Il sapore dell'attesa
di Jacopo Bertella
Cannella, si era proprio cannella, quell'intenso profumo accattivante e
raffinato che avvolgeva tutta la baita.
Mia mamma aveva messo a bollire accanto al camino un paiolo con l'acqua
e poi aveva aggiunto dei pezzetti di cannella, che a mano a mano,
sprigionavano quel particolare aroma in ogni angolo.
Io, al piano soprastante, nel silenzio più assoluto, godevo di questa
particolare e raffinata essenza che impregnava ogni rivestimento di
legno.
Avvolto in questo effluvio, piacevolmente partecipe, mi alzai, mi
avvicinai alla finestra della camera, spostai le tendine e, dal vetro
ancora appannato, per la temperatura rigida esterna, si evidenziava la
cresta imbiancata della montagna di fronte, illuminata da una complice
luminosità della luna.
Un momento particolare, di grande piacevolezza ed effetto, esaltazione,
e nel contempo pensieri e sogni malinconici, avrei potuto rivivere
momenti e sensazioni di così completa tranquillità e beatitudine?
Li avrei potuti conservare tra i miei ricordi?
Patrimonio di umori che era giusto preservare...!?
Particolare questa immagine del tempo che trascorre e si porta via
velocemente i momenti belli che non vorresti scomparissero.
Nello stesso modo per la neve che nell'avanzare della primavera,
lentamente si scioglie, i fiori che appassiscono, i canti delle feste
dei quali poi, non resta che il ricordo.
Questi i pensieri e le sensazioni che si esplicitavano in me, in una
sera di tarda primavera quando, invece di pensare, avrei dovuto riposare
in attesa della mattinata seguente, nella quale dovevo concentrarmi per
iniziare la mia prima impegnativa ascensione, a tredici anni, su una
stupenda parete che mi affascinava certamente molto, ma anche
intimoriva, dalla cima della quale avrei ammirato uno spettacolo sovrano
che sarebbe rimasto in me.
Alba, alla base della parete, che ha un significato importante nella
storia dell'alpinismo, osservai con trepida curiosità la roccia che
incombeva su di me e su Klaus, caro amico di sempre, ottimo rocciatore,
di poche parole, e di grandi caratteristiche umane.
Potevo farcela?
Forse stavo osando troppo?
Volevo provare.
Incominciammo molto lentamente, io con grande entusiasmo e curiosità,
molto concentrato e con sguardo attento all'evoluzione tecnica che mi
era necessaria.
Arrivammo alla sezione più verticale, sicuramente la più impegnativa
della parete, concentrai tutte le mie forze, spalancai gli occhi, per
determinarmi ulteriormente.
Qualche momento dopo un alternarsi di paure, gioie, dolori fisici, e
flussi di nuova energia, ... mi sentii il corpo straordinariamente
riscaldato dal sole, che mi stava inquadrando.
Per un attimo mi fermai, apprezzando totalmente questa euforica sintonia
con la dura roccia che ora mi appariva coinvolgente e complice.
In quello stesso momento di euforica sicurezza, mi vennero in mente le
parole del mio fidato accompagnatore ... non perdere mai né attenzione
né concentrazione, può diventare il momento più pericoloso.
Quindi non gioire fino alla fine, né peccare di presunzione sulla
montagna, ma essere modesto e trepidare con logica razionalità.
Sono passati dieci anni, poco o tanto, non mi sento di dare una
valutazione, però con certezza posso dire di aver raggiunto una minima
maturità che mi permette di assaporare maggiormente le soddisfazioni
dell'arrampicare, e non essere più di tanto condizionato dalle
incertezze e dai timori.
Al proposito, conservo in me una sensazione di profonda paura provata in
un momento di banale precarietà, che poteva mettere a serio rischio la
mia personale sicurezza.
Stupenda giornata estiva, base del Castelletto, ai piè della Tofana, un
carnoso giglio si ergeva slanciato con i suoi vividi colori, io, in
compagnia di una cara amica, mi apprestavo a proseguire il nostro
cammino che ci avrebbe poi portato in Val Travenanzes, per un sentiero
di tutta tranquillità.
Saltai velocemente di lato e preso da un impeto quasi incontrollabile,
mi inerpicai verso quel bellissimo fiore, per poterlo cogliere e farne
dono.
Noncurante dell'estrema esposizione nella quale mi venni a trovare,
sbilanciandomi, sentii chiaramente la fredda sensazione di cadere
all'indietro ... sotto di me il vuoto!
Fu un momento, con un inatteso colpo di reni, mi aggrappai con tutte le
mie forze agli arbusti provvidenziali di un solido pino mugo, cresciuto
in mezzo a due rocce.
Il giglio rimase là, dove troneggiava in senso di sfida ed io, poi,
ripresi il cammino con molta calma.
Un grande spavento, ed una opportuna lezione che porto tutt'oggi con me.
In un attimo tutto può assumere un altro aspetto, la felicità può
tramutarsi in tragedia.
Questo in montagna, in particolare nelle performances sportive ritenute
al limite e ... anche nella vita.
Jacopo Bertella
Il sapore dell'attesa
La Spezia, maggio 2021