Crepa ghiacciata
(ovvero una storia di passione e incoscienza)
di Maurizio Caleffi
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Ho rispolverato un vecchio racconto
scritto più di dieci anni fa. Spesso il passato e il presente si fondono
insieme alimentati entrambi da grandi emozioni. La stessa grande emozione
che ho provato quel giorno d’inverno nell’affrontare una nuova
avventura che ancora non immaginavo quali conseguenze avrebbe avuto!
Alla fine di quella giornata vissuta in solitudine, immerso in un mondo a
me ancora sconosciuto e forse per questo ancora di più ricco di fascino e
magia, ho sentito per la prima volta in vita mia il desiderio fortissimo
di trascrivere su un foglio le emozioni provate. Nulla di strano se non
fosse che per me scrivere fino a quel momento era un vero tabù, anzi a
dire il vero era una cosa del tutto snobbata.
Legato ancora forse all’essenza superficiale delle cose, alla soglia dei
trenta evidentemente stavo entrando in una fase nuova della mia vita: mi
piace pensare che quella esperienza mi abbia definitivamente consegnato al
mondo degli uomini, io che fino allora ero stato probabilmente solo un
ragazzino.
Le riflessioni legate ad oggi le lasciamo a dopo e come allora voglio dare
spazio all’azione senza pensarci troppo!
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Gennaio1989 Val di Fassa
"…Cosa sta succedendo? Fino l’anno scorso non vedevo l’ora che arrivassero le vacanze natalizie per andare a sciare con l’amico Angelo e tutti gli altri!".
La mia passione per la montagna non so
veramente quando sia nata: sta di fatto che dopo tanti anni passati in
estate di qua e di là per le Dolomiti già da diversi anni abbiamo
acquistato una casa a Fontanazzo.
Grazie a questo importantissimo e
preziosissimo punto d’appoggio ho avuto modo di appassionarmi sempre di
più all’attività in montagna.
Le tappe della mia formazione alpinistica avevano creato in me una forte
passione che ormai stava per esplodere. Quando da bambino andavo per prati
con papà e mamma per me l’alpinismo non esisteva e la mia ammirazione
era al massimo rivolta a qualche alpino sotto naia. Crescendo ho
incominciato a guardarmi intorno e fino all’anno precedente alla mia
prima ferrata consideravo quei puntini sulle pareti come dei poveri pazzi
votati al suicidio.
Poi venne la prima ferrata, la seconda, la terza…..che bello!! Ma era
solo d’estate: d’inverno dopo essermi comprato il mio primo paio di
sci rispolverai le nozioni di una settimana bianca fatta quando ancora ero
alle medie e mi buttai praticamente da autodidatta sulle prime piste da
sci scendendo la mia prima "nera" lo stesso anno.
Passarono gli anni ma ancora le passioni estive e invernali, per quanto
fossero entrambi intese in ambiente di montagna, erano ancora separate.
D’estate escursioni e ferrate e d’inverno sci in pista.
Il primo passo lo feci nel 1986 quando non so perché chiesi ad un ragazzo
che conoscevo appena di portarmi ad arrampicare. Andammo in falesia e mi
feci subito onore su alcuni tiri di corda arrendendomi solo davanti ad un
6a! Avevo scoperto un mondo nuovo e affascinante e grazie all’incontro
con il carissimo amico Gabriele entrai nella più famosa associazione
alpinistica : il CAI.
La miccia era accesa: nel 1988 feci la mia prima via in montagna e
l’anno successivo incuriosito da alcuni servizi su riviste specializzate
comprai due piccozze da piolet e un paio di ramponi. Il cerchio si stava
chiudendo e scoprii la possibilità di arrampicare sia in modo classico su
roccia d’estate che in questo strano sistema d’inverno con piccozze e
ramponi sulle cascate che il freddo bloccava nella sua gelida morsa.
