Inseguendo i profili  

Luca Maspes "Rampikino"

 a cura di Gabriele Villa

“Luca Maspes (Rampikino): Sono nato il 5 agosto 1972 a Sondrio e attualmente vivo alle porte della Val di Mello. Salgo sui monti da quando avevo 9 anni e dalla mia prima cima ho deciso di esplorare tutti i mondi che gravitano intorno al pianeta alpinismo: sassi, arrampicata sportiva, prime ascensioni su roccia e ghiaccio, concatenamenti, scalate solitarie, invernali e da ormai 10 anni diverse vacanze extraeuropee a caccia di zone poco frequentate. Non amo la difficoltà fine a sé stessa ma preferisco invece scoprire nuove idee per le mie giornate verticali, infilandomi nei luoghi meno alla moda del momento e con uno stile sempre diverso. Secondo me il grande alpinismo deve prendere ispirazione da quello che è già stato fatto, senza pensare che l'evoluzione sia solo quella di alzare il grado di difficoltà. Dal 2005 ho ideato così UP Project, esplorazioni e scalate in tutto il mondo, in vario stile e con alpinisti che vogliono vivere le “vacanze verticali”. Tra una parete ed un'altra, la mia vita professionale ha vissuto pari passo con la mia voglia di parlare di questo nascosto mondo alpinistico, inventando nuove riviste, libri, siti internet e trasmissioni televisive che potessero placare la voglia di protagonismo che ogni alpinista e arrampicatore di punta ha e che cerca invano di nascondere. Per questo preferisco stare con le persone che parlano senza peli sulla lingua…”.

Questa la scheda che aveva inviato a Beatrice Bonilauri per fornirle i riferimenti utili a preparare la locandina ed i manifestini della sua serata del 25 ottobre, collocata nella serie chiamata “Inseguendo i Profili 2006” ed organizzata dal Cai di Ferrara. 
Non un nome di montagne, nemmeno quello di una qualche via di arrampicata, alcun cenno a gradi con i quali quantificare difficoltà tecniche d’arrampicata, né numeri a comprovare la consistenza della propria attività alpinistica.
Per questo, dovendolo presentare al pubblico della serata, avevo svolto una ricerca su internet al fine di farmi un’idea più precisa e ne avevo scaricato due fogli zeppi, quelli sì, abbondanti di nomi, di numeri e difficoltà di scalata.
Con quei due fogli, sui quali avevo appuntato alcune domande da rivolgergli, sono andato a riceverlo al suo arrivo a Ferrara e su quegli stessi fogli mi sono scritto le risposte e le note della chiacchierata fatta in pizzeria, nella quale ho capito cosa intendesse con quel “
preferisco stare con le persone che parlano senza peli sulla lingua…”, cioè il modo con cui gli è più congeniale proporsi.
34 anni d’età non sono tanti, ma 21 anni di arrampicata sì, soprattutto se sempre svolti ai massimi livelli e 11 dei quali sulle montagne di mezzo mondo e su tutti i terreni alpinistici.
110 vie nuove in montagna, sia classiche che moderne; 50 prime ascensioni su ghiaccio con diverse prime salite invernali, compreso le competizioni e la partecipazione alla prima Coppa del Mondo di arrampicata su ghiaccio; 40 prime ascensioni solitarie fra cui alcune delle più difficili dell’arco alpino; livelli di eccellenza raggiunti anche nell’ambito dell’arrampicata sportiva e spedizioni in Patagonia, Albania, Stati Uniti e Karakorum.  

Quello che colpisce nel suo curriculum è proprio la grande poliedricità dell’attività che ne fa un arrampicatore ed alpinista eclettico, al punto che la domanda che mi ero appuntato appariva quasi anacronistica: quale la sua etica nei confronti dell’alpinismo?
”Non è il caso di parlare di etica. Io ho provato tutti gli stili di arrampicata per poter conoscere e giudicare con cognizione di causa”.
Stile d’arrampicata  è un concetto chiaro e comprensibile a tutti, ma che dire quando questo stile comporta di arrampicare da solo, slegato e senza assicurazione su gradi di difficoltà estrema? 
Non è più solo questione di stile, ma di capacità fisiche e psicologiche che non sono da tutti, ma proprie dei fuoriclasse. Lui risponde con la massima naturalezza.
“Come arrampicatore mi sono formato in Val di Mello e se la conosci sai che cosa vuole dire. Lì quando vai devi avere già l’idea che se cadi sei morto. Le protezioni sono rade e molto spesso aleatorie e questo fa si che ti formi un abito mentale adeguato, oppure stai giù”.
Tutto molto semplice e, sembrerebbe, quasi scontato, così come la risposta su quali sono i suoi metodi di allenamento.
“Io abito all’imbocco della Val di Mello e quando esco di casa, dopo un minuto già posso arrampicare per cui il mio allenamento è quello: uscire di casa e mettermi ad arrampicare”.
Tutto molto semplice, non ne convenite?
Gli chiedo del suo rapporto con Maurizio Giordani, un altro grande dell’arrampicata, che i
ferraresi hanno avuto modo di conoscere l’anno passato sempre nella serie di Inseguendo i Profili.
“Ci siamo conosciuti attraverso la Mello’s e legati assieme la prima volta in Patagonia, nel 1995, dopo esserci messi d’accordo per telefono. Lui quell’anno era in formissima e per me c’era l’entusiasmo della prima esperienza in Sud America. Andavamo molto forte ed eravamo veloci e sicuri.
– Fa un sorriso tranquillo e aggiunge – Allora non pensavamo di poter morire. Ero in quella fase che dura 4/5 anni, che gli alpinisti attraversano e che poi passa e tutto diventa più razionale, altrimenti rischieresti veramente di farti del male”. 
Di Giordani racconta un aneddoto simpatico dell’ estate di quest’anno.

