Inseguendo i profili


Paola Gigliotti

 a cura di Gabriele Villa

Mercoledì 5 ottobre 2005: comincia la serie di serate dell’iniziativa della sezione di Ferrara del Club Alpino Italiano, denominata “Inseguendo i profili”. Così recita la scheda del primo ospite:
Paola Gigliotti, nata a Catanzaro, risiede a Perugia dove svolge la sua attività di medico di famiglia. Da giovanissima ha praticato ginnastica artistica, arrivando a far parte della nazionale italiana ed a vincere una medaglia d'oro ad un campionato europeo. In seguito si è dedicata all'attività alpinistica, caratterizzata dall'esplorazione invernale dei Monti Sibillini e dalla frequentazione delle Alpi e delle montagne extraeuropee, soprattutto delle Ande Peruviane e delle montagne del Sahara e del Sinai. Tutta questa attività è stata sempre svolta con il marito Massimo Marchini, scomparso nel 1990. E’ stata delegata del Club Alpino Italiano all’Unione Internazionale delle Associazioni Alpinistiche (UIAA) ed attualmente è componente del Board dell’UIAA. Ha al suo attivo un centinaio di vie nuove. Il suo interesse per l'esercizio fisico e l'attività in montagna si è realizzato anche nella pubblicazione di numerosi articoli e nell'organizzazione di convegni sull'esercizio fisico nell'ambiente. Con l’attuale marito, Francesco Coscia, ha creato e dirige un laboratorio di Fisiologia dello Sport che collabora con l’Università. 

L’idea elaborata con Beatrice Bonilauri, assieme ad Annalisa Cogo organizzatrice della serie d’incontri per conto della sezione del Cai di Ferrara, era quella di approfittare dell’occasione per realizzare semplici interviste ai personaggi, per approfondirne la conoscenza, fuori dalle formalità e dagli schemi preordinati.

Arriviamo al ristorante con gli altri che sono già a tavola: ci salutiamo e ci presentiamo, Annalisa è con il marito e il figlio, così come Paola. Ben presto ci siamo resi conto di come non fosse facile impostare un’intervista: troppo scarsa la conoscenza della persona e nemmeno la tavola il luogo più adatto; così abbiamo lasciato che la serata scorresse secondo i ritmi e le consuetudini naturali, cercando di capire meglio chi fosse la nostra interlocutrice e che cosa avesse da raccontare. Discorsi a ruota libera e ad ampio raggio, in una clima amichevole, soprattutto fra Annalisa e Paola che, entrambe medico, si conoscono da diversi anni ed hanno esperienze di lavoro comuni. 
Alla prima occasione utile le ho rivolto una prima domanda precisa su quel dato della scheda che mi aveva incuriosito: le cento vie nuove aperte assieme al primo marito. La domanda era quasi impertinente, cioè se fosse una dato reale e la conferma è stata che sì, le vie erano proprio un centinaio, aperte un po’ in tutto il mondo (dalle Ande Peruviane, al Marocco, ma soprattutto sui Monti Sibillini, di cui lei e il marito avevano fatto un’esplorazione invernale sistematica). L’altra curiosità era il modo in cui era passata dalla ginnastica artistica agonistica all’alpinismo, attività così differenti fra loro, e la risposta è quasi banale nella sua semplicità. 
“All’età di diciotto anni con la ginnastica artistica si è già fuori età; a quel punto bisogna sapersi reinventare, ripartire con qualche altra attività”
A lei, studentessa universitaria catanzarese in quel di Perugia, avevano proposto delle uscite in montagna, che aveva prontamente accettato. 
“A me interessava muovermi, come ex agonista fare attività fisica era una necessità; avrei accettato anche se mi avessero proposto di andare a cavallo” dice sorridendo. Una frase che ripeterà anche durante la conferenza. 
Quindi non una passione innata, ma quasi una casualità che le ha permesso di stringere un sodalizio forte con l’uomo che poi sarebbe diventato suo marito e con il quale ha fatto tutta la mole di alpinismo che ne caratterizza il notevole curriculum. Era naturale, a quel punto, chiederle come si fosse trovata a praticare due attività così diverse fra loro.

