Una serata con Kurt Diemberger, la leggenda vivente

di Gabriele Villa

Per festeggiare degnamente l’ottantesimo di fondazione, la Sezione CAI di Ferrara aveva pensato di incentrare la rassegna "Inseguendo i profili" su di un’unica presenza ma di grande rilievo, ed alla fine la scelta è caduta sul noto alpinista, scrittore e cineasta Kurt Diemberger, scelta che si è rivelata azzeccata perché il pubblico ha risposto affluendo numeroso alla Sala Estense la sera di giovedì 25 ottobre 2007.  

La scheda sintetica di Kurt Diemberger recita così
<< Nato a Salisburgo (Austria) nel 1932, risiede da molti anni in Italia. E' alpinista di fama, cineasta e documentarista di successo, brillante scrittore, ha al suo attivo sei “ottomila” ed è l’unico alpinista vivente ad averne scalato due in prima assoluta: il Broad Peak nel 1957, senza portatori e senza respiratori d’alta quota ed il Dhaulagiri nel 1960, sempre senza respiratori. Gli altri "ottomila" raggiunti sono il Makalu (8463), l'Everest (8850), il Gasherbrum II (8035), il K2 (8611). Diemberger non si è dedicato soltanto alle montagne, ma è stato attratto anche dalle foreste, dai deserti di ghiaccio e di sabbia, da tutto ciò che riserva un fascino ignoto e quasi ogni anno vi si è recato per un'esplorazione o un’ascensione verso nuove e segrete frontiere. E' autore di vari libri e di una ventina di film che hanno vinto premi internazionali in tutte le manifestazioni del settore.
>>

Ma Diemberger è qualcosa di più dell’alpinista descritto nella scheda; la sua figura va oltre un elenco di cime salite e di capacità creative ed abilità espresse nelle attività da lui svolte. Indicativi al proposito sono alcuni passaggi della prefazione al suo ultimo libro “Passi verso l’ignoto”, scritta da Hans Kammerlander. 
<< Potrei dire di Kurt Diemberger che è un viaggiatore del mondo, un abitante degli ottomila, pronto alla conquista ovunque ci sia qualcosa che ne valga la pena; una persona consapevole delle proprie imprese, ma che mantiene una naturale modestia. Insomma, uno degli alpinisti più aclettici dei nostri tempi.

 
Da cercatore di cristalli ad alpinista estremo, da insegnante di economia e commercio a cineasta, dall’Untersberg sopra Salisburgo all’Everest. Durante il congresso alpinistico di Innsbruck del 2002 venne presentato come “Living legend live”. Una leggenda vivente, un onore assolutamente meritato. >>  

Beh, noi (e per noi intendo Beatrice ed Annalisa della Commissione Culturale sezionale, Tiziano tecnico del computer per la gestione dei DVD, io quale Addetto stampa e “presentatore”) abbiamo avuto il piacere di andare a cena con questa “leggenda vivente”, al termine delle prove del computer e del proiettore di diapositive effettuate in Sala Estense nel pre serata. In attesa di quanto ordinato (minestre tipiche ferraresi, per la cronaca) ha cominciato Beatrice con il farsi autografare il libro. 
“Ti faccio la firma lunga”
ha tenuto a precisare Diemberger, raccontandoci poi un aneddoto per spiegare come lui la firma la faccia contratta, praticamente incomprensibile, da quando nel 1960, partecipando alla spedizione svizzera che lo portò sulla cima del Dhaulagiri, si trovarono a firmare le cartoline dei simpatizzanti che erano state messe in vendita per finanziare la spedizione. Ne dovettero firmare ben 16.000 e lì la sua firma divenne la più corta possibile e tale rimase anche in seguito; oltretutto quando portarono le cartoline all’ufficio postale si videro consegnare il timbro con un eloquente “pensateci voi a timbrarle” la qual cosa, tra firme e timbratura, richiese una settimana di tempo. Mi accodo alla richiesta di Beatrice, facendomi autografare un foto scattata proprio con Kurt nel 1997 quando venne a Ferrara per ritirare l’attestato di Socio Onorario riconosciutogli dal Club Alpino Italiano e consegnatogli all’Assemblea Nazionale dei Delegati tenuta proprio nella nostra città (si festeggiava in quell’anno il settantesimo della fondazione della Sezione ed io avevo il piacere di esserne il Vicepresidente).
Si parla un po’ di tutto, di libri che sarebbero da ristampare come “Tra zero e ottomila” che oramai è divenuto irreperibile, di conferenze che tiene un po’ dappertutto, una fatta tempo addietro addirittura in Colorado, l’altra tenuta appena due giorni prima a Venezia, mentre le prossime saranno una in Spagna e due in Germania.
Si parla del Campo base dell’Everest, a cui si è recato nel 2004 al seguito della spedizione italiana (aveva quindi 72 anni compiuti): “… sono pur sempre 100 chilometri da fare a piedi – dice -  nonostante la nuova strada costruita per facilitare l’avvicinamento al ghiacciaio”.
Più tardi mentre mangia con gusto un’insalata mista ricorda di quando, nel 1957 al rientro dal Broad Peack, arrivarono nella zona verde (attorno ai 4000 metri) e cercarono il radicchio nei prati per farsi un’insalata e a noi che chiediamo come l’avessero condita risponde che “…non ricordo condimento, di sicuro non avevamo olio e aceto, ma sale ce n'era certamente”