Dopo non più di tre prove fatte su alcune facili colate decisi di rompere
gli indugi e cimentarmi su qualche cosa di più concreto. Nel bosco dietro
casa si intravedeva fra la fitta vegetazione qualche cascata: conoscendo
bene la zona in periodo estivo, decisi una mattina di partire alla
scoperta di quelle lontane lingue di ghiaccio.
Conoscevo le manovre di autoassicurazione e quindi presi con me il poco
materiale che possedevo e che contavo essermi utile in caso di difficoltà.
Alle 8.00 di mattina uscii di casa e a piedi mi avviai verso il ponte
sull’Avisio.
Entrato nel bosco in prossimità dello sbocco della valle
dalla quale scendeva il Rio Crepa incominciai a risalirla.
Improvvisamente nel grigiore di un paesaggio in bianco e nero mi apparì
una volpe: entrambi ci fermammo, ci guardammo e dopo qualche secondo quasi
ignorandomi e senza la minima premura, quasi come se io non la disturbassi
più di tanto, continuò la sua opera di ricerca allontanandosi e
annusando il terreno. Forse quello era il benvenuto di quel mondo. Il
fatto che la volpe non scappò mi fece pensare che la mia presenza in quel
posto non fosse estranea ma in un certo senso complementare a tutto quello
che mi circondava: tutto ciò mi diede una grande tranquillità.
"…Ecco la valle si stringe, là d’estate c’è una cascatella speriamo di riuscire a trovare quello che spero. Infatti, ecco la cascata e… è ghiacciata!"
Arrivai rapidamente alla base dove con infinita emozione preparai piccozze e ramponi per il mio primo assalto. Valutando l’altezza del salto e la pendenza decisi di affrontarla slegato e partii. I primi colpi di piccozza frantumarono il ghiaccio e tutti i miei timori. Poco dopo mi trovai in cima a quel salto. Ero arrivato in un punto dove mai ero stato: quella cascatella in estate era conosciuta solo dal basso e il fascino e la curiosità di entrare in un mondo nuovo scatenarono in me un ardente desiderio di continuare. La sosta per osservare quel mondo mi aveva permesso di riprendere fiato e così ripartii risalendo il letto in parte ghiacciato e molto accidentato di quel torrente. La piccola valle in quel punto volta rapidamente a destra e si restringe in una stretta gola dove al centro si forma una stretta goulottina di poco meno di dieci metri ma leggermente più ripida del salto precedente. In questo punto la velocità e la quantità dell’acqua era tale da non rendere possibile al freddo di ghiacciare completamente il torrentello. Lo scroscio dell’acqua e la presenza della stessa sotto lo strato di ghiaccio trasparente, mi fece pensare improvvisamente alla effimera consistenza della materia sulla quale mi stavo arrampicando e quel che e peggio spiccozzando! Se quel guscio si fosse rotto sotto i colpi delle mie piccozze come minimo avrei fatto un bel bagno!! Cercai di procedere nel modo più delicato possibile e rincuorato dalla brevità del passaggio affrontai ancora slegato anche questo ostacolo. Appena fuori alzai la testa e pochi metri più a sinistra vidi una vera e propria cascata: almeno così pensai subito! Infatti, era molto più alta e ripida delle precedenti ma si presentava ai miei occhi ricca di fascino e imponente!! Sosta per riprendere fiato e per valutare contemporaneamente la situazione. Una breve sorsata di the caldo un morso ad una cioccolata e un’occhiata alle mie spalle dove per un curioso gioco di prospettiva fra le strette pareti della gola nel cielo azzurro si stagliava la luminosa e assolata parete del Sassolungo. Decisi: era il momento di tirar fuori la corda e di mettere in atto le manovre di autoassicurazione necessarie per affrontare quel salto. Attrezzai una robusta sosta grazie ad un tronco affiorante dal ghiaccio e sistemando tutto il necessario in cintura partii con il cuore che batteva forte per l’emozione e forse anche per un po’ di legittima paura. Fin subito dopo i primi metri mi resi conto che la fatica di salire un tratto quasi verticale era tanta e approfittai spesso dei cordini delle piccozze per appendermi e riposarmi. Primo chiodo, ora psicologicamente va meglio.