“Ho avuto problemi a calarmi nella mentalità degli alpinisti. Io, ginnasta agonista, mi sentivo dire che non era necessario allenarsi, ma che l’importante era “la testa”. Non capivo questo atteggiamento e, all’inizio, ero pure
un po’ imbranata, mi sentivo pesce fuor d’acqua, poi le cose sono migliorate, facendo anche un po’ di testa mia”.
Intanto era venuta l’ora di andare e ci siamo trasferiti all’aula magna dell’Università ed è iniziata la serata “ufficiale”.
Sul tavolo, a fianco dell’ingresso, è stato messo un libricino bianco che ho subito guardato, incuriosito. 
“Cammino scavalcato”, è il ricordo di Massimo Marchini, curato dalla stessa Gigliotti, negli scritti di chi l’ha conosciuto, fra questi Silvia Metzeltin e Kurt Diemberger.
Tra le foto del libro m’incuriosisce una di immersione in apnea con maschera e pinne; Paola mi dice che quando parla di interesse per il movimento e l’attività fisica nell’ambiente, l’intende nella maniera più ampia. 
In effetti, durante la proiezione, scopriremo anche della sua passione per il volo con il parapendio.
“Un altro dei miei sogni realizzati” , dice con naturalezza al pubblico presente.
Nelle diapositive (senza musica ed affetti di dissolvenza, spiega, perché preferisco il rapporto diretto con le persone) presenta la storia della sua vita: la vediamo bambina in tuta da ginnastica alle prese con le sbarre, studentessa universitaria prima e medico poi, nelle sue interminabili scalate sulle montagne del mondo, passando dai Monti Sibillini, alle Ande Peruviane, dal Monte Bianco, alle montagne del Sahara, del Sinai e del Nepal. Senza mai fare accenno a difficoltà tecniche, ma sempre e solo di ambiente, di scoperta del territorio, di un istinto verso i luoghi e le montagne poco conosciute e poco frequentate, dove i disagi sono uno stile di vita piuttosto che una difficoltà o uno scotto da pagare all’avventura. Inevitabilmente ci parla, non senza una palpabile commozione, della malattia che le ha strappato il marito e compagno di avventura oltre che di vita.
Appare un’immagine del grande Kurt Diemberger che, più di altri, lei dice averla aiutata a tornare in montagna e a superare il difficile momento. Poi il felice sodalizio con l’attuale marito Francesco Coscia, a sua volta medico e alpinista, la nascita del figlio Michele (ora tredicenne) e la sua nuova dimensione, forse meno avventurosa, ma più impegnata sia nel sociale che nella vita familiare e nel ruolo di madre. E’ bello vederla sul podio di Arco di Trento, terza classificata nelle gare di arrampicata che si svolgono a coppie formate da genitore e figlio.
“Ero l’unico genitore più piccolo del figlio” osserva ridendo divertita.
Due cose ci hanno colpito della sua storia di alpinista: la prima pare essere una “anomalia”.
Quando racconta che con Massimo Marchini andarono al Monte Bianco per specializzarsi nell’arrampicata su ghiaccio e misto in modo da poter affrontare l’esplorazione invernale dei Monti Sibillini. Un percorso “inverso”, perché nella mentalità corrente degli alpinisti il Monte Bianco è l’obiettivo, ma evidentemente non quando si ha un progetto preciso, come avevano loro.

“Quando abbiamo cominciato ad andare ai Sibillini, c’erano trenta vie aperte, di cui una solo d’inverno. Quando abbiamo terminato l’esplorazione ce n’erano novanta, tutte aperte da noi e quasi tutte d’inverno”.
La seconda cosa è una dichiarazione che condividiamo completamente.
“Quando pratichi un’attività impari una tecnica e ti specializzi sempre più. Così diventi un free climber, o un alpinista, o un cascatista, o uno sci alpinista e tale rimani; diventa una pratica fine a se stessa. Io ho fatto l’alpinista, praticato canyoning, salito cascate di ghiaccio, arrampicato su roccia, effettuato traversate con gli sci da sci alpinismo, ma le relative tecniche mi sono servite per entrare nell’ambiente montagna, perché era quello che mi interessava, non l’attività in sé”.
Idee chiare e obiettivi precisi, quasi in contrasto con il suo aspetto di donna minuta, ma dal carattere deciso, che qualcuno fra il pubblico, a fine proiezione, ha definito “donna bionica”, ma che a noi è parso trarre forza non tanto dalle risorse fisiche, (comunque considerevoli visti i trascorsi agonistici), quanto da un atteggiamento di vita molto aperto, razionale e consapevole. 
Insomma, un bel “profilo” umano, prima ancora che sportivo.  

Gabriele Villa

Ferrara, 06 ottobre 2005