Incontro con Silvio "Gnaro" Mondinelli, il "pestaneve"

a cura di Gabriele Villa   

Immaginatevi la fermata di un autobus, un tipo fermo che sta aspettando proprio lì, non l’autobus, ma una persona che lo deve accompagnare ad un teatro nel quale, di lì a non più di tre ore, dovrà tenere una serata proiettando film di alpinismo ed intrattenendo successivamente un folto pubblico, perché lui è un alpinista di fama ed è stato invitato appositamente per fare proprio quello.

Si avvicina una ragazza, si ferma a fianco a lui e, dopo poco, nasce tra i due un inconsueto botta e risposta.

Stai aspettando l’autobus?

No, aspetto una ragazza.” – risponde lui per cortesia.

E’ carina, almeno?” – continua lei.

Non lo so. Non l’ho mai vista.”

Allora perché l’aspetti?” – insiste la sconosciuta.

Mi deve accompagnare in un posto, perché io non sono di qui.” – risponde ancora lui gentilmente.

Ma cosa fai nella vita?” – domanda ancora lei curiosa.

Faccio il maestro di sci e la guida alpina.”

Cosa vuol dire guida alpina?

Che accompagno la gente sulle montagne.”

Quali montagne?

Beh, il Monte Rosa, per esempio.”

Mai sentito nominare.” – risponde la “strana” interlocutrice.

Poi arriva un’automobile con la ragazza che lui stava attendendo e così saluta con un “ciao”, e la conversazione finisce. La ragazza arrivata con l’automobile era Beatrice Bonilauri, l’organizzatrice della rassegna del CAI Ferrara, “Inseguendo i profili”, lui era Silvio “Gnaro” Mondinelli, l’ospite atteso per la serata.
Cosa c’entra tutto questo con “Il gioco degli 8000 che Mondinelli ha presentato alla Sala Estense di Ferrara la sera di giovedì 6 novembre 2008?
Ma… forse niente, tuttavia è la prima cosa che ha raccontato, visibilmente divertito, subito dopo che ci eravamo presentati, mentre andavamo, assieme a Beatrice, verso il teatro di Piazza Municipale per sistemare il proiettore ed eseguire le prove tecniche di proiezione dei filmati da presentare durante la serata.
Ma che strani tipi avete qui a Ferrara?” - ha concluso ridendo.
Abbiamo riso divertiti pure noi, assieme a lui, cogliendo in quella conversazione che ci aveva appena raccontato la semplicità, la “genuinità” e la spontaneità della persona.

 

Le cose sono poi proseguite secondo prassi che stanno diventando familiari da quando la rassegna “Inseguendo i profili” ha un po’ cambiato i propri schemi presentando un solo personaggio “importante” (alla Sala Estense), piuttosto che una serie di personaggi, forse meno famosi, ma più diversificati (presso l’Aula Magna del Dipartimento delle Risorse Naturali e Culturali dell’Università, in Corso Porta Mare).
Si entra in teatro, gli assistenti cominciano a tirare fuori le attrezzature, il tavolino, il proiettore, il video lettore, l’ospite prepara i suoi DVD, il materiale da mettere in vendita all’ingresso, eventuali libri e pubblicazioni (se ci sono). Pian piano arrivano anche i collaboratori a vario titolo: la Maria Grazia come avanguardia dello staff tutto femminile che sta all’ingresso sala e gestisce i gadget, Tiziano in qualità di esperto di proiettori multimediali, Leonardo con macchina digitale a tracolla e l’intento di documentare dettagliatamente la serata.
La mia presenza ufficiale è quella di “Addetto Stampa” della Sezione del Club Alpino ferrarese e della manifestazione, cioè quello che cura l’informazione del prima e del dopo serata, verso i soci del CAI con le pubblicazioni sezionali e verso la cittadinanza attraverso i quotidiani locali.
Presenza che “nasconde” anche altre matrici: quella di alpinista appassionato e quindi di interessato spettatore, di presentatore dell’ospite di turno, ma anche di “inviato” del sito intraigiarùn, un inviato senza pretese, ma con tanta curiosità di guardare “come vanno le cose” e di raccontare, se se ne presenta l’opportunità, non solo quelle ma anche un po’ del personaggio stesso, nella maniera più semplice possibile. 

