Il Gazzettino.it  12/08/2011

                                   


«La montagna si affronta con lo stesso stile con cui si affronta la malattia:

un passo dopo l'altro, in umiltà e senza mai perdere il coraggio.

Con l'obiettivo di tornare insieme in Himalaya».

 


«La montagna si affronta con lo stesso stile con cui si affronta la malattia: un passo dopo l'altro, in umiltà e senza mai perdere il coraggio. Con l'obiettivo di tornare insieme in Himalaya». Così disse Nives Meroi al Gazzettino nell'ottobre 2010 quando le salite delle scale dell'ospedale di Udine - dove era ricoverato il marito e compagno di cordata Romano Benet - avevano preso il posto delle ascensioni sui giganti del mondo.
Obiettivo raggiunto. Perchè l'amore e l'amicizia brillano più dei record.
Mettici, poi, tenacia, passione, classe. Vero Nives?
«Siamo a casa ora e va tutto bene. Partiamo per un trekking in Nepal a fine ottobre con rientro previsto giusto dopo un mese». Nessun progetto legato a grandi imprese alpinistiche per i due tarvisiani.

«Non abbiamo fatto alcun allenamento a tavolino, ma solo camminate in montagna. Andremo, con amici, a trovare gli amici di lì: siamo in vacanza finalmente.
Certo testeremo le reazioni in alta quota di Romano. Per ora non mettiamo Ottomila in programma, magari dopo potremmo pensarci».

La meta dei due fortissimi scalatori «in vacanza» è il Mera Peak, 6476 metri, a sud dell'Everest, nella zona del Khumbu. Niente male come prima sgambata. Sì, perchè a fine giugno Nives Meroi aveva così anticipato la rentrée: «Romano sta meglio e abbiamo incominciato a sgambettare in montagna».

Ecco che dopo «due anni in giro per ospedali» Romano ha superato alla grande la prova del nove, sul Gran Paradiso: «È come rinato».

Romano Benet e Nives Meroi rappresentano l'unica coppia di alpinisti che, insieme, hanno raggiunto 11 delle vette più alte del globo senza ausilio di ossigeno e senza alpinismo assistito, ovvero portatori di alta quota: Nanga Parbat, Shisha Pangma, Cho Oyu, Gasherbrum I e II, Broad Peak, Lhotse, Dhaulagiri, Everest, K2, Manaslu.

Poi l'episodio che nel maggio 2009 fa girare le carte, proprio quando Nives era ad un passo dal diventare la prima donna a salire, come fece Messner, tutti i 14 Ottomila.

La cima del Kangchenjunga (m.8586) era là, ma Romano si sente male: «Lui mi propose di salire all'ultimo campo dove si sarebbe fermato. Ma poi saremmo stati in grado di tornare giù?».
Da quel momento la conquista più dura è diventata vincere la malattia rara (una aplasia, sorta di deficit nella produzione di componenti del sangue) che ha richiesto terapie non da poco: due trapianti di midollo e, successivamente, 71 giorni in isolamento.

«Romano ha vissuto questo tempo con l'identico approccio mentale che aveva quando rimanevamo bloccati dentro la tenda per la bufera».
È una storia di montagna dura e dolce quella di Nives e Romano che se ne vanno, con impegno morale, portando la loro storia in un giro di conferenze sul tema «Io sono le montagne che ho salito».

Si tirano fuori dallo zaino «i successi, ma pure le delusioni come quelle su Makalu, Annapurna e Kanchenjunga».

Le tre montagne non salite dove - lo credono tutti - prima o poi Nives e Romano arriveranno.