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Mercoledì
5 ottobre 2005: comincia la serie di serate dell’iniziativa della
sezione di Ferrara del Club Alpino Italiano, denominata “Inseguendo i
profili”. Così recita la scheda del primo ospite:
Paola Gigliotti, nata a Catanzaro, risiede a Perugia dove svolge la sua
attività di medico di famiglia. Da giovanissima ha praticato ginnastica
artistica, arrivando a far parte della nazionale italiana ed a vincere una
medaglia d'oro ad un campionato europeo. In seguito si è dedicata
all'attività alpinistica, caratterizzata dall'esplorazione invernale dei
Monti Sibillini e dalla frequentazione delle Alpi e delle montagne
extraeuropee, soprattutto delle Ande Peruviane e delle montagne del Sahara
e del Sinai. Tutta questa attività è stata sempre svolta con il
marito Massimo Marchini, scomparso nel 1990. E’ stata delegata del Club
Alpino Italiano all’Unione Internazionale delle Associazioni
Alpinistiche (UIAA) ed attualmente è componente del Board dell’UIAA. Ha
al suo attivo un centinaio di vie nuove. Il suo interesse per l'esercizio
fisico e l'attività in montagna si è realizzato anche nella
pubblicazione di numerosi articoli e nell'organizzazione di convegni
sull'esercizio fisico nell'ambiente. Con l’attuale marito, Francesco
Coscia, ha creato e dirige un laboratorio di Fisiologia dello Sport che
collabora con l’Università.
L’idea elaborata con Beatrice Bonilauri, assieme ad Annalisa Cogo
organizzatrice della serie d’incontri per conto della sezione del Cai di
Ferrara, era quella di approfittare dell’occasione per realizzare
semplici interviste ai personaggi, per approfondirne la conoscenza, fuori
dalle formalità e dagli schemi preordinati.
Arriviamo
al ristorante con gli altri che sono già a tavola: ci salutiamo e ci
presentiamo, Annalisa è con il marito e il figlio, così come Paola. Ben
presto ci siamo resi conto di come non fosse facile impostare
un’intervista: troppo scarsa la conoscenza della persona e nemmeno la
tavola il luogo più adatto; così abbiamo lasciato che la serata
scorresse secondo i ritmi e le consuetudini naturali, cercando di capire
meglio chi fosse la nostra interlocutrice e che cosa avesse da raccontare.
Discorsi a ruota libera e ad ampio raggio, in una clima amichevole,
soprattutto fra Annalisa e Paola che, entrambe medico, si conoscono da
diversi anni ed hanno esperienze di lavoro comuni.
Alla prima occasione utile le ho rivolto una prima domanda precisa su quel
dato della scheda che mi aveva incuriosito: le cento vie nuove aperte
assieme al primo marito. La domanda era quasi impertinente, cioè se fosse
una dato reale e la conferma è stata che sì, le vie erano proprio un
centinaio, aperte un po’ in tutto il mondo (dalle Ande Peruviane, al
Marocco, ma soprattutto sui Monti Sibillini, di cui lei e il marito
avevano fatto un’esplorazione invernale sistematica). L’altra curiosità
era il modo in cui era passata dalla ginnastica artistica agonistica
all’alpinismo, attività così differenti fra loro, e la risposta è
quasi banale nella sua semplicità.
“All’età di diciotto anni con la ginnastica artistica si è già
fuori età; a quel punto bisogna sapersi reinventare, ripartire con
qualche altra attività”.
A lei, studentessa universitaria catanzarese in quel di Perugia, avevano
proposto delle uscite in montagna, che aveva prontamente accettato.
“A me interessava muovermi, come ex agonista fare attività fisica
era una necessità; avrei accettato anche se mi avessero proposto di
andare a cavallo” dice sorridendo. Una frase che ripeterà anche
durante la conferenza.
Quindi non una passione innata, ma quasi una casualità che le ha permesso
di stringere un sodalizio forte con l’uomo che poi sarebbe diventato suo
marito e con il quale ha fatto tutta la mole di alpinismo che ne
caratterizza il notevole curriculum. Era naturale, a quel punto, chiederle
come si fosse trovata a praticare due attività così diverse fra loro.
“Ho avuto problemi a calarmi nella mentalità degli alpinisti. Io,
ginnasta agonista, mi sentivo dire che non era necessario allenarsi, ma
che l’importante era “la testa”. Non capivo questo atteggiamento e,
all’inizio, ero pure un po’ imbranata, mi sentivo pesce
fuor d’acqua, poi le cose sono migliorate, facendo anche un po’ di
testa mia”.