"Se proprio .. al massimo… ma è meglio concentrarsi sulla salita che non sull’ipotetico volo!!"
Secondo chiodo: appena la corda entrò nel moschettone del rinvio tirai un bel sospiro di sollievo e mi accorsi che poco più in alto c’era una specie di esile terrazzino dove avrei potuto riposarmi di nuovo e piantare un altro chiodo: così fu e ripartii per affrontare gli ultimi metri. Entrato in una specie di piccolo diedro mi accorsi che il ghiaccio in quel punto era di nuovo sottile e lasciava intravedere sotto di esso l’acqua che scorreva. Ad aumentare i miei timori, a differenza del piccolo salto precedente, c’erano due fattori: primo ero a quasi venti metri di altezza; secondo le mie spiccozzate a differenza di prima producevano un sordo rumore di tamburo facendo vibrare sinistramente il ghiaccio fin sotto i miei ramponi.
"Qui se si rompe altro che bagno!!…"
Sulla punta delle piccozze e
ramponi c’era tutto il mio peso che sicuramente, visto tutta
l’attrezzatura, sfiorava i 90 kg. Mi resi conto di due cose: dovevo
uscire da quella situazione prima possibile e dovevo farlo nel modo più
delicato possibile! Tolsi dalla mia mente almeno 10 kg di peso e
muovendomi con la massima delicatezza, quasi trattenendo il fiato, uscii
da quel salto.
Il fiatone questa volta era forte: forse incominciavo sentire il peso
delle mie scelte o forse era che il tratto appena affrontato era
sicuramente più impegnativo dei precedenti.
Di fronte a me un altro salto che li per li non degnai di grande
attenzione impegnato com’ero a pensare a trovare una buona sosta dalla
quale calarmi e issarmi successivamente per recuperare tutto il materiale
utilizzato per assicurarmi fino a quel punto. Questa operazione mi costò
parecchio tempo: alcuni tratti di corda bagnati a causa della bassa
temperatura si erano ghiacciati rendendo le manovre più difficoltose.
Risalito nuovamente alla sommità della cascata mi sedetti su un tronco
affiorante dalla neve. In quel momento pensai:
"Per oggi può bastare!"
Aprii lo zaino per tirare fuori il thermos dal quale bere un sorso di the
caldo. Mangiai anche qualcosa in modo talmente automatico e distratto da
non ricordarmi nemmeno cosa fosse. In realtà la sosta stava riaccendendo
in me il desiderio di risalire anche quel salto che mi trovavo di fronte.
Fra un morso e un sorso osservai con sempre più attenzione la struttura
della colata: era più larga che alta quindi mi offriva diverse possibilità
di salita. Certamente esclusi fin da subito i tratti più verticali perché
non era la voglia del rischio che mi animava ma il grande e fortissimo
desiderio di scoprire quale altra sorpresa ci fosse al di sopra di
quest’ultimo ostacolo.
Ero all’interno di un magico mondo ghiacciato
che suscitava in me un incredibile desiderio di avventura.
Sulla destra si era formata una specie di cono ghiacciato azzurro intenso
che creava una rampa inclinata alla cui sommità era possibile raggiungere
già un terzo di tutta l’altezza del salto ghiacciato. Subito dopo si
apriva molto più verticalmente un diedrino ghiacciato di tre o quattro
metri che sembrava condurre dentro una specie di canalino appoggiato dal
quale si intuiva la fine delle difficoltà.
Il tratto chiave di quella linea di salita era dunque quel diedro
verticale dal quale contavo di uscire con un’appropriata tecnica di
opposizione: appoggiando i ramponi sui margini del diedro e piantando le
piccozze al suo interno avrei abbattuto la verticalità di quel passaggio.
