Una serata con Elio Orlandi

a cura di Gabriele Villa 


Il pre serata: i preparativi e l’attesa assieme all’ospite

Ho avuto la fortuna di trovare una donna che condivideva la mia passione per la montagna e per un certo tipo di vita libera, nella natura anche selvaggia, e le cose semplici.”
Se ha gestito un rifugio alpino non può essere diversamente.” – osservo, avendo letto una lunga e articolata intervista fatta ad Elio Orlandi da Vittorino Mason.
Ma quale rifugio?” – chiede Tiziano.
Il rifugio Altissimo del Baldo che ha gestito per nove anni e poi il rifugio Cacciatore in Val d’Ambiez per cinque anni. Tutto è iniziato nel 1982, anno nel quale io avevo appena superato gli esami da Guida alpina. Nello stesso anno ho costituito l’impresa assieme ad altri due soci e ho avuto l’altra fortuna di trovare due persone “giuste” per andare avanti nel tempo e non litigare: loro mi hanno sempre capito quando “staccavo” e andavo per le mie avventure alpinistiche, un po’ come ha fatto e fa tuttora la moglie in ambito familiare.
Quando prendi, molli tutto e parti ti senti anche un po’ in colpa verso la famiglia e anche verso chi lavora con te, però credo che quando torni a casa e sei sul lavoro la tua presenza è più motivata, ti impegni al massimo, anche un po’ come se tu volessi farti perdonare.
Probabilmente sta in queste due frasi il “segreto” di Elio Orlandi alpinista di rilievo internazionale, ma anche e soprattutto uomo “normale”, che sta bene nei suoi panni di lavoratore/imprenditore in un’azienda di disgaggi, manutenzioni e lavori di consolidamento e messa in sicurezza delle pareti sopra le strade di montagna.
Un lavoro per il quale ha rischiato la vita non più di due mesi fa, durante un volo in elicottero per ispezionare dei para valanghe lungo il ripido costone di una montagna.
Improvvisamente, abbiamo sentito un rumore infernale mentre eravamo vicini alla parete e in un attimo ci siamo ritrovati a testa in giù dentro l’elicottero precipitato e subito dopo abbiamo visto le fiamme entrare nell’abitacolo. Eravamo in cinque, ma solo quattro sono riusciti ad uscire, il pilota forse stordito da un colpo alla testa è rimasto imprigionato ed è morto bruciato.
Io sono stato raggiunto da una fiammata che mi ha bruciato il fondo schiena, con ustioni abbastanza serie; non abbiamo capito cosa sia successo, se la pala ha toccato la parete, o un vuoto d’aria, o un guasto e la fortuna ha voluto che si sia tranciato il serbatoio, altrimenti sarebbe esploso e non ci sarebbe stato scampo per nessuno, come anche se l’elicottero non fosse stato fermato dall’ultimo paravalanghe sopra un canalone di alcune centinaia di metri
”.
Deglutisce a fatica Elio, il ricordo di quei momenti tragici è ancora vivo e brucia come le fiamme che lo hanno “morsicato” duramente: “Conoscevo bene il pilota, c’erano buoni rapporti di conoscenza tra noi, ed è sempre dura superare certe cose della vita…”.
Intanto hanno portato i cappellacci perché siamo a tavola per mangiare qualcosa prima della serata alla Sala Estense il cui titolo è “I colori delle emozioni”, ma al momento l’unico colore è il giallo dei cappellacci burro e salvia che attendono nel piatto che il nodo alla gola si sciolga.
Sappiamo bene, noi quattro lì a tavola con lui, che Elio di nodi ne ha un altro ancora più grosso, lui che ha perso un compagno e grande amico, travolto da una valanga al Cerro Torre il primo gennaio del 2010, lasciandogli una ferita che ancora deve rimarginare.
Bisogna sapere andare avanti perché la vita la devi comunque vivere e non puoi farti travolgere, ma sono momenti duri da superare, ci vuole tempo… tanto.”