Intanto era venuta l’ora di andare e ci siamo trasferiti all’aula
magna dell’Università ed è iniziata la serata “ufficiale”.
Sul tavolo, a fianco dell’ingresso, è stato messo un libricino bianco
che ho subito guardato, incuriosito.
“Cammino scavalcato”, è il ricordo di Massimo Marchini, curato
dalla stessa Gigliotti, negli scritti di chi l’ha conosciuto, fra questi
Silvia Metzeltin e Kurt Diemberger. Tra
le foto del libro m’incuriosisce una di immersione in apnea con maschera
e pinne; Paola mi dice che quando parla di interesse per il movimento e
l’attività fisica nell’ambiente, l’intende nella maniera più
ampia.
In effetti, durante la proiezione, scopriremo anche della sua passione per
il volo con il parapendio.
“Un altro dei miei sogni realizzati” , dice con naturalezza al
pubblico presente.
Nelle diapositive (senza musica ed affetti di dissolvenza, spiega, perché
preferisco il rapporto diretto con le persone) presenta la storia
della sua vita: la vediamo bambina in tuta da ginnastica alle prese con le
sbarre, studentessa universitaria prima e medico poi, nelle sue
interminabili scalate sulle montagne del mondo, passando dai Monti Sibillini,
alle Ande Peruviane, dal Monte Bianco, alle montagne del Sahara, del Sinai
e del Nepal. Senza mai fare accenno a difficoltà tecniche, ma sempre e
solo di ambiente, di scoperta del territorio, di un istinto verso i luoghi
e le montagne poco conosciute e poco frequentate, dove i disagi sono uno
stile di vita piuttosto che una difficoltà o uno scotto da pagare
all’avventura. Inevitabilmente ci parla, non senza una palpabile
commozione, della malattia che le ha strappato il marito e compagno di
avventura oltre che di vita.
Appare un’immagine del grande Kurt Diemberger che, più di altri, lei
dice averla aiutata a tornare in montagna e a superare il difficile
momento. Poi il felice sodalizio con l’attuale marito Francesco Coscia,
a sua volta medico e alpinista, la nascita del figlio Michele (ora
tredicenne) e la sua nuova dimensione, forse meno avventurosa, ma più
impegnata sia nel sociale che nella vita familiare e nel ruolo di madre.
E’ bello vederla sul podio di Arco di Trento, terza classificata nelle
gare di arrampicata che si svolgono a coppie formate da genitore e figlio.
“Ero l’unico genitore più piccolo del figlio” osserva
ridendo divertita.
Due cose ci hanno colpito della sua storia di alpinista: la prima pare
essere una “anomalia”.
Quando racconta che con Massimo Marchini andarono al Monte Bianco per
specializzarsi nell’arrampicata su ghiaccio e misto in modo da poter
affrontare l’esplorazione invernale dei Monti Sibillini. Un percorso
“inverso”, perché nella mentalità corrente degli alpinisti il Monte
Bianco è l’obiettivo, ma evidentemente non quando si ha un progetto
preciso, come avevano loro.
“Quando abbiamo cominciato ad andare ai Sibillini, c’erano trenta
vie aperte, di cui una solo d’inverno. Quando abbiamo terminato
l’esplorazione ce n’erano novanta, tutte aperte da noi e quasi tutte
d’inverno”.
La seconda cosa è una dichiarazione che condividiamo completamente.
“Quando pratichi un’attività impari una tecnica e ti specializzi
sempre più. Così diventi un free climber, o un alpinista, o un
cascatista, o uno sci alpinista e tale rimani; diventa una pratica fine a
se stessa. Io ho fatto l’alpinista, praticato canyoning, salito cascate
di ghiaccio, arrampicato su roccia, effettuato traversate con gli sci da
sci alpinismo, ma le relative tecniche mi sono servite per entrare
nell’ambiente montagna, perché era quello che mi interessava, non
l’attività in sé”.
Idee chiare e obiettivi precisi, quasi in contrasto con il suo aspetto di
donna minuta, ma dal carattere deciso, che qualcuno fra il pubblico, a
fine proiezione, ha definito “donna bionica”, ma che a noi è
parso trarre forza non tanto dalle risorse fisiche, (comunque
considerevoli visti i trascorsi agonistici), quanto da un atteggiamento di
vita molto aperto, razionale e consapevole.
Insomma, un bel “profilo” umano, prima ancora che sportivo.
Gabriele
Villa
Ferrara, 06 ottobre 2005