Quattro amici sul Piccolo Monte Bianco

di Giacomo Bazzini

 

Erano ormai più di due anni che quella mèta “Piccolo Monte Bianco” mi frullava ripetutamente nella testa, forse per il nome… altisonante, forse per la maestosità dell’ambiente, o forse per quel suggerimento della guida che avevo consultato di lasciare possibilmente il bivacco ai veri alpinisti diretti alla Trèlatête o ad altre cime ancor più impegnative, che lasciava presagire la remota possibilità di incontrarne qualcuno...

Comunque, in tutti quei mesi la cosa era stata sempre rinviata, o per problemi familiari o di lavoro, o per il cattivo tempo, o per la difficoltà di sincronizzare i vari componenti della gita.


Giusto per non intralciare i veri alpinisti, ma con la segreta speranza di trascorrere magari con qualcuno di questi alcune ore, decidemmo finalmente di partire per il fine settimana del 21 settembre: meteo, info varie, cartina, ecc. tutto ben predisposto, poiché, freschi di corso CAI (dei bravissimi istruttori di Piacenza) non volevamo lasciare nulla al caso e men che meno incorrere in qualche disavventura che ci avrebbe esposti al perenne discredito, anche se la salita non presentava nessun passaggio particolarmente tecnico.

Il gruppo era ben assortito, quattro baldi ex-escursionisti (Gianni, Antonio, Luciano e Mino), ma non ancora alpinisti, ormai non più giovanissimi, ma molto motivati e soprattutto entusiasti … di montagne.

Il tradizionale programma prevedeva salita dai 1.600 metri della Val Veny ai 3.000 metri del bivacco Rainetto nella giornata di sabato, salita ai 3.424 metri del Piccolo Monte Bianco la domenica e ritorno in pianura in serata.

Partenza quindi all’alba, come nelle migliori tradizioni; viaggio tranquillo, ormai i vacanzieri dell’estate non ci sono più, e la giornata si preannuncia buona. Tempo di arrivare, percorrere la Val Veny fino dove è possibile, cambiarsi e dare un’ultima controllata allo zaino e sono già… le 11 di mattina: non è proprio un orario alpinistico!

Ma pazienza, il meteo è buono ed abbiamo quasi tutta la giornata davanti [sperimenteremo poi che in montagna è sempre tardi!].
La prima ora si cammina sulla strada pressoché asfaltata e chiusa al traffico ed abbiamo modo di notare come il carico si faccia sentire, è infatti la prima volta che aggiungiamo anche fornellino, pentolini, sacco-piumino, ecc.

Arriviamo per mezzogiorno ai 2.000 metri del Lago Combal, dove il cartello per il Bivacco Rainetto segna 3 ore e 30 minuti e ci rassicuriamo. Davanti a noi, sullo sfondo, il Col de la Seigne, che porta in Francia e le lame lisce ed inclinate delle Pyramides Calcaires con il puntino del Rifugio Elisabetta Soldini ai loro piedi.

Costeggiamo col sentiero sulla destra la prima parte del lago e ci infiliamo in un canalone erboso che punta ripido all’intaglio tra l’Aiguille de Combal e Punta Suc.
Il sentiero sale a tornanti sempre più stretti ed il fiatone comincia a farsi sentire…

Verso le 2 siamo quasi al termine di questo canale e decidiamo di sostare qualche minuto, anche per mangiare qualcosa; e qui avviene uno di quei contrattempi che possono rovinare tutta la gita minuziosamente preparata…

Per rispetto della privacy (e dell’amicizia) non si svelerà mai chi di noi ha appoggiato il suo zaino sul tornante del sentiero, apparentemente ben messo, tanto che per due minuti non è successo nulla, ma, alla prima raffica di vento, si è ribaltato ed ha cominciato a rotolare, prima come fosse al rallentatore, poi un po’ più forte ed infine a grandi balzi, fino a scomparire sotto il pendio, ormai fuori dalla nostra vista.

Non ricordo nessun improperio (almeno ad alta voce), ma in effetti non sapevamo se ridere o piangere…
Per la famosa legge di Murphy (quella della “sfiga”), lo zaino era ovviamente quello che conteneva tra l’altro la maggior parte di viveri ed acqua per il bivacco, ma in ogni caso il programma del gruppo era compromesso.

Probabilmente il Signore delle Cime (quello del famoso coro alpino) ha avuto pietà di noi, cosicché, ridiscesi quasi di corsa per almeno 200 metri il pendio che avevamo faticosamente salito… il miracolo si è avverato: lo zaino sembrava occhieggiare dietro alcune rocce, ed era anche pressoché intatto!

