Operazione di soccorso in grande stile
di Guido Perini
Dopo aver scalato la Fehrmann al Campanile Basso, Stefano ed
io decidemmo di salire una “vietta“, ovvero la Pescosta-Trenker al Gran
Ciampanil de Murfreit.
La guida del Cima in nostro possesso parlava di undici tiri di corda e 400
metri di dislivello, con un unico passo di IV-, quindi una via adatta per
passare una giornata tranquilla in un ambiente fascinoso.
Date le modeste difficoltà pensavamo di affrontare la salita con le
rispettive signore. Mai temporale fu più opportuno: la notte antecedente si
scatenò un putiferio convincendo Edy e Lavinia a rinunciare dignitosamente.
Arriva l’alba e Stefano ed io, dopo aver parcheggiato l’auto lungo il
rettilineo sotto il passo Gardena, cominciamo ad arrancare verso l’attacco,
evidente per la presenza di una lapide. Dopo le operazioni di rito, iniziamo
a salire le facili rocce cercando segni di passaggio e i chiodi che la
nostra descrizione menzionava come “chiodi occorrenti in loco”. I primi
cinque tiri li saliamo abbastanza velocemente (per noi) e arriviamo alla
seconda cengia.
Cercando con un po’ di ansietà qualche cenno di passaggio, arriviamo alla
“scaglia staccata” e dopo nove tiri (dall’attacco) troviamo un chiodo di
sosta che ci fa intuire che siamo arrivati al grande traverso della parete
NE.
La nostra relazione riportava che il traverso era di Quattro tiri (120
metri) ben protetti: noi abbiamo cercato i chiodi ma probabilmente erano
timidi e non si sono fatti vedere.
In ogni caso per percorrerlo siamo stati circa due ore.
Dopo il traverso la difficoltà di individuazione del percorso aumenta (come
se ce ne fosse stato bisogno…). Difficoltà che si tramuta in tempo che vola.
Infatti, quando bene o male arriviamo in cima, constatiamo che l’orologio
segna le 16:30. Scovato il libro di vetta poniamo le nostre firme sotto
prestigiosi nomi.
Ora inizia la parte più impegnativa della giornata: la discesa. Sarà stata
la difficoltà a reperire gli ancoraggi per le doppie e gli ometti indicatori
del percorso, saranno state la mancanza di zuccheri e la stanchezza
accumulata, fatto sta che invece dell’ora e mezza prevista ne impieghiamo
tre. L’ultima calata la effettuiamo con luce crepuscolare. Giunti nei pressi
di un torrentello in Val de Gralba, data l’ora (tarda) e la temperatura
gradevole, propongo a mio figlio di passare la notte sotto le stelle, anche
se la fame sarà dura da tacitare.
Iniziamo la preparazione del giaciglio, aiutati dalla luce di una candela in
dotazione allo zaino di Stefano.
Dopo circa 30 minuti, sistemato il tutto, ritorna prepotentemente il
desiderio insopprimibile di mettere qualcosa sotto i denti: quindi,
telefonata alle signore pregandole di venirci a prelevare allo sbocco della
discesa presso la grande cava. Dopo tutto questo tergiversare il buio e’
totale ma fortunatamente Stefano, più previdente del padre, estrae dal suo
“magazzino portatile” una frontale corredata di batterie di scorta.
Iniziamo la discesa abbandonando la Val de Gralba percorrendo una stretta
cengia per poi abbassarci in un canalino. Dopo una decina di minuti la
ripidezza e la mancanza di tracce ci fanno pensare di aver “toppato”.
Risaliamo alla cengetta e proseguendo poco dopo troviamo il canalino giusto.
Ora tutto è facile e in breve raggiungiamo la strada.
Ormai sono quasi le ventitre e, incontrate Edy e Lavinia, da tempo in
“ansiosa” attesa, ci sentiamo dire che sembriamo due stracci. Cosa fare?
Cercare prontamente un locale dove rifocillarci, che si materializza poco
dopo.
Avvicinandoci al parcheggio antistante l’albergo, troviamo una piccola folla
di curiosi che seguono le manovre dei vigili del fuoco: stanno illuminando
con enormi fotocellule la parete sottostante la Val de Gralba.
Incuriositi da tale operazione, ci avviciniamo al comandante dei pompieri
per chiedere cosa stanno cercando. Cortesemente il vigile ci informa che
hanno ricevuto una chiamata da parte di un ospite dell’albergo che ha visto
segnalazioni di richiesta di soccorso per mezzo di luce intermittente.
Perplesso, informo il vigile che io e mio figlio, non più di un’ora prima,
eravamo sopra quella parete e non abbiamo visto nè luci nè tantomeno udito
richieste di soccorso.
Mentre il comandante rimuginava qualcosa nella sua testa, le fotocellule
continuavano a illuminare a giorno la croda e la folla scrutava febbrilmente
la parete alla ricerca degli incrodati.
Ma evidentemente la nostra testimonianza aveva acceso nel comandante dei
pompieri un dubbio che poco dopo doveva esplodere in una illuminazione più
viva di quella delle fotocellule.
Mi si avvicina e sottovoce mi chiede: “Ma è proprio sicuro di essere
sceso da quella zona? Me lo garantisce? Avevate una lampada?”
“Certo - ho risposto - e abbiamo percorso la traccia fino alla
cava”.
A quel punto è stato tutto chiaro: i mughi e i massi lungo il percorso
rendevano la luce della frontale intermittente! E qualcuno, forse un po’
appesantito dalla digestione e poco pratico, l’ha scambiata per una
richiesta di aiuto. “Forza ragazzi, spegnere tutto, si torna in caserma!”
Qualcuno tra il pubblico è rimasto un po’ deluso dal finale… anche noi,
perchè avremmo desiderato mangiare una bistecca alta tre dita ricoperta da
una montagna di patatine fritte (alla Kit Carson), accompagnate da una pinta
di birra e invece ci siamo dovuti accontentare di due brioches confezionate
e di una birretta!
Il tutto avveniva l’8 agosto 2003
Guido Perini
Operazione di soccorso in grande stile
Val de Gralba, 8 agosto 2003