegramente, la cena è di quelle super e noi siamo tranquilli e rilassati.
Arriva il Tito: "C’è una telefonata per voi" dice allungandoci il cordless.
"Siamo a S. Martino, a casa di Franz – recita incalzante la voce di Monica dentro la cornetta – domani veniamo in Val Canali ad arrampicare con voi".
"Ma chi siete?" chiediamo curiosi e un po’ sorpresi.
"C’è Francesco che però andrà sul Sass d’Ortiga con Maurizio; poi io, la Bea, Raffaele e Alessandro. Ci vediamo lì domattina a colazione".
Bèh, c’è rimasto poco da aggiungere.
"Sono in quattro e c’è un solo capocordata" dico a Davide, il quale ha già mangiato la foglia..
Se gli amici si riconoscono nell’ora del bisogno in questo caso si riconoscono anche quando non se ne sente il bisogno, penso un po’ malignamente.
"Se non altro – dice saggiamente Obelix – ci hanno tolto ogni dubbio su cosa fare domani".
La serata riprende a scorrere e si conclude a grappini e il mattino arriva velocemente, come lo "scudiello" di Mauri con il suo carico di vogliosi arrampicatori.
La giornata è molto bella, densa di promesse.
Franz e Mauri sono solerti nel fare colazione perché hanno da fare un avvicinamento lungo ed una via impegnativa: la Scalet-Bettega.
"Bella via" penso dentro di me con una punta d’invidia nei loro confronti.
Ne avevo studiato la relazione qualche anno fa, me l’ero fatta descrivere da chi l’aveva percorsa, me l’ero guardata da vicino tre volte andando però verso l’attacco della Wiessner, la via dello spigolo.
Ma non sempre le cose vanno come vorresti e la via è rimasta un sogno.
Purtroppo irrealizzato…
Dopo un’ottima colazione ci mettiamo a nostra volta in movimento.
I "patteggiamenti" hanno portato a questi esiti: Davide e Raffaele con Monica e Alessandro saliranno lo spigolo del Dente del Rifugio, mentre io e la Bea andremo sulla Timillero-Secco a Punta Disperazione.
L'ho già salita una decina di volte, ma la ripeto volentieri: c’è una roccia bellissima, verticale ma ben ammanigliata, con chiodi solo alle soste, per cui ti devi saper proteggere a clessidre, dadi e friends e poi…il limitato impegno mi consentirà di "seguire" la cordata sulla Scalet, dirimpettaia, dall’altra parte del Vallon delle Mughe.
Ci prepariamo abbastanza velocemente, anche se non abbiamo fretta.
Decidiamo di evitare parte del primo tiro per partire quindici metri più in alto e ricollegarci alla via con una breve traversata obliqua verso destra.
Prima di iniziare ad arrampicare guardo verso il Sass d’Ortiga: oramai Franz e Mauri dovrebbero essere sotto la parete e, come noi, accingersi alla scalata.
Infatti, vedo i "puntini" muoversi proprio sulla verticale calata dal gran diedro della Scalet: penso a come sarebbe diversa la mia situazione psicologica se fossi là anch’io e mi accingessi a salire una via di quella levatura.
Intanto sistemo due dadi "a contrasto" per la sosta e faccio sfilare le due corde da 9 millimetri.
Inizio proprio mentre, più sotto, un altro capocordata attacca la nostra stessa via; anche lui è con una ragazza.
Faccio un tratto abbastanza breve per fermarmi alla sosta; l’altro mi affianca per fermarsi a sua volta.
Facciamo le stesse manovre e recuperiamo le nostre compagne di cordata.
Intanto dall’altra parte della valle Franz fa la stessa identica cosa con Mauri.
Nel silenzio delle giornate di ottobre, quando pochi girano per le montagne, le voci dei rari che arrampicano si sentono distintamente.
Infatti, sentiamo anche le voci dei nostri amici sullo spigolo del Dente: pare di capire che abbiano qualche problema a trovare la via tra i mughi dello zoccolo basale.
Lasciamo ripartire l’altra cordata, tanto si è già visto che il primo è esperto e quindi molto veloce, e, del resto, noi non abbiamo alcuna fretta.
Attendo che parta anche la ragazza e poi riparto a mia volta, salendo con calma.
La roccia è verticale, gli appigli netti e sicuri, la forma a fine stagione non manca: mi posso permettere di fare un po’ di "accademia".
Alla sosta le solite manovre si susseguono metodicamente.
Lo sguardo corre al di là della valle sulla magnifica parete del Sass d’Ortiga, bella, levigata, di roccia grigia, con quel solco formato dal diedro in cui corre la via Scalet che sembra tagliarla a metà.
Franz e Mauri sono sotto al pronunciato strapiombo che pare voler impedire l’accesso al diedro soprastante.
E’ ancora Francesco che conduce la cordata: era prevedibile, è in condizioni di forma strepitose dopo un’estate di notevoli scalate, tutte di ottimo livello.
E’ passato poco più di un anno da quando venne ad iscriversi al corso di alpinismo della sezione, con tanto entusiasmo e nessuna esperienza.
Ma si vedeva che aveva la "stoffa" dell’alpinista.
Fu naturale per me, a fine corso, proporgli di arrampicare assieme.
Certo non avevo immaginato una crescita tecnica così prepotente e rapida.
Anche Beatrice era fra gli allievi di quel corso di alpinismo ed ora è qui che sta salendo, tranquilla.
Ha vinto le insicurezze con le quali si era presentata e, forse anche oltre le sue aspettative iniziali, ha preso ad arrampicare facendo grandi progressi, fino a diventare una "seconda" di cordata molto affidabile.
La nostra salita prosegue, la roccia è sempre dritta, grigia, solida.
