Grazie inverno!  

di Roberto Avanzini

La stazione ferroviaria di Grigno, in Valsugana, non è propriamente uno dei posti che l’azienda provinciale per il turismo del Trentino immortala nei poster che poi spedisce in tutto il mondo, ma proprio per questo me la tengo cara. 
Un angolino della mia regione da considerasi “fuori posto”, forse perché non stravolto dal turismo o dallo stile "centro commerciale" che ormai troviamo da Capo Passero alla Vetta d’Italia. Alcuni direbbero “Ah, la globalizzazione”, io più semplicemente penso al cattivo gusto dilagante ed alla corsa a darsi una facciata di modernità francamente ridicola. A questo sto pensando mentre passeggio sulla banchina dei binari sprofondato nel piumino, data la temperatura letteralmente polare del luogo. Gli sparuti passeggeri in attesa mi guardano con una certa curiosità, probabilmente una faccia nuova viene individuata presto in questa piccola stazione, io d’altra parte per via del mio lavoro individuo subito gli studenti pendolari per via delle facce assonnate che conosco bene. Una volta partito il treno tiro fuori da tasca il binocolo e comincio ad osservare le numerose colate ghiacciate sul versante nord della valle, che però, data la distanza, dall’aspetto non riesco a valutare per quanto riguarda la consistenza. Dopo un po’ sono veramente intirizzito e mi ritiro nella mia automobile per scaldarmi un po’, in tempo per assistere alla scena d’altri tempi del capostazione che arriva dalla strada innevata su una bicicletta sgangherata per aprire il micro-ufficio di sua competenza. Subito dopo arriva lo Scudo di Maurizio e Christian e l’atmosfera cambia di colpo. Poche persone trasmettono una sensazione di positività come Maurizio, per quanto riguarda Christian penso che sia la tipica persona che uno vorrebbe vicino se crollasse il pavimento, infatti non a caso è il responsabile del Soccorso Alpino della sua zona. Il tempo di trasferire un po’ di ferraglia da un bagagliaio all’altro e ci troviamo immersi in un paesaggio artico, dove la neve è ricoperta da cristalli di brina lunghi anche 4 cm. Ovviamente tutto guardiamo a parte la strada, impegnati come siamo a scegliere la cascata da visitare. Dopo alcuni andirivieni protetti da San Cristoforo, che anche questa volta ci ha impedito di finire in qualche fosso (ovviamente gelato), parcheggiamo nei pressi di un sentiero che dovrebbe condurci vicino al canalone che pare più promettente dal punto di vista alpinistico. L’avvicinamento è breve e ci conduce ad un piccolo salto che saliamo slegati per arrivare sotto la prima impennata della cascata; il ghiaccio ha un colore poco rassicurante, non tanto per via della temperatura, che nonostante la bassa quota, circa 300 m s.l.m, si è mantenuta rigidissima per parecchi giorni, ma per lo spessore dello stesso, che lascia intravedere in più punti una “simpatica” roccia giallastra. Ma come sempre quando arriviamo sotto una cascata Maurizio si trasforma, in un attimo è legato e io comincio ad assicurarlo in vita, mentre Christian è alle prese con il consueto dilemma degli ice-climber, ovvero “Quanta roba da vestire mi porto dietro?”. Mauri con la sua consueta efficacia è gia arrivato in cima al tiro e comincia a recuperare le corde. Io risolvo il medesimo problema di Christian decidendo di lasciare tutto lì, anche perché se il ghiaccio continua ad essere di questa qualità non penso che andremo molto lontani. Come sempre salgo per ultimo e constato che Maurizio ha piazzato l’unico chiodo di sicurezza del tiro su uno dei pochi punti di ghiaccio spesso della colata. Ammiro molto chi riesce ad accompagnare la determinazione con la prudenza e con i miei due compagni di cordata mi sento in una botte di ferro. Se la botte fosse di lana sarebbe forse meglio, perché la temperatura si mantiene freschetta, comunque raggiungo i miei due soci in una piccola conca innevata e innanzi ci si para la colatona che era ben visibile fin dalla strada. Su una striminzita pianticella troviamo un cordino con una maglia rapida, il che mi fa ricordare di aver dimenticato i chiodi da roccia in macchina, errore da vero babbeo, perché so benissimo che nei canaloni possono essere molto utili, sopratutto in caso di ritirata. La colata è intervallata da tratti pianeggianti come quello in cui ci troviamo; Mauri parte con molta attenzione per il secondo tiro, che però si rivela di ghiaccio più consistente del previsto. Dopo una ventina di metri la colata si impenna, ma lui riesce a passare con una certa tranquillità, interrotta da qualche parolaccia per aver sbagliato il conto dei chiodi, infatti il tiro pare ancora lungo e il materiale comincia a scarseggiare, in ogni caso la pendenza in uscita pare abbattersi un po’. Dopo qualche metro Maurizio sparisce dalla nostra vista, la corda corre tranquillamente all’interno del tubo che ho legato in vita ma purtroppo ad un dato punto finisce e dall’alto piove un richiamo “Mi servono ancora 5 metriii!”