Il tempo passa velocemente in questo piacevole conversare e presto arriva il momento di ritornare alla Sala Estense per l’inizio della conferenza e c’è anche il tempo per consentire ad un molto disponibile ed affabile Kurt di regalare a tutti una dedica autografa sulla pagina interna del libro a chi lo ha appena acquistato all’ingresso della Sala.  

Infine s’inizia ed ecco sul palco il presidente del Cai ferrarese Tomaso Montanari che confessa l’emozione di porgere il saluto ad un ospite così illustre, prima di passare il microfono ad un altrettanto emozionato presentatore, cioè il sottoscritto, mentre Kurt sorride pacifico.
Dopo avere elencato rapidamente i primati alpinistici di Diemberger mi piace ricordare al folto pubblico che gremisce la Sala Estense un episodio che ne dà la dimensione del carattere e del grande spessore umano. 
Nel 1957, quando a 25 anni partecipò alla sua prima spedizione, egli raggiunse da solo la vetta del Broad Peack perché il suo compagno (il grande alpinista tedesco Hermann Buhl) si era fermato a riposare, esausto e sofferente. 
Mentre oramai stava scendendo, lo vide avanzare provato ma deciso ad andare in vetta anche se oramai mancava poco al tramonto ed immediatamente, in uno slancio di amicizia e di ammirazione, gli si mise al seguito ed insieme a lui tornò sulla cima per la seconda volta. 
La storia dell’alpinismo non ricorda di nessuno che abbia salito due volte un “ottomila” nella stessa giornata, e senza bombole di ossigeno, e questo è un primato che non è registrato in nessun libro ma che rende onore non solo all’alpinista ma anche e soprattutto all’uomo Diemberger. Lui annuisce sorridendo ed il pubblico applaude caloroso. 
Poi lui spiega brevemente come si svolgerà la conferenza, tra diapositive a cui si intercaleranno i filmati d’epoca da lui realizzati fin sulla cima dell’Everest, di cui ricorda il filmato, “primo film con sonoro sincrono realizzato per la prima volta in assoluto direttamente sulla vetta”.      

Ed infine, spente le luci in sala, inizia la tanto attesa proiezione.
E’ stata sufficiente l’immagine iniziale, il Gasherbrum IV con una nuvola trasparente, lattiginosa e triangolare attorno alla cima, una specie di velo nuziale, (la materializzazione visiva di quelli che Kurt ha chiamato gli “spiriti dell’aria”) a catturare l’attenzione del pubblico presente. E lui ha parlato a lungo di quegli “spiriti dell’aria” cui sempre ha fatto riferimento nella sua vita di alpinista, interrogandoli per sapere da loro se fosse il momento giusto di salire sulla montagna, in particolare su quelle imponenti, gli “ottomila”, quelle su cui una giornata sbagliata o una in più in quella che è chiamata “zona della morte” può anche costare la vita.
Poi ha cominciato a condurre gli spettatori in un viaggio attorno al mondo e dentro la sua vita avventurosa di alpinista, cineasta e documentarista, in quello che ha definito un caleidoscopio di emozioni ed esperienze.
E’ stato il mondo di ghiaccio della Groenlandia il primo territorio visitato, con la mentalità di quelle popolazioni abituate a vivere in un ambiente freddo che insegna la pazienza, la calma ed un’attesa del futuro che si riassume in una parola “imaka”, che vuol dire “forse, chissà…”, che è misto di fiducia stemperata in un consapevole realismo determinato da un territorio in cui è duro vivere. 

