Amicizie e ricordi in punta di piccozza
di Gabriele Villa
Era il febbraio del 1994 quando, per la
prima volta, mi arrampicai su per una cascata di ghiaccio. Già da due o
tre anni a Ferrara si stava muovendo un gruppetto di cascatisti vogliosi
di cimentarsi con quell’attività emergente, dopo essersi dedicati per
alcuni inverni alla risalita dei vai innevati delle Piccole Dolomiti e dei
canaloni dell’Appennino.
Il capostipite del gruppetto era stato Maurizio Caleffi, per primo
cimentatosi in salite solitarie sulle cascate "dietro casa sua",
in quel di Fontanazzo, in Val di Fassa.
Era stato, a modo suo, un pioniere e, preso entusiasmo e confidenza con
l’elemento ghiaccio, aveva pian piano iniziato a trascinare un po’
tutti quelli che in sezione sapevano di arrampicata.
Così fu per Riccardo Aleotti, Michele Ghelli, Simone D’Iapico e altri a
seguire che, anche incidentalmente, entrarono nel "raggio
d’attrazione" e si trovarono, in men che non si dica, attaccati a
qualche cascata, magari con le piccozze prese a prestito.
Quello che forse più a lungo aveva resistito alle "lusinghe"
ero stato proprio io, in quegli anni risucchiato completamente nel vortice
dello sci alpino.
Tuttavia, come Istruttore di Alpinismo, avrei dovuto sostenere nell’anno
’95 l’esame-verifica, obbligatorio per il mantenimento del titolo e,
tra le capacità e conoscenze richieste, ci sarebbe stata anche la tecnica
di piolet traction, della quale avevo solo conoscenze teoriche. Per il
lettore che non fosse a conoscenza della terminologia tecnica diciamo che
il termine è francese, significa letteralmente "piccozza
trazione", si pronuncia piolè tracsiòn e indica la tecnica di
salita "frontale" di ripidi pendii di ghiaccio.
Quale occasione migliore per imparare questa sofisticata tecnica di salita
poteva esserci se non quella di accogliere uno dei tanti reiterati inviti
che mi faceva Maurizio? Così, riposti gli sci per un fine settimana, mi
ritrovai in quel febbraio ’94 in Val di Crepa con Richi e lo stesso
Mauri. Avevo due piccozze nuove fiammanti, comprate da pochi mesi in
previsione dell’esame-verifica e mai usate, e ben quattro viti da
ghiaccio di provenienza cèca, regalatemi dall’amico Tito Lucian,
gestore dell’albergo Cant del Gal, anche quelle, ovviamente, mai usate.
Che ricordo mi è rimasto di quella prima esperienza?
Ricordo la sorpresa che provai nel vedere la tranquillità con la quale
Mauri e Richi salivano slegati tratti di ghiaccio vivo con pendenze fino a
60° e anche oltre, mentre io titubavo nelle mie incertezze di neofita, e
la forza con la quale lanciavo le piccozze nel ghiaccio, come se volessi
demolire la cascata piuttosto che conficcarvi le piccozze per salirla. Ma
quell’unica esperienza non mi dispiacque e oramai il ghiaccio era …
rotto, in tutti i sensi, anche quello letterale.
Con l’anno successivo l’occasione per riprovare l’esperienza venne a
gennaio, il giorno dell’Epifania. Ci recammo in Val di Creme in quel di
Recoaro per salire la cascata Emanuela, forse quella che si forma più a
bassa quota in assoluto, se fa il freddo "giusto". Eravamo in
quattro quel giorno e io sarei salito, per la prima volta, da capocordata
sul ghiaccio.
Fu una bella esperienza, se si fa eccezione per un rampone sganciatosi nel
mezzo del tiro più impegnativo che, non senza una certa emozione, dovetti
provvedere a riallacciare sospeso alle dragonne delle piccozze.
Nell’inverno del 1996 Mauri organizzò un’uscita "ecumenica"
avente come obiettivo la mitica Val Valorz, alla quale furono invitati
tutti gli amici che fossero in grado di utilizzare una piccozza da piolet
traction.
Lui si prese la briga di fare da insegnante ai neofiti e lasciò liberi i
più esperti di andare per cascate, così mi ritrovai con Richi come
capocordata sulla cascata Madre, una struttura bellissima e affascinante,
ma decisamente lunga (250 metri) per chi non aveva grande esperienza, né
allenamento specifico, come me quel giorno.
Dovetti stringere i denti per tirarmi fuori dall’ultimo tiro,
soprattutto per superare un breve tratto a 90° che Richi aveva affrontato
con grande decisione e sicurezza.
Nonostante la bella salita ciò non fu sufficiente perché contraessi la
"piccozzite", quella tipica malattia invernale che Mauri, il
portatore sano, stava trasmettendo a tutti come fosse un contagio di
stagione. Così mi ripresentai in cascata soltanto nell’inverno del
’98.
