La montagna è rispetto
di Mauro Mazzetti
Armando
Antola è un alpinista “roccioso”, non più di primo pelo. Non è
molto conosciuto al di fuori dell’ambiente genovese, se non dagli
addetti ai lavori. Il suo curriculum alpinistico è vastissimo, spaziando
dal Monte Bianco alle Dolomiti e passando attraverso numerose spedizioni
extraeuropee. Fra le tante salite in Europa e fuori citiamo così, un
po’ a caso e pescando qua e là: Monte Bianco per la parete della Brenva
(solitaria alla Sentinella Rossa), parete nord del Monviso (solitaria
invernale), Grandes Jorasses per lo sperone Walker, la cresta di Trochey e
la cresta des Hirondelles, Grand Capucin (“O sole mio”), Mont Blanc du
Tacul (pilier Gervasutti), Punta Dufour al Monte Rosa (cresta Rey in
solitaria). Ha partecipato all’esplorazione ed alla valorizzazione delle
falesie di Finale. Si è poi dedicato alle spedizioni extraeuropee,
salendo nuove vie nelle Ande, in Perù; ha salito, senza ossigeno ed in
stile alpino, il Dir Gol Zom, il Pumori, il Manaslu ed il Gasherbrum II.
Nel 2005 ha partecipato alla spedizione organizzata sul Kongur per i cento
anni del Club Accademico. E’ Accademico lui stesso, Istruttore nazionale
di alpinismo, direttore della Scuola di alpinismo "E. Dallagiacoma"
del CAI ULE di Genova.
E' l'unico genovese che, dopo Gianni Calcagno, sia
salito su vette superiori a ottomila metri.
E’ un personaggio, o meglio un anti-personaggio, amichevole e lontano
mille miglia dagli stereotipi del superuomo e dei “migliori di una razza
eletta”. Ho raccolto le sue
impressioni durante la galoppata verticale a cui mi ha costretto, una
domenica di fine novembre, mentre si sta (ci stiamo) preparando alla
spedizione sull’Aconcagua per la via dei Polacchi. Ecco che cosa ne è
uscito. Un’avvertenza: essendo
entrambi genovesi, non perdiamo occasione di inserire il noto intercalare
belìn nel bel mezzo delle frasi e comunque non appena ne abbiamo
l’opportunità. Nell’intervista non ne troverete traccia, ma solo
perché l’estensore di queste note ha provveduto ad una severissima auto
censura…
Allora Armando, partiamo dall’inizio: come sei arrivato all’alpinismo?
In verità io vengo dal mare, da un paese poco a levante di Genova;
ancor meglio, e più precisamente, sono stato un campagnolo prestato alla
fabbrica. E’ strano pensare che in Liguria ci siano i contadini, eppure
è vero; se si facesse un raffronto, si troverebbe che i pescatori sono in
numero nettamente inferiore rispetto ai contadini. Salendo le “fasce”
coltivate ad ulivo, ho cominciato a macinare dislivello. Dopo le prime
esperienze da autodidatta, ho pensato che, se volevo arrivare vivo e
vegeto alla pensione, sarebbe stato meglio frequentare un corso di
alpinismo per imparare qualcosa, e soprattutto per mantenermi sano e
salvo. Ho sfiorato, da allievo, Gianni Calcagno ed Alessandro Gogna, che
ho poi successivamente conosciuto al di fuori dell’ambiente della Scuola
di alpinismo; mi sono dedicato presto alle salite importanti, rubando
tempi e spazi al lavoro, magari prendendo anche un po’ di aspettativa
per le “trasferte” più lunghe. Ho cercato di gestire al meglio questa
mia passione, più sfrenata nei primi anni di attività, ora vissuta in
maniera più serena.
Ecco, vorrei fermarmi un momento su questi due aggettivi; “sfrenata” e
“serena” sembrerebbero in antitesi tra di loro. Dove sta il giusto?