Sull’immagine di un ghiacciaio che si allunga fino a riversarsi nel mare e qui, frantumandosi, dà vita a tanti iceberg che iniziano a vagare lungo il fiordo per andare al largo, ha innestato un paragone con la vita dell’uomo che nel suo percorso di vita, come un iceberg, si muove seguendo correnti sconosciute ed ogni tanto perde pezzi, si sfalda, ribaltandosi per ritrovare nuovi equilibri e continuare nel suo viaggio pur avendo perso qualcosa e non essendo più come prima. Una similitudine che ben ha reso l’idea delle sue esperienze di vita, a volte anche tragiche come nel 1986 al K2, dalle quali è sempre riuscito a riemergere per continuare il suo viaggio verso l’ignoto.
Le diapositive sulle quali s’imperniava il suo discorso sono state intercalate da tre DVD con spezzoni di film; il primo, un autentico documento storico, mostra i preparativi per la spedizione al Broad Peack, che lo ritraggono appena venticinquenne mentre assieme ai compagni prova i douvet fatti preparare appositamente per la spedizione su indicazioni del grande Hermann Buhl che, racconta “li voleva lunghi fin sotto al culo in modo che stando seduti nei bivacchi non entrasse freddo da sotto”.
Proprio la figura di Hermann Buhl, (che in quella stessa spedizione perse la vita precipitando da una cornice del Chogolisa), aleggia sulla conferenza e nella memoria di Kurt Diemberger ed ogni tanto ritorna materializzandosi in fotografia, magari richiamata dalle trasformazioni ambientali rilevate ai campi base degli “ottomila”, sempre più frequentati e sempre più facilmente raggiungibili da un maggior numero non solo di alpinisti, ma anche di trekker, riducendo sempre più la “regione dell’ignoto”. Eccolo allora spingersi in luoghi semi inesplorati, come la valle di Shaksgam, lunga 200 chilometri , la valle delle “centomila pietre” che conduce fino al ghiacciaio Gasherbrum ed alla “città azzurra” formata da centinaia di torri di ghiaccio.
Ma intanto ecco materializzarsi e farsi sempre più forte il grande sogno della scalata del K2, la seconda montagna della terra, quella più difficile ed insidiosa, di cui raggiunge la vetta al terzo tentativo nel 1986, assieme alla compagna di scalate e di lavoro Julie Tullis con la quale aveva formato il “film team più alto del mondo”. 
Ma quello fu un anno di grande frequentazione e sulla montagna qualcosa non funzionò come avrebbe dovuto con ciò provocando un ritardo che obbligò ad un giorno di permanenza in più nella zona della morte fino a che rimasero bloccati in quota per il sopraggiungere della bufera che complicò la situazione fino a farla degenerare in tragedia.
Di sette alpinisti ne morirono cinque di sfinimento, compresa Julie; Kurt sopravvisse ma subendo gravi congelamenti: realizzò il sogno di salire il K2 ma dovendo attraversare una grande tragedia che lo ha segnato duramente, sia nel fisico che nel morale. 