Ricordo che andammo in uno dei "templi" dei cascatisti: quella
gola di Sottoguda che, già affascinante d’estate, diventa con
l’inverno paesaggio di una suggestione incomparabile. Ricordo con grande
piacere la cascata del Sole, affrontata assieme al bravo Richi, oramai
diventato un esperto ghiacciatore.
L’anno seguente Mauri proseguì con metodo il tentativo di
"contagio" nei miei confronti. Organizzò, infatti, un’uscita
di gruppo in quel di Sappada, altra zona di grande richiamo per gli amanti
della piolet traction.
Ho un ricordo molto piacevole di quella giornata, sia perché in cordata
con me e Mauri c’era Stenio (anche lui alle prime esperienze), sia per
la bellezza della cascata delle Tre Grazie che per me, cascatista anomalo
stimolato non tanto dal verticale o dalle "candele" di ghiaccio
quanto dall’ambiente, da questo punto di vista, è il percorso più
bello che io abbia salito, almeno fino ad ora.
L’inverno del 2000 fu quello del primo (e finora unico) corso cascate.
Mauri aveva accettato la proposta dei responsabili della Scuola di
alpinismo di organizzarlo e ne fu, di fatto, il direttore.
Ovviamente chiese agli istruttori e a tutti gli aiuto istruttori che
avessero sufficiente esperienza di cascate di rendersi disponibili e tutti
noi accettammo volentieri.
Fu il corso più intenso e compresso che la storia della nostra sezione
ricordi: quattro settimane consecutive di uscite, con due lezioni teoriche
a settimana.
Fu un mese di full immertion nel regno del ghiaccio verticale.
Un’esperienza decisamente faticosa, ma alla fine piacevole, sia per le
buone condizioni di ghiaccio che trovammo nei vari luoghi di arrampicata,
sia per il bel gruppetto di allievi, carichi di entusiasmo e grande voglia
di imparare e migliorarsi.
L’anno seguente, senza corso cascate, l’inverno riprese per me i
soliti ritmi: solo un paio di fine settimana abbandonai gli sci per
ritornare in quel di Fontanazzo a risalire i salti ghiacciati della Val di
Crepa che mi avevano visto muovere i "primi passi".
Nell’inverno del 2002 ci fu il piacevole ritorno alla Val di Creme che,
con condizioni di freddo molto favorevoli, regalava una cascata Emanuela
in condizioni veramente eccellenti e formata anche nell’ultimo salto
verticale.
Ebbi il piacere di salirla da capocordata, con il fido Luciano, allievo
del primo corso cascate e anche lui cascatista "a forfait".
L’inverno di quest’anno non è stato favorevolissimo per il formarsi
delle cascate ghiacciate ed io, che ancora sono immune alla "piccozzite",
avevo lasciato perdere le piccozze senza alcun rimpianto, in attesa che le
condizioni fossero diventate ottimali.
Poi il freddo è arrivato e Mauri ha subito provveduto a prepararmi
"l’esca" giusta.
Lui sapeva che a Specchio di Biancaneve non avrei saputo dire di no e così
mi sono trovato sullo Scudiello, in numerosa e piacevole compagnia,
diretto in quella ghiacciaia naturale che è la conca di Sappada.
La cascata non l’abbiamo potuta salire tutta perché i miei polpacci, ad
un certo punto, non hanno più saputo far fronte allo sforzo richiesto, ma
ciò non ha tolto nulla ad una giornata piacevole trascorsa in un luogo di
grande suggestione.
Sull’entusiasmo di quella salita ho così proseguito per andare a vedere
uno dei luoghi che più di ogni altro pare dedicato all’arrampicata su
ghiaccio: la Val Daone.
Ne avevo sentito parlare, avevo visto delle immagini fotografiche, ma non
immaginavo che potesse essere un’autentica "miniera" di
cascate di ogni forma, dimensione e difficoltà.
Abbiamo così passato due fine settimana, in parte, esplorativi e, vista
l’ampia possibilità di scelta di bei percorsi, non è escluso che il
prossimo anno non mi lasci tentare con più frequenza dagli inviti di
Mauri.
Nel frattempo ha cominciato a girare nell’aria qualche sentore di
primavera per cui le mie piccozze sono già ritornate nell’armadio,
mentre i malati di "piccozzite" (presi da un ritorno improvviso
di frenesia) stanno andando a cercare gli ultimi posti dove il ghiaccio
ancora resiste per poter effettuare le ultime salite.
Così le nostre strade per un po’ si divideranno e, quando il caldo avrà
fatto crollare anche l’ultima cascata, ritorneranno a ricongiungersi.
Solo allora, insieme, si ritornerà ad arrampicare sulle calde rocce del
Garda in attesa di potersi spostare in Dolomiti, ma, statene certi,
qualcuno già comincerà a contare i mesi che mancano al prossimo
dicembre.
Ma non bisogna preoccuparsi di questo perché, in fondo, non è così
grave come potrebbe apparire al primo sguardo.
Si tratta solamente dei normali sintomi provocati dalla "piccozzite".
Gabriele Villa
Ferrara, 17 marzo 2003