di Maurizio Caleffi
Premessa
"Ciao Mauri, non hai idea del piacere che mi ha fatto trovare la tua mail nella posta stamattina ! Sono contentissimo di sentirti e spero che combineremo al più presto un'uscita alpinisitica, magari già da stasera al CAI ! Spero che ti stia rimettendo in forma con la mano, perchè come sai quest'anno voglio cominciare a spicozzar ghiaccio anch'io e vorrei imparare da un GRANDE, e non quei due ciocapiat della Chiara e Simone (il secondo soprattutto ormai buono solo per mangiar salsicce !)……"
Era la fine dell’estate
2000: un’estate che non dimenticherò mai per due motivi: il morale
"sotto i tacchi" e una mano fratturata. Francesco, un caro amico
conosciuto un anno prima durante un trekking di una settimana, risponde ad
una mia e.mail in questo modo. Il termine "grande" espresso
nella sua lettera era senza dubbio esagerato così come il "ciocapiat"
rifilato a Chiara e Simone (rispettivamente sorella e cognato).
Quello che però Franz
sapeva di certo era che la mia grande passione per le cascate di ghiaccio
sarebbe stata l’unica cosa in grado di scuotermi dallo stato di
depressione nella quale mi trovavo. Dopo qualche promessa strappata con le
unghie, al rientro da una indimenticabile uscita invernale di tre giorni
trascorsi in una baita isolata con altri amici, mi convinse a fare una
scappata a Sottoguda. Con la complicità di Monica e Beatrice mi portarono
alla base di una breve cascatella ghiacciata e il miracolo avvenne!
Era il primo Gennaio
2001, la stagione delle cascate, visto il caldo anomalo, era appena
iniziata, da allora, in poco più di un mese, ne ho già collezionate
tante quanto tutta la stagione scorsa!
Febbraio: una serata al
C.A.I. con gli amici, come tutti i martedì. Mentre Gabri cerca di
convincerci di andare nel fine settimana tutti insieme a sciare, io e
Franz cerchiamo di defilarci dal programma proposto. Lui forse spera in un
mio invito ed io già ero pronto con l’esca.
Ciao Mauri, cosa ti passa
per la testa ? Ieri ti ho visto un po'
abbottonato, credo tu stia covando qualcosa.... per Sabato ? Sputa
l'osso !!!!!!! Se hai voglia io mi sparerei su una lunga e difficile
cascata, se invece vuoi veramente riposare non c'è problema, penso che
affilerò le picche per il prossimo week-end lungo !!! Eventualmente
Domenica andrò ad Arco con i pikkiatelli, meteo permettendo. Oggi a
pranzo intanto chiamerò la Chiara, vedrò di auto-invitarci con stile e
discrezione !!! Ti faccio sapere se ci prendono (o meglio... se non ci
sbattono via di casa). Io comunque mi libero Giov e Ven, da qualche
parte troveremo pur ghiaccio ! (da oggi le temperature scendono, fino a
Ven danno bel tempo). Ciao, a dopo F
…Aveva capito tutto!! La
mia idea era quella di andare a spiccozzare in Val d’Aosta approfittando
del fatto che Chiara e Simone passavano la loro settimana bianca in zona.
Non ci invitarono a casa loro come Franz sperava, ma furono ugualmente
utilissimi nel darci le informazioni logistiche del caso.
Il programma fu definito
in "men che non si dica": quattro giorni, da giovedì a
domenica, alloggio presso un alberghetto consigliatoci dall’amico guida
alpina Alessandro, e per il resto… solo ghiaccio!!
Primo giorno
"Il viaggio"
Con la solita e.mail di
conferma ci accordammo per partire alle quattro di mattina (!!!): non
volevamo perdere nemmeno un’ora di quella nostra vacanza! Ricordo la
stessa emozione che provavo da ragazzino alla vigilia della partenza per
le vacanze. Per me partire così presto non era un problema: essendo in
ferie per tutta la settimana, il giorno prima ne approfittai per
"recuperare " un po’ di sonno grazie ad una prolungata
pennichella pomeridiana.
Franz invece aveva
lavorato duro il giorno prima per finire un lavoro e permettersi così il
week-end lungo.
Gli promisi di dargli una
mano nella guida in modo da dargli la possibilità di dormire almeno un
paio d’ore durante il lungo viaggio. Il tempo era brutto: nebbia. Era
una vera sfiga in quanto in tutto l’inverno questa forse era la seconda
o al massimo terza volta che si presentava! Le previsioni meteo erano
infatti poco favorevoli: un fronte atlantico stava attraversando mezza
Europa portando pioggia e temperature al di sopra delle medie stagionali.
Il miglioramento era previsto per sabato e domenica. Speriamo bene!! Anche
in considerazione della pericolosità delle valanghe!
Dopo Piacenza, pioggia e
mentre entriamo in Val d’Aosta ci telefonò Simone dicendo che da loro
nevicava.
Meno male …sempre meglio che l’acqua!!
Ancora era buio, ma alle
prime luci del giorno, rese ancora più cupe dalle pesanti e grigie nuvole
che gravavano a fondo valle, la mia attenzione fu catturata da quello che
intravedevo ai bordi della autostrada: erano i segni dell’alluvione
d’autunno. Tutti i campi ai fianchi della Dora Baltea erano ancora
sommersi di fango e detriti e innumerevoli frane ancora segnavano i
fianchi delle montagne. Molte case ed edifici sulle rive del fiume erano
semi-sepolte da fango, tronchi e sassi: pensai a quanto doveva essere
stato violenta l’ondata d’acqua che allora travolse tutto il
fondovalle e meditai sui brutti momenti trascorsi dagli abitanti della
zona. Trascorreranno anni prima che le cicatrici inferte alla valle si
richiudano e il duro lavoro della gente di quei posti sarà l’unica
medicina !