Un’altra sosta e di nuovo la mia attenzione e la mia mente vanno al di là della valle.
Franz e Mauri hanno lasciato lo strapiombo alle spalle e sono oramai prossimi ad "entrare" nel diedro: i comandi della cordata si sentono nettamente, quasi mi sembra di essere là con loro, anzi, forse, un po’ con la testa ci sono veramente.
Se non fosse che devo arrampicare a mia volta starei a seguire la progressione dei miei due amici.
Intanto ci aspetta un diedrino da cui si esce con una traversata obliqua, un po’ delicata.
Spiego alla Bea i movimenti da fare mentre li compio, poi salgo i seguenti metri facili che portano sotto al tratto più difficile della via.
La Bea segue con tranquillità, mentre io continuo, con lo sguardo, ad arrampicare sul Sass d’Ortiga.
Poi proseguo affrontando lo strapiombo, probabilmente facendo gli stessi gesti che sta compiendo Francesco: la differenza è che qui è IV+ e sono cinque metri, mentre là è V+ e i metri sono cinquanta.
Mi fermo poco sopra, ad una bella clessidra e recupero le corde.
Intanto il "puntino" Francesco è arrivato sopra al diedro e sta dando i comandi al "puntino" Mauri perché parta e affronti a sua volta il tiro chiave.
Sembra ieri quando, ad una delle primissime uscite fatte assieme, mi chiese di poter provare di fare il capocordata.
Eravamo sotto al Cusiglio, avevamo rinunciato a salirne lo spigolo, troppo stanchi (soprattutto io) dell’avvicinamento di due ore sotto il sole e della lunga arrampicata del giorno precedente che ci aveva impegnato fino a sera inoltrata.
Gli consegnai tranquillo tutto il materiale "da primo", dopo avere, insieme, piantato i chiodi della sosta.
Salì veloce il tiro di corda, posizionando alcuni rinvii per l’assicurazione.
Al suo comando, lo seguii, per raggiungerlo alla sosta.
Lo trovai praticamente appeso ai due dadi che aveva posizionato, a contrasto, e mentre io salivo gli ultimi metri che mi separavano dalla sosta mi spiegò, con entusiasmo e precisione, il ragionamento che lo aveva portato a realizzare "l’opera".
"Non male per un principiante" pensai e dissi "As ved propria ca tiè un inzgnèr".
Intanto la Bea arriva oltre lo strapiombo.
Sorride, vuol dire che non ha avuto problemi e, del resto, io la corda non l’ho tirata.
Sull’ultimo tiro facile che ci separa dalla cima faccio una piccola variante, solo un po’ più difficile e rapidamente sono fuori.
Punta Disperazione è una vetta di secondaria importanza alpinistica, ma dalla sua punta si abbraccia tutta la Val Canali.
La Bea segue allegramente: la salita le è piaciuta.
Franz e Mauri, intanto, hanno compiuto anche la traversata dopo il diedro ed ora non sono più visibili.
Adesso si staranno avvicinando alla vetta con la consapevolezza di avere "in tasca" la loro bella arrampicata.
Provo un po’ di invidia, ma…è meglio cominciare a scendere.
Arriviamo abbastanza rapidamente al Vallon delle Mughe e ci andiamo a sistemare al sole: intanto, sulla cima del Dente ancora non sbuca nessuno e la normale del Sass d’Ortiga guarda su un altro versante.
Qualche volta, fare vie di secondo piano ha i suoi aspetti positivi.
Ad ottobre, per esempio, si può godere del sole ancora caldo dell’autunno ed è molto piacevole schiacciare un "pisolino" stesi sull’erba.
Il tepore sembra cullarti e sai che è un piacere quasi "rubato", perché alla prima perturbazione cadrà la neve sulle cime più alte e si avvicinerà l’inizio della stagione fredda.
Ricordo uno di questi pisolini d’ottobre sui prati del Sass Pordoi, con Andrea, chiamato scherzosamente "la guida indiana" per le sue doti di orientamento non propriamente eccelse.
Avevamo salito la via della "galleria" e, sui primi tiri , eravamo stati bersagliati da una scarica di sassi durata alcuni minuti.
Era successo proprio sul tiro della traversata orizzontale: uno su una sosta e uno sull’altra, con la paura che quei proiettili naturali potessero colpire, oltre a noi, anche la corda, spezzandola.
Ma eravamo stati fortunati e, a metà pomeriggio, arrivati ai prati sopra il Passo Pordoi, oramai a portata di auto, avevamo "ceduto" all’abbraccio dell’erba e del tiepido sole ottobrino.
Proprio come adesso….
Intanto, nel dormiveglia, arrivano distintamente le voci dalla cima del Dente e i nostri amici iniziano a scendere per la via normale.
Che strano vedere quei puntini muoversi, sospesi alle corde.
Poi arrivano fino a noi e si avviano verso valle.
Rimaniamo io e Obelix: vogliamo aspettare che Franz e Mauri spuntino dalla forcella delle Mughe, prima di partire a nostra volta.
Risaliamo un po’ il vallone fino a quando li vediamo spuntare.
Ora siamo tranquilli, ma io non ho voglia di scendere a valle e lascio andare Davide da solo. Risalgo invece il vallone per andare incontro ai due.
In fondo, oggi ho arrampicato con loro, e con loro voglio almeno scendere.
Quando li vedo hanno la faccia che mi aspetto che abbiano: Franz è il ritratto della soddisfazione e della contentezza, Mauri ha il volto di chi ha stretto i denti ed ha dato fondo anche alle energie residue.
Probabilmente il volto che avrei io se fossi veramente andato con loro e non avessi fatto solamente l’arrampicata….telepatica.

Gabriele Villa

 

Ferrara, 02 luglio 2002