Guarda, in verità il mio modo di interpretare l’alpinismo non è
cambiato molto dagli inizi ad oggi. Non ho mai cercato l’avventura no
limits, il rischio suscitato ad arte per accrescere adrenalina e quindi
sensazioni forti. Al contrario, anche quando si vestivano pantaloni alla
zuava e camicie di flanella a quadri, e le scarpette per l’arrampicata
erano ancora di là a venire, non mi sono mai spinto oltre il punto di non
ritorno. Ricordo ad esempio una volta, in occasione di un tentativo, che
non esitai a scendere verso valle dal bivacco Canzio (a metà della
traversata cresta di Rochefort – Grandes Jorasses n.d.r.). Non era
giornata, per me e per il mio compagno: avevamo paura, e quindi
interrompemmo senza rimpianti questa cavalcata di cresta. Avevo poco più
di vent’anni, ma l’azzardo non faceva per noi. Magari poi passavamo
una giornata intera sul “Paretone” a Finale, prima dell’avvento
degli spit, con martello e chiodi (chiodi che Armando si costruiva in
fabbrica, come Cassin n.d.r.), staffe artigianali e tanta buona volontà.
Ma la sicurezza l’abbiamo sempre ricercata e mai lasciata da parte.
Da quello che dici,
sembrerebbe che tu abbia più o meno l'età di Matusalemme ...
Più o meno… Direi piuttosto che ho vissuto vari momenti della storia
dell’alpinismo, trovandomi a contatto con i grandi, quelli veramente
grandi. Da loro ho cercato sicuramente di imparare le tecniche, ma prima
ancora uno stile di comportamento, azzardo “uno stile di vita”. E
davanti a tutto ho messo il rispetto per la montagna, la necessità di
fermarsi ad ascoltare i segnali che essa manda (o non manda, che è pur
sempre un segnale). In questo mi ha aiutato la mia estrazione contadina,
di persona attaccata a questa terra sul mare, dove raccogliere le olive e
sistemare i muretti a secco richiede impegno, sforzo fisico costante e
amore. Lo stesso amore che continuo a riversare sulle montagne; mi piace
certamente andare in falesia, provare anche la difficoltà (tanto c’è
lo spit che supporta), ma di più mi piace andare per monti. Il che non
vuol dire sempre salite impegnative; al contrario, anche camminare tra i
boschi, riconoscere gli alberi e la vegetazione, sentire i profumi della
macchia mediterranea, tutto questo fa parte del mio bagaglio interiore.
Esattamente come il Monte Bianco, che ho salito tante volte e sempre per
vie diverse, oppure come i ricordi sedimentati di tante spedizioni, di
tanti viaggi. Mi piace camminare sui sentieri dell’entroterra genovese,
come stiamo facendo adesso noi due, salutando le persone che incontro.
Beh, forse per te sarà “camminare”, quello che stiamo facendo; a me
pare una bella cresta di II grado, con tratti di III ed un paio di robusti
passaggi più vicini al IV che al sentiero, il tutto affrontato
rigorosamente slegati e con le scarpe da ginnastica… Comunque sia,
quello che mi colpisce in assoluto è il tuo spiccato senso ad indossare i
panni del dimesso, alpinisticamente parlando, sempre pronto e disponibile
alla battuta in genovese, che non neghi a nessuno.
Vedi, e tu lo sai bene essendo genovese, da noi si dice che qualcuno u
gà u muru cumme u pané, ha la faccia come il sedere. Io non mi sento così:
quindi mi piace chiacchierare con tutti quelli che incontro, in sincerità
e semplicità. Per esempio, mi piace fare sci alpinismo con tutti quelli
che ne hanno voglia, che conosco meglio o che non conosco affatto. Certo,
quando è il momento di legarmi ad una corda, voglio che all’altro capo
ci sia una persona affidabile, competente e tranquilla.
Legarsi alla tua corda sarebbe per molti il punto d'arrivo della
propria carriera alpinistica ...
Ho salito montagne un po’ in tutto il mondo; quelli che si sono
legati con me erano spesso molto più bravi, più esperti, più forti di
quello che io sono stato “ai miei tempi”. Quindi ribalterei la tua
affermazione: la mia carriera se così si può definire, è stata
avvantaggiata dall’aver conosciuto e frequentato tanti ottimi alpinisti,
dai quali ho imparato tanto e che mi hanno arricchito dentro.
Domanda conclusiva (anche perché il mio fiato è esaurito). Hai appena
oltrepassato il mezzo secolo di età: come ti vedi fra dieci o
vent’anni?
Da vecchietto, come sono già adesso… Scherzi a parte, non so cosa
farò nel futuro: adesso penso alla spedizione sull’Aconcagua (e sarebbe
meglio che ci pensassi di più anche te!), poi chissà. Intanto domani
vado sulla spiaggia, e magari mi faccio un bagno. Poi mi stendo e mi
riposo. Leggendo la guida CAI Touring del Monte Bianco…
Mauro Mazzetti
Genova, novembre 2005