Arrivati ad Aosta il
panorama era uguale a quello che si ammira entrando a Ferrara Nord in una
uggiosa e nebbiosa giornata d’inverno: solo i cartelli stradali ci
indicavano che eravamo al cospetto delle più famose vallate alpine: Val
Pelline – Gran San Bernardo. La strada sale rapidamente fra cantieri
impegnati nel consolidamento della sede stradale fortemente danneggiata.
La nostra meta era Ollomont , un piccolo paese in una valletta laterale
della Val Pelline. Dopo esserci incontrati con Chiara e Simone insieme
salimmo ancora con le nostre auto fino alla fine della strada, in fondo
alla valle. Qui quattro case e una stalla danno origine al piccolo abitato
di Glacier.
"Gomorra"
Non ci fermammo nemmeno
all’albergo, che si trovava un chilometro prima, per due motivi: primo
era ancora troppo presto, secondo … non volevamo perdere tempo!
Nonostante un tempo da
lupi ci preparammo per la nostra prima salita sulle cascate della Val
d’Aosta. La scelta fatta ci guidava sulle cascate di Glacier –
Ollomont. Seguiti i consigli dell’amico Alessandro, il quale ci aveva
assicurato che le colate della zona erano sicure, Chiara e Simone ci
guidarono in direzione delle "evidenti colate" (così diceva la
guida… ma non si vedeva nulla!!!). Dopo quattro ore e mezza di viaggio,
camminare nella neve con chili di materiale sulle spalle e, come se non
bastasse, salendo per un ripido bosco ed un successivo canale, non è una
delle cose migliori che ti possa accadere! Ma ecco che improvvisamente
tutta la nostra fatica sta per essere premiata: un colpo di vento spazza
per un attimo le nuvole e di fronte a noi ci appaiono due bellissime
cascate, azzurre e lucenti: tutta la mia stanchezza sparì un quel
preciso istante e, credo, anche quella di Francesco!
A sinistra una candela alta venti
metri circa , verticale e con un uscita che si lasciava intuire come molto
esile: a destra una colatona più imponente che nella parte alta sembrava
essere più ripida e che successivamente, grazie ad una goulottina,
portava ad un’altra cascata molto ampia e contornata da grandi candele
sospese.
Così come se ne era andata , la
nebbia improvvisamente tornò e ci impedì di continuare ad osservare
quelle fantastiche strutture. Le due cascate portavano il nome di "Sodoma"
(sx) e "Gomorra" (dx): la loro fugace apparizione ebbe quasi
il significato del: "….Eccoci siamo qua!… Ora, se volete, venite
a prenderci!!…".
Un invito al quale era difficile
da parte mia astenermi!! Dopo esserci consultati scegliemmo quella che ci
era sembrata la meno difficile e più sicura: quella di destra …"Gomorra".
La candela di sinistra ci sembrava piuttosto fragile in uscita.
Partimmo contemporaneamente io e
Simone mantenendoci il più possibile uno di fianco all’altro per
evitare le reciproche scariche. La base della cascata era molto larga e il
ghiaccio ottimo. Solo in pochi tratti si sfaldava sotto le nostre piccozze
e la salita era molto piacevole. La prima sosta si trovava a destra della
base del tratto ripido finale: una sosta sicura con due ottimi spit su
roccia: unico piccolo problema, le ridotte dimensioni del terrazzino.
Quando Francesco e Chiara ci raggiunsero sembravamo quattro sardine in
scatola!!
Da quel punto bisognava affrontare
un breve muretto a 90° ed io non vedevo l’ora di farlo! Dopo aver
rassicurato Simone, che invece sembrava impensierito da quell’ostacolo,
partii con una breve attraversata a sinistra e dopo aver piazzata la prima
vite di protezione, mi concentrai per la salita. Come sempre, quando si
affrontano certi passaggi, cercai di mantenere il massimo equilibrio in
ogni movimento. Le becche delle mie piccozze entravano a meraviglia
nell’ottimo e plastico ghiaccio azzurro, dandomi sempre la massima
sicurezza nei miei attrezzi. Con altri due chiodi risolsi il tratto
verticale e poco sopra a sinistra trovai un’altra super-sosta attrezzata
a spit che mi fece decidere di fermarmi per il recupero di Franz. Poco
prima di lui mi raggiunse anche Simone e dopo qualche minuto ci ritrovammo
di nuovo tutti e quattro in sosta in modo decisamente più confortevole di
prima!
Chiara a questo punto decise di
continuare la cascata da capo cordata in quanto Simone denunciava un po’
di stanchezza. Affrontammo così il terzo tiro: un canalino ghiacciato ,
una vera piccola goulotte con ottimo ghiaccio e pendenza pressochè
continua intorno ai 70° gradi. Al termine di essa, dopo circa trenta
metri, una sosta spittata come le precedenti. Mentre attrezzavo la sosta
per il recupero di Franz, osservai sua sorella dietro di me mentre saliva:
Chiara era decisa, attenta e, a dimostrazione della sua determinazione,
arrampicava senza dragonne e chiodando autonomamente, anche se poteva
utilizzare i miei chiodi!! L’ho sempre detto: Chiara è l’unica
persona che io conosco che ama fare cascate quanto me! L’ammiro
moltissimo e l’entusiasmo le si legge negli suoi occhi tutte le volte
che si parla di cascate!!
Fatto anche il tiro successivo su
neve ci trovammo alla base di una larga fascia di candele alcune delle
quali molto belle ed invitanti. Il mio entusiasmo era a mille: esclamo
almeno una dozzina di volte: "… cazzo che bello… che bellooooo!!!!…."
Anche Chiara era molto carica solo che aveva bisogno di essere più
incoraggiata di me. Io so che se vuole ce la può fare benissimo a salire
anche quella ultima colata ed allora la spinsi a seguirmi. Partii e lei mi
segui: superato un primo gradino ci trovammo alla base della candela
centrale. Io affrontai la bellissima placca verticale iniziale e Chiara,
su mio suggerimento, un diedrino alla mia destra leggermente meno ripido.