La presentazione: momento formale, ma non troppo

Per noi dell’organizzazione è sempre un momento piacevole il pre serata proprio perché avviciniamo l’ospite anche dal punto di vista umano, parlando ad ampio raggio, quindi non solo di montagne e scalate, ma di vita di tutti i giorni, di figli che crescono (lui ha due figlie di 19 e 11 anni), di problemi di lavoro, di viaggi e avventure minori, scoprendo a volte affinità o sensibilità spesso inaspettate.
Poi si torna verso la Sala Estense, ed iniziano i preparativi, si ripassa la “scaletta” della serata, mentre un po’ l’emozione sale, non solo in noi, ma anche nell’ospite e sorprende pensare che chi viene a raccontare avventure nelle quali ha superato difficoltà, disagi, pericoli, correndo rischi, a volte vivendo tragedie tremende, si emoziona nell’affrontare il pubblico in sala.
Personalmente mi ritengo fortunato di essere stato scelto come “presentatore” degli ospiti di “Inseguendo i profili”, anche se è un’incombenza che richiede un approfondimento della conoscenza per poterlo fare con essenzialità, ma soprattutto cercando di cogliere aspetti che vadano oltre l’elencazione di montagne scalate o di prestazioni alpinistiche da quantificare in gradi di difficoltà, sicché mi sento il primo ad “inseguire” il profilo dell’alpinista che anno dopo anno si sussegue nella manifestazione.
Nel presentare Elio Orlandi avevo uno scrupolo in più perché avrei voluto parlare al pubblico di un grande gesto che da solo può dare la misura dello spessore umano dell’alpinista Orlandi, ma al tempo stesso sapevo che avrei toccato una ferita non ancora del tutto rimarginata.
La decisione l’ho presa solo una volta arrivato sul palco, pure in considerazione del fatto che tra i filmati scelti per la proiezione c’era anche quello che ricorda Fabio Giacomelli.
Proprio per cercarne il corpo e poterlo riportare ai suoi cari, dopo che era stato sepolto da una valanga al Cerro Torre, lui ha messo a repentaglio la sua vita in uno slancio di grande nobiltà, che le cronache giornalistiche non hanno esitato a definire “gesto eroico”.
Ricordo bene di avere percepito una specie di sospiro soffocato da parte di Elio Orlandi quando ha capito ciò di cui stavo per parlare; c’è una foto di Leo che coglie proprio il momento nel quale Elio abbassa lo sguardo, Beatrice che lo osserva con un velo di apprensione, ma ricordo anche, e devo dire con grande soddisfazione, il caloroso e ammirato applauso che il pubblico gli ha rivolto.

La serata: “I colori delle emozioni”

La scaletta della serata, stavolta, l’ha fatta lo stesso Elio Orlandi, scegliendo di partire con i filmati subito dopo la sua presentazione da parte nostra, “Io parlo dopo il primo filmato. – ci ha detto, e alla Beatrice che lo guardava un po’ sorpresa – Vedrai che funzionerà bene. Fidati!”.
Solo a fine serata ho capito che voler partire subito con i filmati dopo la presentazione era strategico per evitare di dover parlare lui di se stesso di fronte al pubblico, preferendo che fossero le immagini a parlare per lui. 
Chi si aspettava un inizio roboante, con musica incalzante e scene di arrampicata estrema si sarà dovuto ricredere, ma ne sarà stato piacevolmente sorpreso, come me del resto.
Il primo filmato, “Cerro Torre. Nord e ancora nord” è il racconto di una salita al Cerro Torre, sfumata a causa del cattivo tempo, quindi la cronaca di una “sconfitta” alpinisticamente parlando, ma è proprio qui che si rivela l’Elio Orlandi regista, attento alle emozioni degli alpinisti colti in momenti di riflessione all’interno delle tende battute dalla pioggia e consapevoli che quelle sono le regole della Patagonia, terra nella quale le condizioni meteorologiche contano più della volontà e delle capacità degli arrampicatori.
Il secondo filmato, “I colori delle emozioni”, è invece il racconto di una scalata andata bene, in un luogo selvaggio sempre nelle terre di Patagonia, nella zona del Paine, però nel presentarlo Elio Orlandi non parla mai di difficoltà alpinistiche, quanto piuttosto dei legami di amicizia che si rinsaldano tra i protagonisti della scalata, che tanto le immagini spettacolari rendono bene il senso dei luoghi, le verticalità della parete che non danno respiro, le difficoltà tecniche di una montagna che allo steso tempo attrae e incute spavento.
Segue “Patacorta”, un ritratto affettuoso e accattivante, divertente e a tratti struggente, di Cesarino Fava, l’uomo che era con Cesare Maestri e Toni Egger al Cerro Torre nel 1959, accompagnato ad arrampicare su vie impegnative oramai sulla soglia degli ottant’anni e colto in momenti di quotidianità e di riflessione sulla vita, sui valori dell’alpinismo, sul suo vissuto di uomo e di alpinista.
La serata prosegue con un filmato “doveroso”, quasi un passaggio obbligato, un omaggio a Fabio Giacomelli, il compagno perso al Cerro Torre, travolto da una valanga, per recuperare il corpo del quale lo stesso Elio Orlandi, solo e a rischio della propria vita, è rimasto a cercare e scavare fino a riuscire a trovarlo per poter restituire almeno le spoglie alla famiglia.
“Giac” racconta la figura di Giacomelli, lo fa vedere raccontare il suo alpinismo, la sua passione e lo mostra in alcune vertiginose immagini di arrampicata.
La conclusione è affidata a “Children of Usche” e l’alpinismo di “prestazione” si mescola all’aspetto umano di chi raggiunge luoghi lontani e prende contatto con un mondo “diverso” nel quale la vita ha tutt’altro metro di misura rispetto ai canoni occidentali, così proprio l’incontro con i bambini dell’ultimo paese prima di arrivare alla montagna da scalare apre l’animo a ciò che Elio più volte chiama “sensibilizzazione” e spinge ad avviare un’iniziativa umanitaria per aiutare la realtà disagiata di quei bambini, per portare loro un aiuto che dia un’opportunità di studio e di un futuro migliore, pur nella consapevolezza che ciò possa essere solo una goccia nell’oceano, ma ugualmente consapevoli di fare qualcosa che si sente “nobile”, oltre che utile.

