Luce buia sul ghiacciaio

di Giacomo Bazzini

Ben chiusi nella nostra tenda durante il bivacco effettuato di notte sul ghiacciaio del Ventina, "c’è una luce buia sul ghiacciaio!" esclamò con fanciullesca sorpresa Luciano, allorché scopriva le lancette fosforescenti del suo orologio-altimetro, mentre, tra un fulmine ed un tuono, Lucio scandiva a voce alta trecentouno, trecentodue, trecentotre,… cercando così di calcolare la distanza del temporale che si stava scaricando furioso sopra le nostre teste. 
Così questa frase è diventata il “tormentone” simbolo del nostro corso-ghiaccio.

Seppur molto diversi per età, provenienza ed esperienze, il gruppo era ben assortito.
Per gli istruttori: Lucio indiscusso ed indiscutibile capo, Andrea sempre professionale, Gabriele fondamentale sostegno del corso e Valdo guascone quanto bastava per tenere alto il morale della ciurma.
Fra gli allievi, ad un certa riservatezza di Mino e Giovanni faceva da contraltare la spavalda autoironia di Luciano, così come ad Andrea e Roberto dai fisici prestanti si associava quel folletto di Ivan, ma soprattutto la dolcezza e la grazia di Elena e di Rita conferivano un tocco di umanità a questo branco di sbandati…

Ma torniamo a quella notte tempestosa sul ghiacciaio, che ci ha temprato da veri eroi, mentre i lampi illuminavano a giorno i crepacci ed il rombo maestoso di qualche blocco di roccia che rotolava a valle rompeva all’improvviso l’irreale silenzio della notte.
Per noi è stata un’esperienza irripetibile, in gruppo, ma anche soli con noi stessi, le nostre mani, le nostre gambe ma soprattutto la nostra testa, i nostri pensieri di fronte all’immensità del Creato: senza TV, telefonino, forse l’insegnamento più impagabile di questo corso è stato dover ritornare per forza ad una dimensione molto umana, a ritrovare il tempo per pensare, a capire le vere cose importanti della vita …

Che dire infine del fascino di trovarsi su un seracco di ghiaccio alto come una casa sostenuto solo da due puntine di ferro, pronto anche a fare OK con le dita per la foto di rito, mentre a casa ho già problemi a sporgermi dal balcone …

Forse mi sto perdendo troppo ma mi premeva dire queste cose perché non stanno scritte nel programma, né nelle relazioni ufficiali, dove invece si parlerà più compiutamente di come abbiamo imparato la sosta sospesa o il Machard bidirezionale, a predisporre un dispositivo di alleggerimento o una longe di sicurezza, a fare un mezzo barcaiolo con una mano sola o ad usare il cordino accessorio.
Cosa dire poi della pazienza degli istruttori e di Lucio in particolare che ha dovuto usare i chiodi da ghiaccio più nuovi che aveva per far entrare nelle nostre teste il paranco ed il mezzo poldo!

Ma tant’è, come tutte le cose belle, anche questa è finita, ma non finirà certo fra i ricordi, come una gita o un amore di gioventù. Ogni corso è un seme gettato e per alcuni che si perdono molti altri invece germinano e prosperano; e questa penso sia anche la soddisfazione di tutti quelli che hanno reso possibile questo mitico 9° Corso Ghiaccio, anche se qualcuno ha appoggiato la piccozza sul ghiacciaio come fosse la biro sulla scrivania (io), o ha fatto un barcaiolo che neanche un gondoliere lo avrebbe fatto peggio …

Ma soprattutto, oltre alle tecniche di progressione, di ghiaccio e di misto più aggiornate, abbiamo imparato cose che non sempre si trovano nei libri, come la passione ed il rispetto per la montagna, come la rinuncia e, perché no, anche un certo sacrificio, che le comodità cittadine ci hanno fatto ormai dimenticare.

Che la nostra luce buia sul ghiacciaio possa continuare ad illuminare la via di chi vuol sentirsi in sintonia con quella natura che purtroppo oggigiorno vogliamo sottomettere sempre a nostro uso e consumo.

Con grande affetto e riconoscenza.

Giacomo Bazzini
Piacenza, luglio 2006