Mentre Chiara, leggermente dietro di me, saliva io mi trovai ad affrontare
un tratto dove il ghiaccio era improvvisamente cambiato: evidentemente una
precipitazione nevosa ed un successivo riabbassamento della temperatura
avevano generato in quel punto una grossa crosta di ghiaccio sotto la
quale c’era uno spesso strato di neve. Risultato: ad ogni colpo di
piccozza la crosta si rompeva e questo provocava pericolose scariche che
in parte interessavano la zona di Chiara. Provai a forzare il passaggio ma
il rischio di colpire Chiara e anche quello di cadere su di lei me fecero
desistere.
Decisi allora di traversare a
sinistra e portarmi sulla via di salita della mia amica: se non altro il
ghiaccio in quel tratto era buono e quindi i pericoli sarebbero diminuiti.
Arrivato a due metri dall’uscita un diedrino verticale si poneva come
ultimo ostacolo alla salita. Piazzata una buona vite e rinviata la corda
affrontai, ormai stanco, l’ultimo passaggio.
La mancanza di ghiaccio mi
obbligò ad un atletico e scimmiesco aggancio di piccozza su un tronco
d’albero: ero fuori e la sosta si trovava ad un metro da me . Ora
toccava a Chiara: ero convinto, nonostante la difficoltà del passaggio,
che ce l’avrebbe fatta e così la incitai a stringere i denti e le diedi
tutte le indicazioni su come affrontare il famigerato diedrino finale.
Anche lei "tarzaneggiando" arrivò in sosta, ringraziandomi per
l’incoraggiamento datole. Era la volta dei nostri compagni di cordata i
quali affrontarono la salita con grande abilità. Simone era molto provato
anche perché nei giorni precedenti aveva salito "robe molto
dure" con il nostro amico Alessandro. Francesco invece non mostrava
segni di stanchezza: del resto lui è sempre allenatissimo e per vederlo
un po’ provato dovrò aspettare ancora.
Con tre doppie arrivammo alla base
della cascata dopo un’oretta e sotto qualche fiocco di neve iniziammo la
discesa verso le auto ripromettendoci di tornare l’ultimo giorno per
salire anche "Sodoma", la bella candelona di sinistra.
Una birra e un panino sono ormai
la regola per ogni "dopo cascata"! Infatti seduti intorno al
tavolo dell’albergo, durante la meritata merenda, cominciammo a fare
programmi per il giorno dopo. Dopo che avevo espresso il desiderio di
recarmi nella mitica Valle di Cogne, Simone e Chiara ci suggerirono alcune
soluzioni . Fra queste c’era una cascata all’inizio della valle che
sembrava avere tutte le caratteristiche per poter essere salita: "Tuborg".
Unico problema poteva essere la presenza di altre cordate che ne avrebbero
compromesso la scalata. Poco male: domani è venerdì e poi partiremo
molto presto giocando di anticipo!
Secondo giorno
"Tuborg"
Alle sei di mattina la
sveglia suonò. Vista l’ora non c’era nessuno che ci faceva la
colazione ed allora la sera prima Marco, il gentilissimo gestore
dell’albergo, ci aveva preparato dell’acqua calda in una caraffa
termica, alcune bustine di the, pane, burro, marmellata, fette biscottate
e succo di frutta: insomma una colazione al sacco fatta nella nostra
camera. Simone aveva dato
forfait: proprio non ne aveva voglia di spiccozzare, ma Chiara invece si e
così decidemmo per una cordata a tre. Una soluzione non molto adatta per
una salita su cascata, ma non importava molto.
Di tempo ne avevamo molto e
poi, soprattutto, la passione di Chiara meritava un premio! Il giorno
prima Simone mi aveva confessato che sua moglie era un po’ triste perché
voleva fare qualche salita insieme a me e purtroppo dall’inizio della
stagione non ne avevamo avuto ancora la possibilità! La cosa mi fece
felice e mi rattristò nello stesso tempo: il fatto che Chiara mi stimi
così tanto da desiderare di arrampicare con me, mi inorgoglisce! Vorrei
dividere questa grande passione sempre con tutti gli amici che la amano
come me: quando questo non avviene per me è un po’ come tradire
l’amicizia che c’è fra di noi! La stretta di mano e l’abbraccio che
segue ad ogni salita, è quanto di più bello esista … anche più della
salita stessa!!
Alle sette eravamo a casa
dei due sposini: una graziosissima baita in un gruppo di poche case in una
frazioncina della Val Pelline. Chiara era già pronta, ci preparò un the
caldo da tenere nel thermos. Dopo aver lasciato Simone partimmo con
l’auto di Francesco in direzione di Cogne. Il tempo non era ancora dei
migliori ma decisamente più accettabile del giorno prima. Sprazzi di
cielo sereno fra le nuvole lasciavano intravedere quel colore tipico che
solo in montagna ormai si vede. Da noi in città il cielo non esiste più:
fra noi e lui una spessa coltre di smog ci impedisce di poterlo ammirare
come è realmente!
Passammo per Cogne e
proseguimmo per Lillaz fino a parcheggiare l’auto all’imbocco della
Valleile: eravamo nel tempio del cascatismo italiano. La mitica " X
Files" ci apparve da subito ed era proprio come viene descritta: un
missile di ghiaccio! All’inizio dell’inverno ci è stato detto che
qualcuno aveva abbandonato una corda e così quest’anno per la prima
volta l’enorme candela, che generalmente rimane sospesa nel vuoto,
raggiungeva e si collegava alla base della cascata. Come è noto questa è
una delle più difficili salite di misto (M 10 !!), infatti l’apritore,
il mitico Stevie Haston, raggiunse l’enorme candela sospesa con una
incredibile arrampicata su roccia, fatta però con piccozza e ramponi!