 

Cominciano i preparativi e intanto si chiacchiera.
Mondinelli ci racconta che è arrivato abbastanza presto ed ha potuto fare un giretto in città e che gli è piaciuto ciò che ha visto, mentre anni fa, quando venne per sottoporsi ad alcune prove attitudinali in funzione dell’alta quota, non ne ebbe occasione per via del giubbetto con sensori che gli avevano applicato sul corpo.
Non ci pareva il caso di girare in mezzo alla gente con tutti quei fili a penzoloni, sembravamo dei robot e così siamo rimasti in albergo”.
Sei venuto dal professor Conconi? – mi viene spontaneo chiedergli.  
No, sono andato dalla Annalisa Cogo. – poi sorride e aggiunge – Non ho mica ancora bisogno di Conconi. Figurati che al ritorno da un lungo periodo trascorso in quota, qualche anno fa, mi hanno trovato i valori dell’ematocrito a 62.”  
Viene ben da meditare sulle sue potenzialità fisiche, se si pensa che i ciclisti professionisti li fermano quando l’ematocrito supera il valore di 50 perché ciò succede quando si ricorre a pratiche dopanti per innalzarlo ed aumentare così le prestazioni agonistiche.

Ci racconta anche un aneddoto al proposito, relativo ad una gara podistica a staffetta riservata agli over 40 cui ha partecipato assieme ai campioni regionale e nazionale master.
Mi hanno detto: tu fai la prima frazione così se perdi terreno, poi noi possiamo recuperare. Due giorni prima della gara siamo andati a provare il percorso e siamo partiti insieme, ma ad un certo punto quando mi sono girato loro erano rimasti indietro. Mi hanno detto ‘Gnaro, ma cos’è che hai preso giù?’ e io ho risposto che ero semplicemente stato due mesi all’Everest e che quando torni dagli ottomila e ti ritrovi a casa praticamente voli quando fai attività fisica”.      

Mentre fervono i preparativi, arrivano un operatore ed una intervistatrice di Sky, per un colloquio con Mondinelli precedentemente concordato telefonicamente.
Sistemano due seggiole sul palco della Sala Estense, Mondinelli darà le spalle al telo nero e il volto verso la sala, l’intervistatrice gli starà di fronte. Fanno le prove e capisco che stando ai piedi del palco riuscirò a sentire, se non le domande, almeno le risposte di Gnaro, per cui preparo penna biro e moleskine. 
In effetti, la ragazza parla a voce abbastanza bassa ed è girata con le spalle verso di me, qualche domanda la raccolgo, altre le sento parzialmente o le intuisco, ma non mi scoraggio anche perché mi pare che siano le risposte quelle che contano.

In cosa consiste il tuo lavoro?

Io scherzando dico sempre che faccio il “pestaneve”.
Vuol dire rinunciare a tante cose, ma lo fai per i tuoi obiettivi. 

Sei uno dei pochi uomini al mondo ad avere salito tutti gli 8000 e per di più senza l’uso dell’ossigeno supplementare. Come ti è venuta la spinta?

E’ un po’ come mangiare la cioccolata. Mangi il primo cioccolatino, ti piace e allora continui, ma dietro ci sono tanti sacrifici, tante rinunce. 

Cosa ti piace di quei luoghi che vai a vedere?

A vent’anni andavo e guardavo solo in su, adesso guardo intorno e vedo cose che prima non vedevo. Ho visto la miseria, occhi piangere e soffrire.
Ho fatto una onlus con amici: con i soldi raccolti abbiamo costruito una scuola, un ospedale …
Ho girato quei paesi con un cineoperatore: io facevo l’alpinista e lui documentava il mondo che c’era intorno. Ho potuto vedere molto attraverso le sue riprese.
Da lì abbiamo iniziato, ben sapendo che è una goccia nel mare, ma lo abbiamo fatto lo stesso…

Tu sei anche impegnato in Guardia di Finanza come soccorritore cinofilo …

Sono nel Soccorso Alpino da oramai trent’anni. L’ho sempre fatto, mi viene naturale.
Sono conosciuto più per i soccorsi che per le montagne che ho fatto. 

La tua attività alpinistica è molto rischiosa…

Sono morte 27 persone che conoscevo da quando vado in Himalaya, ma io ho sempre continuato ad andare. Io non so fare il muratore, o il panettiere, o il giornalista come te – dice guardando l’intervistatrice dritto negli occhi. - So fare solo questo e allora continuo a farlo. 

Non può mancare una domanda sulla disavventura toccata a Marco Confortola sul K2.

A Marco è successa una cosa brutta, ha riportato congelamenti rilevanti, ci rimetterà un po’ delle dita dei piedi, ma potrà continuare ad arrampicare, ad andare in montagna.
Diciamo che quando succede non è bello in sé, ma è bello poterlo raccontare, perché vuol dire che hai salvato la pelle e, alla fine, quello è l’importante.
Io mi sono congelato le dita, ma me le hanno salvate. E’ stato al Kanchenjunga. 

Cosa pensi di fare ora?

