Penna

di Maurizio Malchiodi
 

L’uomo è uno strano animale.
Non come i camosci, falchi, delfini che nascono già con l’istinto che li guida e sanno da subito cosa fare.
A loro nessuno insegna come correre, come procurarsi il cibo, come volare, come percorrere migliaia di chilometri, le anguille, per raggiungere il Mar dei Sargassi e poter finalmente perpetuare la specie e tornarsene al punto da cui sono venute.

L’uomo, invece, è manchevole, incompleto, deve essere accudito, educato, istruito e proprio per questa sua incompletezza esso è estremamente adattabile ai vari ambienti in cui si viene a trovare.
Non un pinguino nel Sahara, non un pesce fuor d’acqua, ma l’uomo abita qualsiasi luogo del mondo adattandosi.
Pensavo queste cose la prima volta che, in inverno, andavo verso il Monte Penna per una salita su neve.
Parete nord, canale del Larice.
La strada, in auto, scivola via tranquilla fino a Bettola, poi cominciano le curve della Val Nure.
Ferriere, Selva, lo Zovallo …
Ero già stato in Rocca del Prete e già quel luogo mi sembrava lontanissimo.
Accorgermi, poco dopo il Passo del Tomarlo, che non giravamo a sinistra, come si era soliti fare d’estate per raggiungere la foresta alla base del Penna ma si proseguiva giù giù a Santo Stefano per risalire poi dall’altra parte su per il Passo del Chiodo, mi sembrava un’impresa ardua.
Dopo una decina d’anni da quella prima uscita il viaggio non mi sembra più così lungo e impegnativo.
L’abitudine ha preso il sopravvento.
Nonostante questo io e l’amico Emanuele, vista la scarsità di neve, tentiamo lo stesso di tagliare per quella che dovrebbe essere, in inverno, una pista da sci di fondo.
Con poco successo però.
Dopo un paio di chilometri siamo costretti a ritornare sui nostri passi per il fondato rischio di rimanere bloccati.
La giornata sembra molto bella e i panni stesi al sole in quel di Allegrezze ornano i balconi e i cortili delle varie case padronali.
La chiesa per un paese così piccolo è sproporzionatamente grande e ben tenuta.
Mi riprometto sempre di andare a visitare l’interno nel caso la trovassi aperta.
Decidiamo di salire il canale Nord.
Nonostante l’abbia già ripetuto diverse volte le condizioni sono sempre diverse.
Neve portante, dura, umida, alta, farinosa, sprofondante, con giaccio, con terra, ecc.
Saliamo senza grosse difficoltà, arriviamo in cima e qualcosa di grande ci accoglie.
Gli antichi lo ritenevano sede della divinità celtica Penn, da cui il nome, probabilmente per il senso di dominio che il panorama ti offre e quello sotto i nostri occhi è veramente stupendo.
Partendo da destra riconosciamo l’Argentera, il Monviso, il Rosa, le Grigne, Bernina, Disgrazia, Monte Baldo.
A sinistra più vicine le Alpi Apuane.
Ma guardando verso il mare, a sud, la sagoma che ci appare più sorprendente è quella di una piccola e graziosa isoletta che si rivela essere la Gorgona con alle spalle altre elevazioni montuose incastonate nell’arcipelago toscano che potrebbero essere la Capraia, l’Elba e la Corsica.
Nella nostra solitudine, nel silenzio dei nostri pensieri coccolati dal calore del sole, ci perdiamo nella vastità degli spazi e abbiamo la percezione dell’infinito.
Solo la curvatura terrestre ci limita la vista.
La mia mente vaga, scavando nella memoria degli anni di scuola e trova i celeberrimi versi del sommo poeta.

     “Ahi Pisa, vituperio delle genti
      del bel paese là dove ‘l sì suona,
      poi che i vicini a te punir son lenti,
      muovasi la Capraia e la Gorgona,
      e faccian siepe ad Arno in su la foce,
      si ch’elli annieghi in te ogni persona!
      Chè se’l conte Ugolino aveva voce,
      d’aver tradita te de le castella,
      non dovei tu i figliuoli porre a tal croce.”

E’ il mio compagno che mi ridesta dal torpore sognante in cui ero caduto.
“Dobbiamo ridiscendere” - mi dice.
Che peccato!
Subito le mie mani cercano frettolose nello zaino la macchina fotografica per poter prolungare, catture quegli istanti.
Purtroppo non la trovo, così ci fermiamo ancora un po’ per imprimere meglio nella nostra mente e nei nostri cuori il panorama, le nostre emozioni.
A casa poi raccontando di quello che avevamo visto qualcuno mi ha detto:
“Anch’io tornando in aereo da un viaggio ho visto tutto questo e anche di più.”
Ma la differenza, ho pensato, è che l’aereo è un mezzo per arrivare ad una meta.
La vetta del Monte Penna, conquistata con fatica, è un mezzo per elevare lo spirito.

Maurizio Malchiodi
Piacenza, 25 febbraio 2011


Per le belle foto che accompagnano il testo la redazione ringrazia Giacomo "Mino" Bazzini.