Forte di questa mia strategia e animato da una ritrovata volontà, decisi
di provare sempre legato con la corda ed in autoassicurazione. Sosta: due
buone viti su ottimo ghiaccio azzurro collegate insieme, moschettone al
quale legai un capo della corda. Preparai tutto con la massima attenzione
e cura perché se solo si fosse impigliata la corda sarebbe stato un vero
problema. I primi colpi di piccozza mi condussero rapidamente alla fine
del cono di ghiaccio e all’inizio del famoso diedro.
Avvitai la prima vite comodamente e dopo aver passato la corda nel
moschettone mi fermai studiare quei tre metri ripidi: la qualità del
ghiaccio era in quel punto decisamente inferiore a prima. Le prime spiccozzate all’interno del diedro mi fecero subito capire che dovevo
stare molto attento in quanto le becche si infiggevano nel ghiaccio in
modo poco affidabile.
Riuscii ad alzarmi di un metro e braccia e polpacci erano già dolenti però
riposarmi appeso alle piccozze che erano piantate in quel modo mi sembrò
quanto meno rischioso. Cercai allora di recuperare fra un movimento e
l’altro, ma più salivo e minore era la mia capacità di piantare bene
gli attrezzi.
Improvvisamente ad un ennesimo colpo maldestramente dato con gli
avambracci ormai cotti, il ghiaccio si ruppe e sparì inghiottito dalla
impetuosa cascata d’acqua che correva sotto alla sottile crosta di
ghiaccio sulla quale mi trovavo. Di fronte a me il fondo del diedro non
c’era più e con esso era sparito il ghiaccio sul quale dovevo
arrampicare. Fortunatamente per me i ramponi posizionati ai bordi esterni
del diedro mordevano ghiaccio buono e la piccozza sinistra sembrava ancora
ben piantata.
"Ma la destra….Dove la pianto? Se solo riuscissi a mettere una vite?…. Ma se non c’è ghiaccio per la piccozza immagina per una vite! Stai calmo, respira, stai attento a non sbilanciati.. se sbandieri è la fine. La piccozza sinistra non è piantata così bene da tenere tutto il tuo peso!"
E’ incredibile quanti ragionamenti e pensieri feci in quello spazio di tempo: forse alcuni di questi passarono così veloci nella mia mente da non essere nemmeno captati dal mio corpo. Dritto non era più possibile andare, scendere nemmeno; unica soluzione traversare, ma così facendo dovevo affrontare subito dopo un tratto assolutamente verticale.
"Un problema per volta… prima pensiamo a trovare del ghiaccio e quindi ad attraversare! "
Con movimenti lenti e delicati riuscii a
spostarmi di un metro e finalmente a piantare le piccozze in modo
soddisfacente: finalmente potevo appendermi per recuperare le forze!! Lo
sforzo unito alla tensione e al fiatone mi avevano seccato completamente
la gola al punto che succhiai avidamente la moffola di lana inzuppata di
acqua per togliermi quel fastidioso senso di arsura assurdo in un ambiente
così "umido". Feci fatica persino ad avvitare la vite da
ghiaccio tanto le mie braccia erano dolenti: come avrei affrontato quel
tratto così dritto con le braccia doloranti e i polpacci tremanti?
Dovevo ricaricare muscoli e cervello per quell’ultimo sforzo. Non so
quanto tempo rimasi lì appeso ma so che ripartii con la forte
consapevolezza di dover impegnarmi al massimo per riuscire a passare.
Ancora un metro, mi appendo, rifiato, metto giù un’altra vite, mi
riappendo, i polpacci ormai sono prossimi ad un crampo e non parliamo
delle braccia!!
"Meno male che almeno qui il ghiaccio è solido e affidabile… coraggio ancora poco più di un metro ed è finita!!"
Un ultimo respiro, infilo le mani nelle
dragonne, posiziono i ramponi e parto. Anche quell’ultimo metro fu
salito e mi trovai improvvisamente in piedi su una pianeggiante lastra di
ghiaccio esausto come Rocki Balboa alla fine di uno dei suoi mitici
incontri di boxe!!