Ho messo insieme cinquant’anni e dovrei smettere con gli 8000 e fare altre cose.
Il fatto è che è più facile continuare che smettere.
Ho ancora due o tre progetti in Himalaya e qualche azione umanitaria da portare avanti.
Però so che prima o poi dovrò calare gli obiettivi e successivamente anche smettere. 

Gli chiedono cosa è per lui l’estremo?

Se penso alla mia esperienza devo dire che quando ho dovuto fare un esame ed ho dovuto prepararmi e studiare mi è sembrata una cosa estrema.
Io per esempio darei tutti i miei 8000 per sapere suonare uno strumento musicale: ecco per me quella sarebbe una cosa estrema. (*) 

L’intervista infine si conclude con un saluto che gli chiedono di fare agli spettatori della trasmissione sulla quale verrà mostrato il servizio e Mondinelli conclude con un invito agli spettatori di visitare gli affascinanti territori del Nepal. 


(*) Questo deve essere proprio un suo sogno ricorrente. Infatti, ecco cosa scrive nel suo diario di spedizione, riportato sul suo sito internet.  

15.07.2007 – CIAO BROAD PEAK

Mentre, insieme agli altri, smantellavo il Campo Base non ho potuto fare a meno di fermarmi a osservare il Broad Peak. Fissando il profilo maestoso della montagna ho ripensato a Kurt Diemberger e ai suoi compagni, che 50 anni fa l’hanno scalata per la prima volta, e all’amico Berti che nel 1984, con una spedizione italiana, ha scattato la sua foto sulla cima di questa montagna. Quante persone, quante storie diverse, per me è stato il capolinea delle ascese sugli ottomila. Salire tutti i 14 ottomila è una meta impegnativa; personalmente mi ero prefissato di raggiungere questo obiettivo e, dopo quattordici anni di fatiche, sacrifici e tanti momenti di vita quotidiana della mia famiglia persi, ci sono riuscito.

A questo punto, la domanda che molti giornalisti mi hanno posto in questi ultimi due giorni e che io stesso mi sono posto è: “E adesso che cosa farai?”

In verità, un altro sogno ce l’avrei: imparare a suonare il sassofono come Sonny Rollins.

Credo però che continuerò a fare il “pestaneve”; sono certo che non passerà molto tempo prima che trovi un qualche espediente per giustificarmi con i  miei famigliari e tornare in Himalaya. Sì, insomma, il lupo perde il pelo, ma non il vizio! 


Terminata l’intervista e pure tutte le prove tecniche, andiamo a mangiare qualcosa in una vicina trattoria tipica ferrarese (immancabile, ovviamente, un piatto di cappellacci al ragù) e colloquiamo amichevolmente parlando un po’ di tutto, di figli, di spedizioni, di congelamenti e anche del grande Kurt Diemberger di cui Gnaro è buon amico.
Poi si torna alla Sala Estense che, pian piano, si riempie di pubblico.
Mondinelli non è uomo da convenevoli e quindi nella mia veste di presentatore dell’ospite bado all’essenziale e lui, ancora più stringato di me, spiega un po’ i contenuti dei due DVD che presenterà e poi taglia corto, le luci si spengono e si comincia. 

 

 

Ecco come ha raccontato la serata, Margherita Goberti, inviata de “La Nuova Ferrara”.

«Gnaro», mago degli 8.000

FERRARA. Tutto esaurito anche per l'incontro tenuto alla Sala Estense con l'alpinista Silvio Mondinelli. Ci sono 14 montagne al mondo, alte 8000 metri e solo 7 uomini che le hanno scalate senza ossigeno; tra questi Mondinelli, detto “gnaro” (bambino in bergamasco).
Alto, slanciato, franco e deciso, dopo un breve saluto al numeroso pubblico presente, ha voluto lasciare alle immagini di due filmati i suoi messaggi positivi sulla montagna.
Nel primo “Gioco degli 8000” - perché lui considera un gioco andare su queste vette - attraverso un dialogo spiritoso fra un diavoletto impersonato da suo figlio e un angioletto, ha toccato temi dai significati profondi, quelli che uno scalatore si trova ad affrontare quando si accinge a compiere una grande impresa.
Domande e risposte, quesiti e riflessioni sulle motivazioni che spingono un uomo a rischiare la vita per conquistare una cima, consigli e suggerimenti di “farsi furbi”, tanto lassù non c'è nessuno che possa controllare; la scaltrezza unita alla disonestà, condannate da Mondinelli per principio, quello di un montanaro autentico che non si arrende di fronte ad un ostacolo o ad un insuccesso. Anche nel secondo filmato “Viaggia insieme a me” dove le immagini delle più belle montagne del mondo erano le protagoniste assolute, c'era il suo sogno di alpinista e la riconoscenza verso tutti coloro che in disparte, ma preziose ed indispensabili presenze, contribuiscono al successo dell'impresa.
Silvio Mondinelli è nato 50 anni fa a Brescia; a 18 anni entra in Finanza e prova ad affermarsi nel gruppo sportivo, senza raggiungere risultati particolari; decide allora di iscriversi ad un corso per soccorso alpino che gli rivela la sua grande passione per la montagna rimasta latente fino a quel momento. Esce istruttore, attività che svolte tuttora.
E' membro fondatore dell'Associazione Amici del Monte Rosa – onlus che si occupa di garantire istruzione e sanità ai bambini del Nepal; sono già 15 quelli adottati a distanza.
In primavera partirà per l'Everest.
 