Erano poco più delle
otto di mattina quando incominciammo a prepararci per raggiungere "Tuborg".
Nei pochi minuti a noi necessari per indossare le varie attrezzature
arrivarono tre auto, l’ultima delle quali era un furgone svizzero dal
quale scesero sei persone praticamente con già lo zaino sulle spalle e
imbragati! La cosa ci preoccupò un tantino e Chiara scalpitava per
partire: non volevamo assolutamente farci soffiare la nostra meta!
Durante l’avvicinamento
Chiara ci indicò le principali cascate della zona: a parte la già citata
"X Files" ammirammo "Tutto è relativo" e soprattutto
la fantastica " Stella Artice". Quest’ultima pare sia una
delle più difficili della valle ed è anche molto pericolosa dal punto di
vista della caduta di valanghe!
Proprio di fronte a
questa cascata, sul lato opposto della valle, all’improvviso ecco che ci
apparve la nostra cascata: un lungo e ripido canale ci divideva da lei e a
metà di questo decidemmo di indossare i ramponi per la presenza di
ghiaccio vivo sul fondo. Alessandro, il nostro amico e guida alpina, ci
aveva rassicurato che i pericoli su quel versante erano minimi ed infatti
non potei fare a meno di osservare che, nonostante la presenza di un bel
po’ di neve, alla base di "Tuborg" non c’era alcun segno di
slavine! Impugnate le piccozze, ma ancora slegati, superammo i primi brevi
e facili salti e da li a poco raggiungemmo la base della cascata dove,
sulla sinistra, era presente una sosta attrezzata a spit.
Quasi come se fosse un
rito, ci preparammo lentamente indossando l’attrezzatura necessaria per
la salita. A fianco di quel incredibile e affascinante muro di ghiaccio mi
sentivo piccolo: Chiara guardandomi forse aveva capito il mio stato
d’animo e parlandomi cercava di caricarmi. Il ghiaccio era azzurro,
compatto e , nonostante il sole che lo illuminava , non faceva una goccia
d’acqua. Un’ultima occhiata alla relazione della guida per capire dove
avrei trovato la sosta alla fine di quel tiro e con il cuore pieno di
emozione grandissima mi apprestai a sferrare i primi colpi di piccozza.
Salire una cascata al
sole è il sogno di ogni cascatista: se poi a questo si aggiunge che
eravamo nella mitica vallata di Cogne, in un ambiente fantastico e con una
giornata "da cartolina", si fa presto ad immaginare il mio stato
d’animo. La concentrazione comunque era al massimo anche perché la
verticalità di quel muro non permetteva distrazioni : ogni movimento era
misurato e tutto il mio mondo era in quei quaranta metri di ghiaccio.
Tutto filava per il meglio e riuscivo a progredire senza problemi.
Alla fine di quel muro la
pendenza si abbatteva rapidamente ma della sosta nessuna traccia.
Proseguii allora su neve ma la corda stava per finire e di ghiaccio
nemmeno l’ombra per riuscire ad attrezzare una sosta con le viti.
Scavai allora nella neve
e trovai due grossi massi che riuscii ad abbracciare con una fettuccia:
affondai le gambe nella neve in modo da ottenere con il mio corpo una
specie di ancora e in quel modo "piantato" mi apprestai al
recupero dei miei compagni di cordata. Dopo alcuni minuti, Francesco sbucò
dal muro verticale alla rampa di neve dove mi trovavo, e vedendomi così
conciato non volle perdere l’occasione di farmi una foto.
"…Fantastico!!!" mi
disse con gli occhi pieni di gioia. Ora toccava a sua sorella: gli chiesi
di proseguire sulla neve fino a raggiungere una sosta attrezzata che si
intravedeva a circa venti metri sopra di noi. La neve alta fino alla
coscia e la modesta pendenza di quel tratto gli permisero di raggiungere
il punto desiderato senza che io lo assicurassi con la corda. In quel modo
ebbi la possibilità di dedicarmi al recupero di Chiara che dopo alcuni
minuti mi raggiunse.
Lasciammo subito quella
specie di truna che era la nostra sosta e raggiungemmo Francesco. Un
secondo salto ci aspettava: meno ripido del precedente ma ugualmente
affascinante per compattezza e colore. Quasi sembrava una nuvola
tempestata com’era da quelle chiazze di neve . Non c’era che
l’imbarazzo della scelta: larga quanto alta poteva essere salita ovunque
ed allora decisi di farlo giusto in mezzo. A differenza del primo tiro
eravamo all’ombra, ma subito dopo, al termine del tratto verticale, la
rampa nevosa che seguiva era nuovamente baciata dal sole e così anche la
sosta.
Appena Francesco mi
raggiunse , udimmo distintamente una specie di rombo. Durante tutta la
salita questi rumori ci avevano accompagnato: erano gli aerei di linea che
sorvolavano la zona e il grande silenzio che ci circondava ne esaltava
l’ascolto. Ma quel rombo era diverso da quelli uditi fino a quel
momento.
" Guarda …guarda
Mauri!!". Alle nostre spalle sul versante opposto della vallata una
grande massa nevosa stava spazzando i fianchi della montagna. La valanga
era di medie dimensioni ma ugualmente impressionante. La nuvola che si alzò
coprì per diversi minuti tutta la zona interessata alla scarica e a fondo
valle la massa nevosa arrivò a lambire la strada che era a parecchie
centinaia di metri di distanza. Riuscimmo anche a scattare due foto per
immortalare quell’evento così speciale. Chiara, che in quel momento
stava arrampicando per raggiungerci, non si accorse di nulla: le
raccontammo tutto suscitando in lei un po’ di invidia.
Era giunto il momento di
scendere: facendo una rapida analisi della posizione delle soste pensammo
che con tre calate saremmo arrivati alla base del primo muro. Il problema
era rintracciare l’ancoraggio che doveva permetterci l’ultima calata e
che durante la salita non era stato individuato. La presenza di tutta
quella neve mi fece pensare che il tutto doveva essere nascosto sotto di
essa e arrivato in zona cominciai a scavare come un cane da valanga!