Il magico mondo della Val di Crepa a quel punto mi diede il suo benvenuto:
la valletta si apriva ad anfiteatro tutto intorno a me. Colate ghiacciate
alte cento metri e più ricoprivano le pareti in un fascino tanto
cristallino quanto freddo. Un cielo cobalto e una corona di larici carichi
di neve facevano da contorno a questa conca fatata e il solo rumore
soffocato dalla neve del torrente faceva da colonna sonora a tutto questo.
Con quella grossa fatica mi ero guadagnato tutto lo spettacolo circostante
e per un attimo egoisticamente pensai che tutto quello che vedevo mi
appartenesse, pagato con fatica, paura… e tante spiccozzate!
Guardai l’orologio: erano passate cinque ore dalla mia partenza.
L’ultimo salto mi aveva impegnato per più di un’ora ma ora dovevo
incominciare la manovra di discesa e risalita per il recupero del
materiale. Scendendo in doppia mi resi ancora di più conto della mia
"bravata" ma non potei che andarne fiero!
Dopo mezzora fui ancora in cima al salto e dopo una breve pausa per
l’ennesimo sorso decisi di inoltrarmi nella valle e risalirla fino ad
incontrare il sentiero che da fondovalle arriva fino alla parte alta della
stessa. Qui affrontai diversi saltini facili alti pochi metri che non mi
richiesero più l’uso della corda rendendo così molto rapida la mia
salita.
La corta giornata invernale stava ormai esaurendosi quando riuscii ad
incrociare il sentiero di discesa. Percorrendolo ebbi la possibilità di
ammirare le rosse crode del Sassolungo, del Catinaccio e del Sella e
l’illuminarsi del fondo valle grazie al graduale accendersi delle luci.
Le stelle mi accompagnarono negli ultimi metri percorsi sui campi coperti
di neve che si stendono dal bosco al cortile di casa mia: una persona mi
venne incontro sicuramente un po’ in apprensione visto che erano più di
nove ore che ero a "spasso per il bosco". Non so se la mia
espressione carica di gioia o il mio pietoso aspetto fisico, vista la
faticata, furono la causa che mi evitarono una buona rimproverata.
Cosa certa che chi mi conosceva poteva in un solo attimo vedere nei miei
occhi ancora tutto lo splendore regalatomi dalla Val di Crepa in quella
indimenticabile giornata!
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Non ho mai capito se quell’episodio è
da considerarsi come un atto sconsiderato o come una logica conseguenza
delle mie passioni. Se penso ai rischi passati in quelle nove ore
specialmente ora che ho accumulato una discreta esperienza
nell’arrampicare su cascate, mi vengono i brividi e sicuramente se mi
fosse capitato un incidente non mi sarei sottratto a critiche forse anche
giustificate. Non conoscevo ancora bene l’ambiente, la natura del
ghiaccio e delle cascate, i mille piccoli trucchi che si imparano solo
dopo tante e tante salite.
Ma forse la Val di Crepa per me è solamente stata una tappa obbligata,
una delle tante che ognuno di noi alpinisti o arrampicatori ha sicuramente
affrontato una o più volte nella propria carriera. Ho affrontato nella
mia storia fra i monti momenti simili a quello: avventure finite
fortunatamente sempre al meglio. Forse qualche cosa di mio c’è anche
stato nel cavarmi sempre fuori dai guai: ma sicuramente posso affermare
che ogni volta non mi sono mai vantato delle mie azioni e ho sempre
considerato la buona riuscita di ogni mia impresa come il giusto risultato
di passione, buon senso e perché no …anche un pizzico di fortuna!! (lo
dice anche il grandissimo Cassin che per diventare vecchi in alpinismo ne
serve tanta!!). Questa vuole essere solo una citazione e non un paragone
!!!
A più di dieci anni di distanza la Val di Crepa non è cambiata molto:
forse c’è un po’ più di "traffico" e qualcuno ha spittato
le soste. Dentro di me il fascino rimane sempre e il ricordo della mia
prima salita solitaria accompagna ogni spiccozzata!
MaurICE