A fine serata, volti soddisfatti, nonostante il secondo DVD si sia inceppato, facendo perdere alcuni minuti di proiezione. Il pubblico pian piano lascia la Sala Estense ed alcuni chiedono notizie a Mondinelli sulla sua onlus, altri chiedono di scattare una foto assieme a lui, intanto si mettono via le varie attrezzature, infine, si va a bere un bicchiere in un vicino pub.
Così, davanti ad una bottiglia di buon Cabernet si consumano gli ultimi scampoli di quella interessante serata e Mondinelli si conferma ancora di più un brillante conversatore, spontaneo, alla mano, cordiale e spiritoso.
Impossibile raccontare quella piacevole ora in compagnia, ma di certo ne esce rafforzata la sensazione di una persona di grande schiettezza e vien da pensare a quanto quel soprannome, “gnaro”, che in dialetto sta per “bambino”, possa essere azzeccato e calzante in ragione di una spontaneità e naturalezza che in un cinquantenne affermato non ci si aspetterebbe.
Di certo non si è parlato di gradi di difficoltà, di imprese estreme, di lotta con la montagna, né tanto meno di “conquiste”, quanto piuttosto di come è cambiato il Nepal in questi ultimi anni (e in peggio per “colpa di noi occidentali” lascia ben capire Mondinelli), di cosa vuol dire fare l’alpinista a tempo pieno e gestire i rapporti famigliari, di come certi equilibri che si instaurano nel rapporto di coppia possano col tempo venire compromessi e portare alla separazione, del rapporto con i figli che crescono e con cui ci si confronta cercando di dare insegnamenti positivi, fatti di principi di comportamento, di valori morali quali la sincerità, il rispetto delle regole di vita improntate a correttezza, lealtà, sincerità.  
Si è parlato anche di cosa significa gestire una scuola con 80 bambini in Nepal dovendo attivare dei controlli periodici, personalmente o per interposta persona, per essere certi che non vada tutto in malora, ma non per i soldi che andrebbero buttai via, quanto per non togliere futuro a quei bambini che resterebbero senza la loro scuola.
Se sanno leggere e scrivere si possono difendere nella vita, per questo abbiamo pensato a costruire la scuola in Nepal a suo tempo e per questo facciamo sacrifici per farla funzionare”.
Va detto che si è parlato “anche” di montagna, di alta quota, di freddo e rischio congelamenti, di metodi e modi personali di concepire una salita ad un 8000 e anche qui è emerso lo “stile” dell’alpinista, fatto di istinto animale, raziocinio, senso pratico, capacità di valutazione.
Una frase che ho annotato sul moleskine credo dia l’idea di questo “stile”.
Non c’è nessuno che va in cima alla montagna con cinquanta sotto zero.

Queste cose le trovi scritte sui libri, ma se fa freddo, o se c’è vento, te ne stai in tenda.
A me è capitato di battere traccia e ad un certo punto sentire freddo e avere una brutta sensazione. Ho girato e sono tornato indietro.
Mi hanno chiesto cosa facevo e io ho risposto semplicemente che avevo freddo e che quindi tornavo indietro, perché per me non c’era altro da fare. Io vado su di notte, col buio e mi muovo veloce e quando arriva il sole e fa caldo non sono là a pestare la neve e a sudare, come fanno quasi tutti gli altri, ma sono in tenda a sciogliere neve e a preparare da bere, reidratarmi e riposare
.”

Ecco dunque svelato il “segreto” di Silvio “Gnaro” Mondinelli: semplice no?
E se lo dice lui che i quattordici 8000 li ha saliti tutti, c’è da credergli.
A noi viene più semplice pensare a lui come ad un fuoriclasse con un fisico dalle potenzialità decisamente superiori alla norma, con un cuore generoso e una mente lucida che bada all'essenziale, governata da tanto buon senso pratico e da una passione autentica piuttosto che dall’ambizione personale.


Silvio Mondinelli con i redattori di intraigiarùn


Incontro con Silvio "Gnaro" Mondinelli, il "pestaneve"
A cura di Gabriele Villa
Ferrara, giovedì 6 novembre 2008