Ecco allora il DVD con il filmato della discesa dal K2 e le immagini e il sonoro, con il sibilare della bufera, rendono perfettamente la drammaticità della situazione, mentre la voce di Kurt che commenta e traduce dall’inglese sembra perdere energia e vigore, sopraffatta dal ricordo doloroso della tragedia e della perdita di Julie, probabilmente per sfinimento conseguente alla troppo lunga permanenza nella “zona della morte”. 
Una pausa nella proiezione stempera la tristezza del doloroso ricordo e subito Kurt è attorniato da spettatori che gli fanno autografare i libri appena acquistati, cosa che lui fa con grande disponibilità.
Poi le immagini riprendono a spiegare che la vita continua e Kurt, come l’iceberg della similitudine iniziale, dopo avere perso qualche pezzo di ghiaccio ritrova una nuova linea di galleggiamento e riparte ritornando alle sue origini di cercatore di cristalli, riprende la strada di esploratore dell’ignoto per continuare ad inseguire quei sogni che “ti alleggeriscono l’animo, che aiutano a salire, quasi a contrastare la forza di gravità che ti tira in basso”.
Sicchè lo vediamo nella foresta fra gli indios più primitivi del Sud America, poi ancora al Campo base del K2 invitato alla spedizione italiana che celebra i 50 anni della prima salita di Lacedelli e Compagnoni del 1954: sorridente tra i giovani alpinisti a cui racconta di avere dato tanti buoni consigli perché, dice con allegra auto ironia, “è l’unica cosa utile che può fare un vecchio in mezzo ai giovani” e questi, al ritorno dalla salita alla vetta, gli raccontano di averli seguiti e di quanto siano stati utili.
Ancora tanta ironia e divertimento nella spedizione di Tarragona, nata, incredibile a dirsi, a seguito di una “cena di cipolle” a Valls, vicino a Barcellona e che lo riporta al Broad Peack per salire l’ancora inviolato “castello di Kafka”, quattro catalani, un italiano, un austriaco e tre scherpa. La salita riesce alla seconda spedizione ed al quarto ed ultimo tentativo, poco prima del sopraggiungere della bufera, lui non va in cima ma in quel mese di permanenza percorre itinerari sconosciuti, esplora luoghi impervi fra rocce e ghiacci mai sfiorati da essere umano, continua a percorrere i suoi “passi verso l’ignoto” e ritrova se stesso in quell’istinto mai sopito.  

Emerge tutto lo spirito di quest’uomo, la sua filosofia di vita, la sua carica umana, il suo istinto di esploratore ed anche le sue ambizioni di alpinista, di cineoperatore e di uomo. Infatti, nell’ultimo DVD lo vediamo con una spedizione francese all’Everest, con la quale arriva alla vetta della montagna più alta del mondo addirittura con la cinepresa e realizza il primo film in diretta e con il sonoro sincronizzato mai realizzato a quelle quote. E ancora racconta aneddoti sulla salita, di come i francesi non vollero assolutamente togliere i guanti per battere le mani ed allora si erano messi d’accordo che facessero un ampio gesto con il braccio dicendo il classico “ciak” quando la mano fosse stata all’altezza del volto per dare a lui il segnale di far partire il registratore in sincrono con le riprese. In sede di montaggio, successivamente, eliminarono i ciak dal sonoro (ed anche i colpi di tosse – dice malizioso – perché i francesi non devono tossire in cima all’Everest), ma non poterono tagliare quegli ampi gesti fatti con il braccio.   

La proiezione non ha un finale particolarmente eclatante o ad effetto. 
Kurt sembra quasi scusarsene con il pubblico in sala, sembra quasi voler dire: “… ne avrei ancora tante da raccontare ma faremmo notte fonda per cui mi devo fermare qui…”. 

Il pubblico comprende e con un caloroso applauso saluta l’alpinista che si dice disposto a rispondere a qualche domanda, anche se lui preferirebbe firmare autografi sui libri o siglare un “berg heil” su qualche tessera personale del Cai. Arriva intanto il sorridente e soddisfatto presidente del Cai di Ferrara con gli omaggi di prassi (un cappellino e il CD dell’ottantennale della sezione ferrarese, una maglietta taglia XXL). “In segno di amicizia” dice il presidente Tomaso Montanari all’ospite incuriosito… 
“… Mi piacciono i cappellini
– risponde Kurt Diemberger ridendo e mettendoselo subito in testa – ed anche la taglia della maglietta va bene”. 
Il pubblico ancora applaude e ben presto arrivano in tanti attorno a Diemberger, chi per gli autografi e le dediche sui libri, chi per fare una foto assieme alla “leggenda vivente dell’alpinismo” e lui sempre sorride, mette braccia attorno alle spalle e si gode l’abbraccio caloroso della gente. Si respira soddisfazione, allegria, piacere per una serata che veramente è stata all’altezza delle migliori aspettative.  
Kurt Diemberger "abbraccia" la redazione di intraigiarun

Gabriele Villa
Ferrara, giovedì 25 ottobre 2007