. Io e Christian ci guardiamo un attimo ma sappiamo già cosa fare, infatti ci siamo tenuti le piccozze vicine proprio per questa evenienza. Sfilo la corda dal tubo e partiamo. La situazione non è che mi risulti molto simpatica, ma non c’è alternativa, inoltre ci sono almeno 8 chiodi infissi nella colata e ciò rappresenta un buon margine di sicurezza, ma per ogni evenienza pianto gli attrezzi più in profondità del solito, anche perché i 5 metri si rivelano essere una quindicina e soprattutto non vorrei che il primo di cordata facesse le spese di un mio errore. In ogni caso ho assoluta fiducia nelle sue capacità, infatti adesso la corda blu di Christian scorre con fluidità mentre la mia è ferma, segno che la sosta è realizzata.  Mi ritrovo con la corda un po’ lasca ma non mi fido a retrocedere per non scivolare. Beh, è l’occasione per imparare a tenere i talloni bassi e saltellare da un piede all’altro, infatti con questi due accorgimenti riesco a non fulminarmi troppo i polpacci. Ovviamente Christian è un razzo ed è già il mio turno di partire, la colata si presenta più impegnativa del previsto, infatti ad una zona a cavolfiori segue un muro di candelette che fanno un discreto rumore di cristalleria infranta quando ci picchio sopra. In ogni caso non ci si può lamentare troppo, il ghiaccio è più che accettabile, molto meno il dolore al gomito sinistro che improvvisamente mi prende. Ormai comunque sono fuori e devo dire che il posto è incredibile! Ci troviamo al centro di una conca rocciosa sulle cui pareti vediamo almeno 5 colate, di cui purtroppo solo una in condizioni di essere salita. Christian subito punzecchia scherzosamente Mauri proponendogli un bel tiro di misto, il quale prontamente replica “Ho già abbastanza problemi con l’acqua che mi si gela a casa e con le orecchie!”, infilandosi prontamente il passamontagna. Io sono un po’ preoccupato per il braccio, anche leggermente impressionato dall’ambiente inaspettato che ci circonda, ma penso che comunque devo proseguire e quindi… inizio ad assicurare il solito Maurizio che parte deciso per la colata centrale. Cerco sempre di carpire i segreti di chi arrampica con me e vederlo salire appoggiando appena i ramponi monopunta mentre io do dei gran calci con i rambo, insomma, mi fa riflettere sul mio stile. Quando riparto le mie preoccupazioni pian piano svaniscono, il gomito funziona e riesco pure a divertirmi. Il tiro finisce in una piccola conca con una pozza ghiacciata al centro, un bellissimo balcone sul canalone che stiamo salendo, sopra di noi vediamo piuttosto imponente quello che pensiamo essere l’ultimo salto. Come al solito parte Maurizio scherzando sul fatto che per tutto il giorno ci siamo raccomandati a vicenda di essere leggeri e di battere piano il ghiaccio. Due metri sopra Mauri si ferma, ha scheggiato la lama della piccozza!  Si fa calare e capiamo che è piuttosto arrabbiato, comunque gli passo subito uno dei miei attrezzi e riparte, ma nello stesso punto di prima rompe anche la becca dell’altra Machine!! Penso che ci siano poche possibilità di rompere due lame a tre minuti di distanza, anche se non c’è molto ghiaccio; forse ha inciso il fatto che le sue piccozze sono molto usate e i materiali hanno comunque dei limiti, inoltre qualche giorno fa si è accorto che nel metallo di uno dei suoi manici si apriva una bella crepa; probabilmente è arrivato il momento di mettere mano al portafoglio (purtroppo). Passa in testa Christian che sale tranquillamente, lo segue Mauri con qualche difficoltà data dalle due lame spuntate, ma se la cava egregiamente. Tocca a me chiudere la salita di oggi, salgo con tranquillità battendo poco il ghiaccio e agganciando le lame alle fantastiche  concrezioni che incontro, tutto funziona per il meglio e mi sto veramente divertendo. Arrivo sotto l’ultimo muro e mi dico che arrampicare è “piedi e testa”, cioè in altre parole equilibrio e ragionare, cosi salgo velocemente fino all’uscita, pianto la piccozza più in alto possibile ma il ghiaccio fa la solita rosa di frattura, pazienza, la ripianto alla base del pezzo staccato (per esperienza so che in genere il trucco funziona), con dei passi brevi salto fuori dall’impennata e… gran spaccata finale per non pestare sul pezzo staccato precedentemente. Gli ultimi metri me li gusto proprio e arrivo da Christian e Mauri. Siamo tutti e tre contenti; chi si immaginava che da questo canalone sarebbe saltata fuori una salita così interessante? Stiamo li attorno ad un sassone e sorridiamo, mentre il cielo pian piano cambia l’azzurro del giorno con i colori del tardo pomeriggio. Raccogliamo il materiale e ci avviamo per una traccia che ci porterà al sentiero principale. Per un attimo mi giro indietro e ringrazio tutto quello che vedo, pietra, ghiaccio, brina, alberi, neve e cielo per averci accolto oggi.  

Roberto Avanzini  
Valsugana, febbraio 2006