Inseguendo i profili

Maurizio Giordani

 a cura di Gabriele Villa

Questa volta vi raccontiamo la serata a mente fredda, trascorsi oramai alcuni giorni dalla proiezione.  
Finalmente si è visto un pubblico adeguato e non solo nel numero, con molti giovani presenti e parecchi arrampicatori e non solo quelli iscritti alla locale sezione del Club Alpino.  
Descrivere Maurizio Giordani attraverso una scheda è probabilmente riduttivo, tuttavia la scheda è pur sempre necessaria ad inquadrare l’alpinista, almeno a grandi linee.  

Nato in Trentino, a Rovereto, nel 1959, Maurizio Giordani ha cominciato ad esplorare la montagna e ad arrampicare giovanissimo, spinto da un'inesauribile passione per il mondo verticale.  
Dopo avere consolidato una base di esperienze alpinistiche su gran parte delle cime e pareti delle Alpi, ripetendo centinaia di arrampicate storiche di ogni difficoltà ed in qualsiasi ambiente, si dedica ad inventare nuovi limiti per l'alpinismo moderno affrontando itinerari mai percorsi da altri, alla ricerca del proprio limite psicofisico.  
L'alpinismo diventa il mezzo per vivere appieno l’avventura come fine e stile di vita.  
La sua attività si arricchisce così di numerosissime vie nuove, d’impegno estremo, tracciate sulle più importanti pareti dolomitiche, mentre spiccano le prime invernali e le velocissime solitarie di itinerari che rappresentano il massimo per una cordata ben preparata e nelle migliori condizioni ambientali. Ed ancora in alpinismo extraeuropeo, in Patagonia, in Himalaja, in Karakorum e sulle più belle pareti sparse per il mondo dove riesce a raggiungere successi importantissimi affidandosi allo stesso stile dolomitico usato sulle montagne di casa; velocità e mezzi limitatissimi. Dal 1985 fa parte del Club Alpino Accademico Italiano, del Groupe de Haute Montagne francese e di Mountain Wilderness (garante). Nel 1989 diventa guida alpina.

Tenete conto che, in coda alla scheda, erano allegati tre fogli scritti fitti fitti con l’elenco delle ascensioni effettuate da Giordani, tutte prime assolute, ripetizioni solitarie, salite invernali di alto livello, spedizioni “leggere” ad alta quota sugli ottomila, arrampicate praticamente in tutto il mondo. Un elenco in grado di dire qualcosa all’esperto di cose alpinistiche, meno allo spettatore incuriosito; per questo la presentazione più esaustiva è risultata proprio quella che ha fatto lui direttamente con i due filmati presentati e commentati a viva voce al pubblico presente in sala.
Nel primo filmato della durata di circa quarantacinque minuti abbiamo visto il Giordani “prima maniera”, giovane arrampicatore e alpinista, ambizioso, deciso, capace e preparato, in grado di scrivere alcune significative pagine della storia dell’alpinismo moderno, quello delle alte difficoltà tecniche portate in montagna, ben oltre i limiti fino ad allora praticati.
Ma le immagini non sono state montate per “suonare la grancassa” del personaggio e pur nella loro evidente spettacolarità, non rendono fino in fondo la dimensione tecnica dell’arrampicatore; serviranno le domande dirette del pubblico a fine serata per sentire dalla voce dello stesso Giordani qualche particolare in più sulle sue imprese, che definire eccezionali non è esagerato. Così racconta di come il gruppo degli arrampicatori “roveretani”, negli anni ottanta, avesse prodotto alcuni elementi di grande spicco e capacità tecnica (lui compreso, ovviamente) e di come questi avessero portato a termine salite di tutto rispetto, che tuttavia nell’ambiente alpinistico non erano state tenute nella debita considerazione. Insomma, fa capire Giordani, “questi roveretani” erano stati snobbati a favore di altri personaggi che, in quegli anni andavano per la maggiore, Heinz Mariacher in primis e lui voleva dimostrare, con una scalata eclatante, come stavano esattamente le cose in quanto a valori e capacità. 
Lo spiega molto bene in una pubblicazione di cui ha portato alcune copie in omaggio al pubblico, dal titolo significativo “Due passi nel futuro”.
“La scelta non è casuale; Mariacher è da molti considerato come il più forte scalatore che abbia operato in Marmolada e la via che lui stesso definisce come la sua più difficile realizzazione (Tempi moderni) si presta ottimamente allo scopo. Non cerco una semplice solitaria ma voglio il massimo, un punto di riferimento per valutare la mia evoluzione, una via che incuta timore anche agli arrampicatori più preparati che affronterò solo se la mia preparazione  mi garantirà un certo margine di sicurezza. Una salita di questo tipo richiede soprattutto una grande capacità di autocontrollo perché bisogna sapersi concentrare in qualsiasi momento e situazione senza mai perdere la capacità di controllare consapevolmente i propri movimenti”.  
La via “Tempi moderni” alla parete sud della Marmolada, fu ripetuta da Maurizio Giordani il 19 agosto 1985, in arrampicata solitaria e senza nessuno strumento di autoassicurazione, nello strabiliante tempo di quattro ore e mezza, superando difficoltà fino al settimo grado superiore. Vedere le foto che gli sono state scattate durante l’ascensione è di per sé impressionante e leggerne le didascalie nelle quali dichiara “l’arrampicata non diventa mai pericolosa; della salita ricordo solo piacevoli sensazioni”, rende l’idea dell’eccezionalità della sua prestazione.

Diverso il Maurizio Giordani che si racconta nel secondo filmato presentato nel corso della serata.
Il Giordani “seconda maniera” è nel frattempo diventato guida alpina, ma soprattutto lavora come agente e rappresentante di commercio, collaborando come consulente con varie ditte di materiale alpinistico, testando e promuovendo nuovi materiali. Nei periodi intensi di lavoro gira nel suo territorio di competenza “lavorando e girando in auto fino a diciotto ore al giorno”, mentre, nelle basse stagioni, riesce a godere di una certa libertà che utilizza nell’organizzazione di spedizioni non troppo impegnative con clienti-amici che guida su cime non troppo difficili, sia in sud America, che in Nepal o Karakoram. E’ un Giordani che appare più rilassato, incline al sorriso e alla battuta, visibilmente soddisfatto negli abbracci che scambia con i compagni, sulle cime raggiunte.
Vedere un cliente, di cui sei anche amico, piangere di commozione su una cima scalata assieme a te vale come una solitaria fatta a piedi scalzi. E poi – confessa sinceramente – l’età non è più la stessa, bisogna evolvere verso obiettivi diversi”.  

E tuttavia lo vediamo ancora in immagini girate di recente salire in stile alpino ed in velocità fino agli oltre 8000 metri del Broad Peack, assieme a Nancy, una ragazza dall’aria “terribilmente” dolce e al tempo stesso grintosa, che lo ha accompagnato e che è presente in sala.  
Ad entrambi il pubblico, a termine serata, tributa un applauso intenso e prolungato, soddisfatto di un incontro che ha rivelato un “grande” dell’alpinismo, non solo e non tanto nella sua dimensione tecnica e sportiva, quanto, soprattutto, nella sua veste umana.

Gabriele Villa
Ferrara, 31 ottobre 2005