Risaliti al punto di sosta e dopo un’abbondante bevuta (d’acqua) ripartiamo verso le tre con rinnovata fiducia.
Termina l’erba e ci addentriamo in un valloncello scuro di ghiaie e rocce che pare terminare con un anfiteatro verticale invalicabile, ma qualche bollo giallo ci conferma che la via è quella giusta.
Dopo un’altra mezz’ora, mentre arranchiamo lentamente, improvvisamente vediamo uno, due, tre camosci stagliarsi sulla cresta molto sopra di noi e subito dopo ne compare un altro solo qualche metro davanti a noi: è così vicino che riesco a guardarlo negli occhi e vi leggo uno sguardo tra l’incredulo ed il divertito (del tipo: ma non era meglio se restavate a casa vostra?). Noi invece, soddisfatti per la visione, prendiamo nuovo vigore e proseguiamo, cominciando a risalire una residua lingua di neve.
Il sentiero continua ad essere ben segnato e non difficile, ma non dà nessuna tregua, guadagnando regolarmente metri su metri ed inoltre cominciano a calare banchi di nebbia che ci chiudono via via la vista di ogni panorama.

Sono ormai le cinque e del bivacco ancora nessuna traccia; eppure non dovrebbe essere lontano: abbiamo già superato la punta dell’Aiguille de Combal a 2.839 metri ed il Rainetto ci dovrebbe attendere ai 3.047 metri.
Superiamo un’ultima spalla rocciosa ed improvvisamente, come d’incanto, un flash magico mi si apre dinnanzi, vicinissimo: il Monte Bianco in tutta la sua regalità!
Il tempo di scattare una foto e già le nebbie tornano ad avvolgerlo gelosamente ed a rubarlo alla nostra vista. Continuiamo a salire le roccette e finalmente compaiono, decisamente in alto sopra di noi, una croce ed il profilo rossastro del bivacco.
Come sempre, questa vista della mèta chiama a raccolta le ultime energie e finalmente, ormai alla spicciolata, arriviamo al sospirato bivacco: sono ormai più delle sei e mezzo ed iniziano a scendere le prime ombre della sera…

Entriamo, appoggiamo pesantemente lo zaino, e, come obbedendo ad un programma prestabilito, senza proferire pressoché una parola, ci stendiamo sulle accoglienti brande e … ci addormentiamo di sasso!

All’incirca alle otto e mezzo della sera qualcuno comincia a dare segni di vita … ci cambiamo (per modo di dire), e cominciamo a preparare la cena con il prezioso fornelletto di Gianni: brodo con verdure in busta e abbondante parmigiano. Mai una cena ci è parsa così gustosa…! "Spazzolata" questa minestra, proseguiamo chi con panini al prosciutto, chi con barrette, chi con frutta disidratata e alla fine cioccolato per tutti.

Il bivacco era effettivamente pulito e confortevole, dotato di otto posti in branda completi di coperte, anche se di spazio all’interno non ne rimaneva granché. In quattro comunque ci stiamo proprio bene.
Non c’è neanche un gran freddo: all’interno ci sono 17°! Fuori le foschie si sono diradate e la nottata si preannuncia luminosa, anche senza luna; non spira un alito di vento e ci sono 5°C.

Non tardiamo certo ad addormentarci, sognando una gran giornata per l’indomani.

La stanchezza della giornata si è fatta sentire poiché apriamo gli occhi che sono ormai passate le sette di mattina. Esordisco con un “ragazzi a quest’ora i veri alpinisti sono già in cima, non in branda!” che non viene preso nella minima considerazione.
Siamo però appena in tempo per assistere all’alba da quassù ed effettivamente è uno spettacolo che ripaga da solo delle fatiche fatte: le foschie, appena sotto di noi, hanno coperto e pressoché livellato tutte le valli che si stendono da est a ovest. Cosicché ci sembra di essere in riva ad un mare burrascoso da cui emergono, come tante isole, le cime maggiori: il Gran Combin, il Cervino, il Rosa, il Gran Paradiso… veramente un sogno!
Dalla linea dell’orizzonte comincia a spuntare qualche raggio argentato che ci trafigge, poi lentamente da est il sole comincia a salire, inondando di luce sempre più dorata la croce che ci sta innanzi, le cime circostanti e finalmente all’improvviso anche il nostro bivacco viene letteralmente inondato di luce: veramente uno spettacolo magico!

Con tutta calma ci prepariamo, facciamo un’abbondante colazione con tè, biscotti, marmellate, più l’immancabile panino (per tutti) della gentile moglie di Gianni; il tutto sotto lo sguardo tra l’incredulo ed il divertito di alcuni camosci, venuti a cercare qualche avanzo di cibo tra queste aride pietre.
Alle otto e mezzo, finalmente, lasciamo quasi tutto il carico al bivacco (visto che dobbiamo ripassarci e fidandoci del fatto che … non vi è nessuno in giro in questo settembre inoltrato) e ci avviamo verso il ghiacciaio che scende dal Piccolo Monte Bianco.