Al secondo tentativo feci
centro: il problema era risolto e la discesa in doppia era garantita senza
il pensiero di elaborate e rischiose manovre di calata e recupero viti. La
discesa a fianco della colata ci permise ancora di osservare la grandiosità
di quella cascata. Decidemmo anche di proseguire la discesa del tratto
finale sempre in "doppia" raggiungendo dopo una ventina di
minuti il canale di discesa dove finalmente potevamo dichiarare finita la
nostra giornata.
Una sosta nel bar di Cogne, punto
di ritrovo di tutti i cascatisti, era d’obbligo: soprattutto, oltre alla
legittima necessità di mangiare e bere qualcosa, eravamo ansiosi di
mettere le nostre firme sul libro delle salite.
"….con quale coraggio
adesso tornerò a Sottoguda!!". Questa fu la frase con la quale
conclusi la nostra annotazione.
Terzo giorno
"Cascata di Rovenaud"
Dopo la mitica Cogne era
il momento dell’altrettanto famosa Valsavaranche. Ai più è rinomata
perché porta di accesso al gruppo del Gran Paradiso: al suo termine, dal
paesino di Pont, si parte per il rifugio Vittorio Emanuele, punto di
appoggio per la salita alla cima del famoso quattromila e di altre cime
importanti. Per noi ghiacciatori in inverno la Valsavaranche è
un’incredibile miniera di salite su cascate per tutti i gusti.
Chiara questa volta aveva
deciso di stare con suo marito, che ormai al termine della sua settimana
bianca proprio non ne aveva voglia di faticare ancora! Francesco ed io ci
alzammo allo stesso orario del giorno prima consapevoli però che avremmo
in ogni caso guadagnato una buona mezzora , in quanto non dovevamo
risalire la Val Pelline per recuperare Chiara. Quando ci avviammo con la
macchina dal nostro alberghetto era ancora buio: era di sabato e
sicuramente dovevamo aspettarci molto più traffico dei giorni precedenti,
non solo per le strade ma soprattutto in cascata. Ad Introd, paese che
segna l’entrata nella Valsavaranche, ci apparve la cima imponente del
"Bianco": si stagliava nel cielo ancora rosato dalle prime luci
dell’alba. La vista era fantastica ed il minimo che potevamo fare era
dedicargli alcuni minuti per carpire una foto.
La nostra destinazione
era il paesino di Rovenaud: qui Chiara e Simone ci avevano raccomandato la
salita della cascata omonima. Sicura e suggestiva essendo incassata in una
forra, la colata non era facilmente visibile dalla strada e all’arrivo
al paesino subito cercammo di individuarla. Il freddo era pungente al
punto che per un attimo rimpiansi la calda e accogliente camera
d’albergo. Ma Francesco, determinato come sempre, incominciò subito a
prepararsi togliendomi ogni illusione di ritirata. Decidemmo di puntare
verso una gola nella quale poteva esserci la nostra meta: ovviamente la
neve era crostosa ed a ogni passo sprofondavamo a volte fino alla coscia.
La fatica era grandissima e per percorrere quelle poche centinaia di metri
ci mettemmo una eternità.
Ancora la cascata non si
vedeva e noi ci stavamo inerpicando per il bosco: dal basso vedemmo altri
due ragazzi che ci seguivano. "Accidenti speriamo che non ci soffino
la cascata!!". Francesco sembrava come indemoniato: sapeva benissimo
che se avessimo avuto una cordata sulla testa, sarebbe stato tutto più
pericoloso.
Ingranò la quarta e partì
velocissimo e deciso superando una specie di argine di sassi e scoprendo
al di la di esso il canale che entrava nella forra della cascata.
Appena in tempo: dopo
cinque minuti, dal basso, spuntarono i due ragazzi i quali successivamente
ci dissero di venire da Milano e che facevano parte di un "corso
cascate". Infatti già si intravedevano in basso altre persone che si
stavano avvicinando. Salutando ci avviammo
mentre i nostri colleghi ancora stavano indossando i ramponi ed iniziammo
a salire i primi risalti ghiacciati.
Una sgradita sorpresa ci
accolse nel breve tratto di neve che conduceva alla base del primo
candelone: un cucciolo di camoscio giaceva a fianco di un masso.
Evidentemente era precipitato dall’alto delle pareti che circondavano la
forra. Colpa dell’inesperienza, forse, visto che questi animali sono
rinomati per l’abilità e l’equilibrismo. Ma il ghiaccio l’aveva
tradito: scivolato forse mentre si spingeva a brucare qualche lichene sul
bordo della parete, era caduto e l’impatto violento su quel masso doveva
essere la causa del decesso. Rimasi stupito su come reagii alla vista di
quello sfortunato animale: se fosse stato vivo non avrei esitato un attimo
nel cercare di accarezzarlo. Spesso lo faccio con alcune marmotte
intraprendenti che vado a trovare sulle mie montagne della Val di Fassa:
con la scusa del cibo si lasciano avvicinare fino a farsi accarezzare la
testa! Quel piccolo camoscio, invece, suscitò in me come un senso di
rispetto per la sua tragica sorte e la mia carezza rimase trattenuta.
Di fronte a noi una colata
molto grande che era caratterizzata da un primo tratto praticamente
verticale di circa venti metri. Sulla destra alla base trovammo un ottimo
spit per sostare. Mi legai alle corde e partii attraversando verso il
centro della candela.
Ero talmente concentrato
su quel tratto verticale che mi dimenticai di quello che veniva dopo ed
infatti dopo quei primi venti metri assai impegnativi mi trovai ad
affrontare un tratto più appoggiato ma che pareva non finire mai! Arrivai
alla sosta utilizzando tutti i sessanta metri di corda a disposizione.
