Una piccozza abbandonata
Anche ai nostri giorni la montagna può, talvolta, riservare piccoli enigmi

 

 di Pietro Soffritti 

 

"Pronto, Mariano? ….. C’è posto anche per me in baita, per questo fine settimana?"
Sul momento avrà pensato che stessi scherzando, invece questa era proprio la volta buona.
Avrei finalmente visitato la sua ormai mitica baita, ristrutturata con tanto ingegno e caparbietà nella valle di Viso.
"Solo tu non sei ancora venuto!" mi aveva detto tante volte. Dunque la baita non poteva dirsi "veramente inaugurata". Ma stavolta tutto filava per il meglio e, aggregandomi a Giulio e Daniele, avrei potuto raggiungerlo, onorando un impegno non più prorogabile ed anche fare un’escursione in una zona poco nota.
"Vi propongo la Cima Salimmo, per la via normale. Ci sarà forse qualche tratto su neve, poi una cresta con passaggi di I° e II°, ma non occorre legarsi."
Da quando possiede la baita, Mariano ha iniziato a battere tutti i monti circostanti e anche oltre, alla ricerca di residuati della Prima Guerra, alcuni dei quali sono esposti, con giusta misura, in un angolo del sottoscala. Qui si respira la storia dei luoghi, il tempo che passa lento, lasciando tracce un po’ ovunque, da raccogliere e salvare, come fa Mariano. Vecchi attrezzi abbandonati, sci e piccozze ormai obsoleti, rarissime foto delle prime guide valligiane, memorie degli anziani.