Occorre praticamente risalire per circa 400 metri di dislivello due pendii intercalati da un falsopiano e non pare vi siano pericoli particolari. La settimana scorsa per fortuna è nevicato un poco e quindi da un lato i ramponi fanno una buona presa e dall’altro anche il panorama risulta di un bellissimo bianco candido, come si può trovare ad inizio stagione e non certo a fine estate.

Ormai consapevoli della situazione e fiduciosi risaliamo senza fretta il pendio, lasciando una traccia a zig zag: così facendo lo sguardo è inebriato dalla vista: salendo verso sinistra abbiamo negli occhi l’Aiguille des Glaciers, mentre allorché deviamo verso destra ci troviamo davanti il Monte Bianco, che ci sembra quasi di poter toccare!

Poco prima delle dieci lasciamo anche lo zaino ai piedi delle roccette finali e le risaliamo in fretta fino alla cima: soddisfazione indescrivibile e consueto grande abbraccio! L’emozione mi prende… una salita tanto sognata, tanto immaginata, finalmente si realizza; sono quei magici momenti che non vorresti finissero mai …
Ma alla nostra non più giovanissima età è già tanto poterli vivere e soprattutto… condividere!

Dopo le tradizionali foto di vetta, visibilmente soddisfatti, ci apprestiamo a ridiscendere, non immaginando che la discesa ci riserverà ancora molte … fatiche.
Velocemente scendiamo al bivacco a riprendere le nostre cose e a mangiare qualcosa, poiché ormai si è fatto mezzogiorno. All’una riprendiamo il sentiero che avevamo risalito nella giornata di ieri e scendiamo… scendiamo.

I piedi cominciamo a reclamare, seguiti dopo poco dalle caviglie e dalle ginocchia; dopo 3 ore si tratta ormai di … un ammutinamento generale! Siamo ormai sgranati, scendiamo come automi: a un certo punto non vedo più Luciano dietro di me, che dovrebbe chiudere il gruppo. Aspetto 5... 10... 15... minuti.
A questo punto, non senza un briciolo di ansia, inizio faticosamente e lentamente a risalire il sentiero, nel timore di qualche scivolata o distorsione. Per fortuna, dopo non molto, lo sento polemizzare con uno stuolo di … santi, mentre procede lentamente con gli scarponi in mano!

Una volta confortato, si tranquillizza ed insieme riprendiamo la discesa verso il lago Combal, ormai in vista.
Ci arriviamo appena prima delle cinque e ci riuniamo così agli altri compagni.
Ci aspetta ancora quasi un’ora di sano asfalto prima di poterci rilassare all’automobile.

E’ stata dura, ma credo per tutti di tanta genuina soddisfazione. Non so se la rifarei domani, ma sicuramente la consiglio a tutti gli escursionisti che cercano quel qualcosa in più che trasforma una bella gita in qualcosa di sinceramente indimenticabile!

Con affetto da Gianni, Antonio, Luciano e Mino, che ha cercato di trasmettervi queste sincere sensazioni…


Giacomo "Mino" Bazzini
Stradella (Pavia), novembre 2008

 




Breve scheda tecnica* della salita al Piccolo Monte Bianco (3.424 metri)

Partenza: La Visaille (m. 1.659)
Appoggio: Bar du Miage e Bar Combal (a circa 2.000 metri)
Periodo consigliato: da luglio a settembre
Dislivello: 1.388 metri (al bivacco) + 377 metri (alla cima)
Segnavia: giallo 13 e 14; SAV2 – 18A

Difficoltà: F- / F (utile senso di orientamento, qualche passaggio di 1°)
Materiale: ramponi, piccozza o almeno i bastoncini;
Durata: ore 4 (al bivacco) + 1 (alla cima) + 4 (ritorno dalla cima alla partenza)
Tracciato: Andata e Ritorno per la stessa via

Note personali:
Salita effettuata il 21-22 settembre 2006 dai Soci CAI Piacenza: Gianni Bergonzi (Piacenza), Luciano Sabba Masera (Piacenza), Antonio Franzosi (Pavia), Giacomo Bazzini (Stradella - PV).
 

*Mix di diverse guide; l’Ardito (“A piedi in valle d’Aosta”, Iter 2003) segnala “pendio via via più stretto ed esposto verso la cima”, mentre la Guida Rother del 1995 segnala “firn sulla cresta”.
Circa la difficoltà riportata dalle varie guide, noi abbiamo evidentemente trovato una situazione ottimale, mentre già l’anno successivo una foto dello stesso ghiacciaio mi è sembrata tutt’altra cosa! Ho eseguito tale foto il 14 ottobre 2007, salendo verso il ghiacciaio dell’Arguerey dal Piccolo San Bernardo; come si vede buona parte del tratto su ghiacciaio appare di ghiaccio vivo e sicuramente … meno invitante.