Mentre recuperavo Francesco, vidi sul bordo sinistro della forra un
secondo camoscio che brucava quel poco di erba che spuntava dalla neve.
Subito pensai al suo simile e associai un modo molto stupidamente umano un
grado di parentela fra i due: "sarà suo fratello "… pensai.
Poi, solo perchè si era mosso,
vidi un altro esemplare più adulto che, perfettamente mimetizzato,
dall’alto osservava e controllava le gesta del cucciolo. " ..e
quella sarà la mamma!" ..dissi fra me e me.
Era un quadretto che
sembrava indicare che in natura, come nella vita di tutti i giorni, ad
ogni disgrazia bisogna reagire continuando a vivere.
Francesco mi raggiunse in
sosta: la gola in quel punto girava a destra e seminascosta da una costola
rocciosa si intravedeva il secondo salto: un tratto di neve ci separava
dallo zoccolo che segnava l’inizio vero e proprio del secondo tiro. Osservando con attenzione
la cascata individuammo una sosta sulla sua sinistra alla base di un
tratto decisamente verticale. Proposi a Francesco di condurre la cordata
fino a quel punto da dove io avrei proseguito. Penso che fosse il suo vero
primo tratto da capo cordata ed accettò la mia proposta senza un attimo
di esitazione.
Iniziò a salire con la
massima attenzione e accettando tutti i miei consigli arrivò
brillantemente alla sosta che, risultando inaffidabile, fu costretto a
riattrezzare.
Al suo comando, partii e
lo raggiunsi. Eravamo alla base di quel tratto verticale che visto da quel
lato sembrava veramente impegnativo. Lo osservai per carpirne i pochi
"lati deboli" e decisi di partire.
Subito un chiodo per
garantire la sicurezza e poi cercando di scaricare lo sforzo delle braccia
, posizionando bene i ramponi, continuai a salire. Secondo chiodo: vado
per impuntarlo e mi cade in basso. I muscoli delle braccia sembravano
scoppiare e la respirazione si faceva affannosa. In queste condizioni solo
l’idea di dover estrarre un secondo chiodo dalla bandoliera era una
cosa difficile da accettare. Ma quel chiodo era maledettamente importante:
stanco com’ero poteva diventare "molto utile" qualora più in
alto avessi esaurito le forze!
Decisi allora di
prendermi una licenza: aggancia un moschettone al foro del puntale della
piccozza meglio piantata e vi passai la corda.
" Franz tira la blu!!"
urlai.
Così facendo ero praticamente appeso al mio attrezzo e riuscii a
tirare fiato per avvitare la vite definitiva.
L’operazione ebbe
successo e dopo qualche minuto fui in grado di proseguire la salita.
Ricaricati i muscoli e la mente grazie a quel rinvio affrontai l’ultimo
tratto verticale di quel muro: il ghiaccio in quel punto era molto
lavorato e fragile e i miei colpi di piccozza dovevano essere mirati per
assicurami una buona presa. Trovata una buona posizione decisi per il
terzo chiodo. Ora il tratto più verticale era interrotto da un
terrazzino: finalmente si rifiatava!
Una sequenza di brevi muretti molto
ripidi mi portarono al termine di tutto il salto.
Raccomandai a Francesco
di far recuperare il chiodo caduto alla cordata che nel frattempo ci aveva
raggiunto dal basso per non perdere troppo tempo. Così fece e dopo
essersi accordato a voce con il capo cordata che ci stava seguendo,
incominciò a salire molto lentamente.
In sosta mi confessò
l’accaduto: durante la mia salita, nel tratto subito dopo il secondo
chiodo, si vide arrivare sulla corda il rinvio che lo collegava ad essa.
Praticamente per uno strano scherzo di leve il braccetto si era aperto,
il moschettone si era sganciato dal chiodo e la mia assicurazione era
andata a "quel paese".
" …Mauri, vedendoti così
impegnato, non ti ho detto niente per non distrarti!" Aveva ragione:
se mi avesse urlato che ero senza rinvio mi sarei sicuramente agitato (a
dir poco!) e non avrei affrontato quel tratto difficile senza la dovuta
tranquillità. Sono queste le piccole cose che fanno di una cordata una
sola cosa! Quando il tuo compagno capisce il tuo stato d’animo e
nonostante il pericolo si fida del tuo agire e decide di affidare il tutto
a te solo. Francesco sapeva bene che se fossi caduto lo strappo sulla
sosta sarebbe stato violentissimo senza quel chiodo. Certe cose capitano
solo alle cordate più affiatate, quelle che arrampicano insieme da anni.
Francesco arrampica con me solo da pochi mesi e la sua sensibilità in tal
senso è pari solo a pochi altri che conosco!
".. ma pensa ti! Con tutta la
fadiga ca io fat par metar zo cal ciold… al se anc cava!! ". L’imprecazione in dialetto fu spontanea e a mio avviso giustificata e
tutta la tensione si sfogò in essa e in una pacca sulla spalla al mio
compagno.
Eravamo all’ombra, ovviamente,
ma il sole era a poche decine di metri alla fine di quell’ultimo tiro di
corda che stavamo per affrontare. Toccava ora a Franz salire al comando:
dopo due chiodi sparì dalla mia vista e da li a poco mi sentii urlare:
"Mauri…parti!"
Dopo pochi minuti eravamo
entrambi in sosta, fuori dalla cascata. Il resto fu una sequenza di calate
in corda doppia fra grappoli di persone che stavano seguendoci sulla
cascata.
Arrivati all’auto
decidemmo di premiarci con una birra. Destinazione Pont alla fine della
vallata: da lì si parte per salire al "Granpa". Durante il
breve tragitto in auto sembravamo due struzzi; con il collo allungato
giravamo la testa a destra e sinistra per ammirare le innumerevoli cascate
ghiacciate: che spettacolo!!! Arrivati alla piana di Pont dopo la
preziosissima bevuta decidemmo di fare due passi a piedi e salendo di
poche centinaia di metri ci si parò davanti la maestosa cima del
Ciarforon.