“Ha tracciato una via nuova sulla Sud della Marmolada, bella e difficile, e quando
sono venuto a saperlo gli ho subito inviato una mail di congratulazioni che diceva -sei ancora grande, vecchio- e lui mi ha risposto semplicemente con un -grazie, ex giovane-”. 

Gli chiedo se preferisca la Patagonia o il Pakistan come ambiente in cui arrampicare.
“In Patagonia ti misuri molto con il cattivo tempo e sei presto sotto le pareti, mentre in Pakistan hai il viaggio molto più lungo e complesso, la conoscenza di una cultura diversa, la gente nuova. Lì hai la dimensione dell’avventura e questo a me piace molto”.

Che come guida alpina non lavorasse, nel senso che non ne ha il tempo, lo si era capito dal suo curriculum. La sua dimensione lavorativa l’ha trovata prima come ideatore di riviste specializzate di arrampicata e alpinismo, poi come ideatore e webmaster di siti internet, infine come interprete prima e realizzatore poi di filmati documentari e da ultimo come ideatore di programmi per una televisione locale per cui lavora abitualmente con un programma dedicato agli sport ed all’attività della montagna.

Insomma, ne esce il profilo non solo di un arrampicatore poliedrico e moderno, ma anche di un figlio del suo tempo, capace non solo di usare le tecnologie più innovative, ma anche di creare spettacolo e documentari ricchi di ironia, fantasia e una buona dose di spirito dissacrante e giocoso. Verrebbe da pensare “
prendere la vita ridendo, ma con serietà”.
E questo è l’aspetto che maggiormente risalterà nella proiezione che presenterà, dopo, all’Aula Magna del Dipartimento delle Risorse Naturali e Culturali dell’Università.
Il primo filmato “Trip one – Karakorum 2005” racconta di una spedizione chiamata “Up project” svolta nelle valli del Chogolisa e del Charakusa da un gruppo di forti arrampicatori ed alpinisti provenienti da tutta Italia.

“Il pubblico crede che il più difficile sia legato al concetto di più alto in quota e così si è sviluppata la corsa agli 8000. Up project voleva essere la nostra proposta al mondo dell’alpinismo, andando a cercare le difficoltà estreme a quote attorno ai 5000/6000 metri, ma con tutti i diversi terreni e con tutti gli stili d’arrampicata”.

Il filmato testimonia in maniera inequivocabile questo intento e lo spirito, a momenti quasi goliardico, con il quale sono state realizzate sia le performance alpinistiche dei vari componenti la spedizione, che le stesse riprese, certamente assai discoste dall’abituale stile con cui sono realizzati i documentari di spedizione.
Nella seconda parte della serata, Luca Maspes, mettendo da parte la Patagonia, a sorpresa presenta alcuni filmati brevi in cui ancora più evidente appare lo spirito dissacratorio e fuori dalle regole suo e dei suoi amici e compari della Val di Mello, capaci di organizzare una cena a base di pesce spada in cima al Precipizio degli Asteroidi dopo averlo salito per la via dell’Oceano Irrazionale (6° con passaggi di 7° grado per chi non lo sapesse) e di arrampicare fino in cima al Pizzo Badile per collocarvi la statua di un Budda sorridente.
Al termine della proiezione colloquia amabilmente con il pubblico, con quell’aria serena e tranquilla di chi sa quello che fa e pure lo intriga il farlo fuori dalle regole precostituite.
Insomma un tranquillo esibire il suo “
Vertical state of mind”, uno stato verticale della mente che, questa volta, ci ha fatto “inseguire un profilo” veramente diverso dal solito.   

Gabriele Villa
Ferrara, mercoledì 25 ottobre 2006