Il mattino successivo gli ultimi preparativi.
"Mariano, davvero non occorre materiale?"
"Penso di no, ma per prudenza io mi porto un piccozzino".
"Prendiamo anche uno spezzone di corda, che ne dici?"
Così si va . Il primo tratto è un sentiero pianeggiante, poi si inizia a salire per alti pascoli e distese di massi di granito, sempre con la cima di fronte a noi.
La Cima di Salimmo è ben visibile da Ponte di Legno, verso cui espone la sua rocciosa parete settentrionale, imponente da lontano e vagamente triangolare. Dal grembo di questa parete, lungo solchi più o meno incassati, quel che resta di un pendio ghiacciato si dirama verso l’alto, sbucando sulla cresta NO in più punti. Il più diretto di questi rami, lungo il quale Giovanni Faustinelli tracciò la via più ardita alla cima, non è attualmente praticabile per mancanza di neve.
Su di un avancorpo roccioso, alla nostra sinistra, un cordata ha da poco attaccato lo spigolo, che più in alto si adagia a cresta rotta, frammista ad erba. Il primo procede lentamente, è spesso fermo. Che stiano aprendo una via?
Alla forcella il vento si fa sentire. Passiamo sul versante meridionale, tutto rocce rotte e sfasciumi. Il percorso si mantiene in realtà ben al di sotto della cresta, su tracce evidenti e numerosi segni bianco-rossi. Mentre Daniele e Mariano allungano il passo, Giulio mi chiede di restargli dietro: questo gli dà maggiore tranquillità. Conoscendo le condizioni del suo ginocchio mi adeguo volentieri, anche perché non ho fretta di arrivare in cima.
Procediamo un po’ a mezza costa, tocchiamo un intaglio della cresta poi di nuovo la lasciamo, per ritrovarla più in alto ad un sella molto aperta, dove sbocca un ramo laterale dello scivolo nevoso.
Un ultimo sguardo al panorama, tra un sorso d’acqua e l’immancabile Ricola e, mentre sto per ripartire, qualcosa nella neve attira la mia attenzione, poco più in basso. Ad una quindicina di metri dalla cresta, una piccozza sta a testa in giù, conficcata per la becca, quasi sospesa in orizzontale. Faccio per avvicinarmi, ma il pendio inclinato sui 50°, la neve fradicia e la mancanza di attrezzatura mi convincono a rinunciare. Sulla sinistra, dalle rocce sfaldate una breve serie di impronte si dirige in diagonale verso la piccozza abbandonata. Poi più niente, né in salita né in discesa.
Un’occhiata fino in fondo al canalone non rivela altro di anomalo, così riprendiamo il cammino, tra mille congetture.
" Che cosa ci fa una piccozza, in quella posizione? Sembra quasi che, sfuggita di mano a qualcuno dalla cresta, si sia fermata da sola, dopo aver per un po’ ruzzolato.
E quelle impronte, come di qualcuno che abbia tentato di recuperarla ma, proprio ad un passo dal raggiungerla, sia tornato indietro…".
Da qui il nostro percorso si fa ancora più ripido, puntando diretto alla cima poco distante, su cui si innalza una croce di ferro. Alzando lo sguardo vedo i nostri due compagni a pochi passi dalla vetta e, in quel momento, la sagoma di un camoscio spicca un gran balzo contro il cielo, da un masso ad un altro.
Sulla cima siamo solo noi e il panorama è grandioso: la Vedretta di Pisgana, la Calotta e più indietro, seminascosto, l’Adamello.
"Avete visto quella piccozza nella neve, quasi all’uscita del canalone"?
"No, non ci abbiamo fatto caso".
Appena il tempo di addentare un panino ed il rumore inconfondibile dell’elicottero precede di poco il suo sbucare dalle nebbie che si addensano sulla parete Nord. E’ giallo e mentre ci sorvola da vicino lo vediamo chiaramente, carico di persone equipaggiate, caschi bianchi e tute rosse, ci salutano. Rispondiamo con gesti misurati, tranquillizzanti: per noi tutto è a posto.
"Che stiano cercando qualcuno sulla parete qui sotto? Quella piccozza è veramente molto strana …..Perché non fargli dei segnali?"
"No, non sappiamo che cosa stiano veramente cercando, potremmo metterli fuori strada. E poi, per me, stanno andando in ricognizione su quel ghiacciaio. Vedi là in fondo, c’è gente ferma, forse devono recuperare qualcuno da un crepaccio…".
Per un attimo gira intorno alla cima, poi si allontana in direzione del ghiacciaio.
Intanto il cielo si sta annuvolando.
Ma il dubbio resta, anzi, si fa sempre più insistente; quella piccozza è un indizio troppo sospetto. Se di incidente si tratta, quando è capitato? Non più tardi di ieri, magari qualcuno non è rientrato ed è scattato l’allarme. Però, è già l’una passata, potrebbe essere successo anche questa mattina. Ma chi può aver visto e chiamato il soccorso?
Dopo qualche minuto l’elicottero ritorna, compie altri giri, sembra insistere proprio sulla parte Nord, ma la visibilità sta calando a causa delle nubi e ripassa ancora su di noi. L’idea dell’incidente non mi lascia, ma non trovo una spiegazione sufficiente a prendere una decisione. Nessuna altra traccia evidente nel canalone, né in salita né in discesa, se non quelle poche impronte in diagonale, verso la piccozza.
"Chi può avere avuto un’idea così stupida, scendere per il canalone dopo essere salito, magari per la normale, in condizioni assolutamente proibitive per le vie di ghiaccio" ?
Comunque sono convinto che sia capitato qualcosa di grave e mi viene spontaneo pensare, ormai, ad un morto.
E se fosse solo ferito? Basta, è troppo tempo che l’elicottero gira invano: con ampi gesti, aiutandomi con un bastoncino, indico la sella su cui si trova la piccozza e il canalone sottostante.
Chissà se avranno visto?
E’ ora di muoversi. "Iniziate a scendere voi, così potete vedere da vicino. Io e Giulio vi raggiungiamo subito".
Ora l’elicottero sembra proprio sul canalone, non lo vediamo più tornare.
Così, ridiscesi alla sella, assistiamo alle operazioni: duecento metri più in basso, dall’elicottero si sta calando un soccorritore che viene deposto nel punto in cui deve trovarsi l’infortunato, al margine sinistro dello scivolo, tra la neve e la roccia. Un’altra persona è già sul posto, la vediamo col binocolo.
La piccozza è ancora lì, a portata di mano e, assicurato da Daniele con lo spezzone di corda, Mariano provvede al suo recupero. Non sarà poi difficile farla avere ai soccorritori, pensiamo.
Intanto l’elicottero se ne va, scarico.
Mariano offre collaborazione, gridando verso i due rimasti sul posto, ma senza esito. Così anche noi riprendiamo a scendere. Sta iniziando a piovere.
Al bar della stazione superiore della seggiovia raccogliamo ben poche informazioni.
Gli alpinisti che al mattino arrampicavano sullo spigolo hanno riferito di aver visto solo gente sul sentiero: uno davanti che saliva veloce, poi altri tre (noi quattro) un po’ più lenti.
Da quanto gli riferisce Mariano, il gestore trae la convinzione che chi ci precedeva, attirato dalla piccozza, abbia deciso di andare a prenderla pur senza un’adeguata attrezzatura, pagando caro il tentativo.

Nei giorni successivi Mariano, rimasto in valle, apprenderà che ad intervenire è stato il Soccorso alpino di Trento ( essendo quello di Ponte di Legno già impegnato), chiamato direttamente dall’infortunato col proprio cellulare, poco prima di cadere nell’ipotermia in cui è stato trovato e che gli ha probabilmente impedito di farsi notare dai soccorritori. Ricoverato all’ospedale di Trento in gravi condizioni, ne avrà per parecchio tempo.
Un quotidiano locale scriverà, tra l’altro, che l’incidente si è verificato mentre egli saliva per la via Faustinelli, che invece non si svolge su quel canalone e che, in questi ultimi anni, non è percorribile a causa della mancanza di neve, già ad inizio estate.
E la piccozza?
Se qualcuno di voi conosce il proprietario o può mettersi in contatto con lui, potrà fargli sapere che è stata recuperata e che potrà riaverla, scrivendo a "INTRAIGIARUN".

 Pietro Soffritti

 Cento, Novembre 2002