Una telefonata a Simone e
Chiara ci fece decidere di raggiungerli: si stavano infatti recando alla
mega palestra indoor di Courmayeur. Un’occasione per ammirare l’enorme
struttura artificiale creata dalle guide locali. Ovviamente le nostre
condizioni fisiche non ci permisero di provare gli itinerari ma Simone e
Chiara non si fecero perdere l’occasione di salirne almeno una decina!!
Dopo la prima io e Francesco decidemmo di andare a fare due passi in
centro per poi ritornare a prenderli un paio d’ore più tardi.
La serata trascorse
tranquilla a cena con l’amico Alessandro e la sua compagna in un locale
dove abbiamo potuto assaggiare numerose specialità. Durante la cena
abbiamo impostato il programma per il giorno successivo: volevamo chiudere
con "Sodoma", la cascata a sinistra della prima da noi salita
tre giorni prima.
Un unico problema : era
ormai mezzanotte, tardissimo!! Le ore di sonno per recuperare le forze
erano veramente poche!!
Quarto giorno
"Cascata dell’oratorio"
La sveglia questa volta
fu ad un orario più "umano". Per due motivi: l’ora nella
quale eravamo rientrati la sera precedente non ci aveva permesso di
ordinare la colazione in camera per la mattina, ma soprattutto non era
possibile alzarsi prima.. troppo stanchi! Alle otto allora eravamo nella
elegante sala da pranzo del nostro alberghetto e mentre i giorni prima
eravamo gli unici clienti, ora essendo domenica, con noi c’erano
numerose altre persone.
Sicuramente, vista la
particolarità della zona, quegli ospiti non erano lì per sciare o altre
cose. Anche il loro abbigliamento non lasciava dubbi: erano tutti
cascatisti pronti a prendere d’assalto le colate della zona.
Visto l’esperienza del
giorno prima accelerammo la colazione al massimo e ci precipitammo in auto
per fare quel paio di chilometri necessari per raggiungere il punto di
partenza della nostra salita.
Come già accennato la
nostra meta era "Sodoma", alta e longiforme candela a sinistra
di quella da noi salita il primo giorno. Purtroppo arrivati al parcheggio
già un’altra cordata si stava avviando verso le cascate e a noi non
rimaneva che sperare che, fra le quattro colate presenti ,non scegliessero
proprio la nostra.
Salendo nel ripido bosco
in quella bella e gelida mattina, finalmente potevamo ammirare quello che
quattro giorni prima non era possibile vedere a causa delle nuvole. Fin
dal parcheggio le cascate dominavano imponenti la conca e gli scorci dal
bosco verso le imponenti cime circostanti erano uno spettacolo
affascinante.
Purtroppo giunti alla
base i due ragazzi che ci precedevano avevano proprio attaccato la nostra
cascata: un vero peccato! Ma non ci scoraggiammo e decidemmo subito di
attraversare verso sinistra per andare ad attaccare la "Cascata
dell’oratorio". Non avevamo con noi la guida e non avevamo studiato
nei particolari la salita, ma ci sembrava di ricordare che le difficoltà
e la lunghezza fossero alla nostra portata.
Poco prima di
raggiungerla, in mezzo al bosco, scoprii il perché la cascata aveva quel
nome: una piccola chiesetta, forse una cappella era stata scavata dentro
un enorme masso di granito. Evidentemente un gruppo di frati aveva
realizzato quel posto tranquillo e lontano con lo scopo di raccogliersi in
preghiera. Il tutto era datato con una incisione sulla rudimentale porta
di legno a qualche secolo prima.
Ecco finalmente la colata: la parte
bassa non sembrava difficile mentre in alto non era facile intuire come si
sviluppava l’itinerario. Proposi a Francesco di partire subito al
comando della cordata e lui ovviamente accettò.
Dopo il primo chiodo lo vidi
procedere con molta cautela, e immediatamente prima del secondo si fermò
per collegarsi alle piccozze i cordini da riposo. Questi cordini collegati
all’imbrago permettono all’occorrenza di appendersi alle piccozze per
poter rifiatare. Che strano che Franz li utilizzi! Infatti lo sentii anche
imprecare a bassa voce quasi a rimproverarsi qualcosa che non andava per
il meglio.
"Tutto bene Franz?…"gli
chiesi.
" Si Mauri : solo… che
fatica!! Sono molto stanco"
In effetti anch’io non mi
sentivo molto in forma e a dire la verità l’idea di affrontare il
secondo tratto da capo cordata, non mi trovava molto entusiasta.
Poi mi ricordai anche un
particolare: in Val di Crepa ho salito parecchie volte una cascata che dal
basso non lascia intuire grosse difficoltà , ma, tutte le volte arrivo
alla sua fine molto provato. Altre volte ho avuto questa sensazione e non
ho mai capito bene il perché. Sicuramente buona parte del motivo è da
ricercarsi nel fatto che si sta prendendo "sotto gamba" la
salita ma a me piace pensare che invece si tratta di una cascata
"dispettosa". Il mio grande amore per questa attività mi porta
spesso ad umanizzare certi eventi: qualche settimana prima in Val Daone
persi una piccozza durante l’avvicinamento. In quel frangente pensai che
il bosco volesse trattenermi per un qualche motivo inspiegabile e che i
rami degli alberi in combutta con la neve mi presero il prezioso attrezzo
e facendolo cadere me lo nascosero in modo quasi perfetto. Altre volte mi
trovo a parlare con i mughi sui quali mi appendo per fare delle doppie
raccomandandomi con loro di non fare scherzi e di rimanere ben ancorati al
terreno!!
Mentre penso a tutto questo,
Francesco supera il tratto maggiormente ripido e sparisce dalla mia vista.