Un alpinista tenace, un regista espressivo, un uomo sensibile

Credo che il pubblico sia riuscito a comprendere la caratura dell'alpinista Elio Orlandi, del resto chi conosce la Patagonia, le sue guglie di granito e il suo clima ostile sa quanta tenacia sia necessaria per arrivare laggiù e cogliere dei successi alpinistici. Orlandi non solo è andato in Patagonia, ma anche nelle zone meno conosciute e frequentate ad inseguire un alpinismo quasi "primordiale", come i "cavalieri" della fase eroica dell'alpinismo nelle Dolomiti.
Qualcuno che lo conosce bene lo ha definito uno "splendido orso" e io la trovo una definizione molto azzeccata e credo che nel termine "orso" ci stia quella ritrosia che gli è naturale e forse sconfina in una certa timidezza e nello "splendido" ci stia la sua ammirevole capacità espressiva come regista, ancora più apprezzabile se si pensa alle condizioni disagevoli, e spesso ostili, in cui realizza le sue opere, con videocamere non professionali.

Mentre lo accompagnavo all'auto Elio mi chiedeva come mi sembrava fosse riuscita la serata e io gli ho risposto con una personale sensazione che ritengo sia stata percepita e condivisa da tutti:
"Credo che molti saranno rimasti sorpresi, come sono rimasto sorpreso io: sei un'alpinista estremo e le immagini lo hanno documentato stupendamente, ma sei riuscito ad arrivare a fine serata senza pronunciare un solo numero che facesse riferimento a difficoltà alpinistiche. Volevi trasmettere le tue emozioni nel praticare l'alpinismo e nel visitare terre lontane e secondo me ci sei riuscito benissimo perchè hai una capacità espressiva sorprendente."
Posso assicurare che non erano parole di cortesia, ma l'espressione di una precisa sensazione provata che, secondo me, si estrinseca mirabilmente nel bellissimo e affettuoso ritratto di Cesarino Fava, nel film "Patacorta".
Beh, per concludere senza volere enfatizzare troppo, devo dire che l'alpinista Elio Orlandi lo conoscevo per le sue imprese e l'ho apprezzato, mentre il regista nel mix di film che ha proposto mi ha decisamente stupito.

Una serata con Elio Orlandi
a cura di Gabriele Villa
Ferrara, giovedì 27 ottobre 2011


Nota:Le immagini della Patagonia e quelle di arrampicata sono di Elio Orlandi, mentre quelle che documentano la
       serata alla Sala Estense sono di Leonardo Caselli.