Dopo il tempo necessario da parte sua per attrezzare la sosta, mi dà
l’ordine di partire.
Durante la salita notai che tutta
la sua prudenza era giustificata perché il tratto era più ripido del
previsto. Non solo: le mani erano congelate e prive di sensibilità e
questo mi creava parecchio disagio.
Raggiunta la sosta confermai al
mio compagno la non semplice salita di quel tratto e gli chiesi un attimo
di tregua per dare la possibilità alle mie mani di riprendersi dal
freddo.
La pausa durò una decina di
minuti durante i quali osservai con attenzione il proseguo della salita.
Il ghiaccio era molto lavorato, pieno di grossi buchi…quasi un enorme
pezzo di emmenthal! Su quel caos multiforme , probabilmente generato da
continui sbalzi termici, non doveva essere semplice piantare bene le
picche ed ancor peggio riuscire ad avvitare viti affidabili!! A destra però
la pendenza non sembrava eccessiva ed allora decisi di salire in quel
punto.
Dopo una traversata di circa sei
metri cominciai a salire sulla verticale : i primi due chiodi si
avvitarono solo per i primi giri, ma poi evidentemente andavano nel nulla
perché prendevano a girare senza il minimo sforzo. Le piccozze a
piantarle… nemmeno per scherzo! Le agganciavo sui bordi di quei grossi
buchi sperando che sotto tensione non si sfilassero.
Il terzo chiodo fu un vero
problema: infatti dopo numerosi tentativi decisi (prima volta in dodici
anni di attività!!) di rinviare la corda su una clessidra di ghiaccio del
diametro di dieci centimetri. Non so ancora se in caso di necessità mi
avrebbe tenuto e fortunatamente non l’ho verificato!!
Ancora qualche metro e finalmente
riesco a togliermi il pensiero!! Avvito una buona vite e riprendo a salire
affrontando un diedrino con giaccio fragilissimo e che ad ogni colpo di
piccozza si frantumava pericolosamente.
Ora una breve ma molto impegnativa
attraversata a destra per uscire finalmente da quel "tiro" su
una ripida rampa di neve sotto la quale non era sempre ben chiaro se
ramponi e piccozze fossero ben piantate!
Era fatta !! Raggiunsi un grosso
albero e sul suo tronco attrezzai la sosta per recuperare Francesco.
Dopo parecchi minuti lo vidi
finalmente spuntare dal tratto ripido finale e quando mi raggiunse mi
confessò di essere alla frutta. Incredibile!! Uno come lui che non è mai
stanco!!! In effetti eravamo al quarto giorno consecutivo di cascate: quel
tiro era stato veramente duro ed infatti quando al ritorno verificammo
sulla guida ci accorgemmo che era TD+!!
Una cascata veramente dispettosa
… ma che ancora una volta eravamo riusciti a salire, nonostante tutto.
Era proprio finita la nostra
vacanza e il nostro sogno di ghiaccio: ci rimaneva il triste rito del
ritorno che praticamente iniziava con la prima calata in doppia.
Tornati in albergo trovammo il
nostro amico Alessandro che durante la giornata era stato impegnato con
alcuni clienti su alcune colate in zona. Parlando con lui verificammo le
nostre impressioni e lui ci confermò che quest’anno la salita della
"Cascata dell’oratorio" era sicuramente più difficoltosa che
negli anni precedenti.
I gentili gestori dell’albergo
ci permisero una doccia prima della partenza e così riuscimmo a ripulirci
di dosso un bel po’ di stanchezza!
Ma anche adesso dovevamo andare di
corsa : erano ormai le tre di pomeriggio e dovevamo fare i conti con i
rientri degli sciatori. Tutto sommato non andò male e dopo quattro ore e
mezza il casello di Ferrara sud ci accolse fra le sue braccia.
*****
A ripensare ora a quei quattro
giorni mi vengono in mente diverse cose: la prima è sicuramente il
ricordo di quei bellissimi posti resi ancora più vivi dal fatto che erano
la prima volta che li visitavo e che da tanto tempo desideravo farlo.
L’importanza di apprezzare così a fondo il raggiungimento di questo
sogno è condizione fondamentale per capire il vero perché tutti noi
appassionati di montagna siamo disposti a tutti i sacrifici per regalarci
la gioia e i dolori di una salita. Molti si sono chiesti il perché
dell’alpinismo e dei sacrifici, spesso estremi, che esso comporta.
Per noi semplici (ma fortunati!!)
appassionati non è facile trovare un valido motivo per alzarci
all’alba, fare ore di macchina e centinaia di chilometri, faticare per
salire e per scendere, a volte patire il freddo e la pioggia e tutto
questo il sabato e la domenica quando le persone normali riposano! Io
spesso ho cercato questo motivo: forse il giorno che lo troverò svanirà
parte del fascino che ogni volta accompagna la mia salita.
Ripenso molto volentieri agli
amici che mi hanno accompagnato in questa piccola vacanza: al pigro ma
caro Simone, alla bravissima Chiara e a Franz, al quale devo tante cose:
fra tutte il fatto che abbia tralasciato quest’anno la sua grande
passione per lo scialpinismo per seguirmi sulle cascate di ghiaccio. Lui
quest’anno voleva incominciare a spiccozzare ed io avevo bisogno di
farlo: insieme abbiamo realizzato i nostri sogni.
Ora l’inverno sta andando in
letargo e con lui le cascate ghiacciate. Ho di fronte un lungo periodo nel
quale fare altre cose . Ma come tutti gli anni passati rimane sempre un
piccolo progetto ancora da realizzare: quale non lo so ma l’importante
che ci sia. Sarà il filo conduttore che ci collegherà alla prossima
stagione, sarà l’inesauribile molla che ci farà dire: "….ci
troviamo domani mattina alle cinque: speriamo che ci sia freddo!!"
MaurICE