Il Maestro
di Gaetano Soriani
Questo non è un racconto di montagna anche se la montagna è presente con
la sua magia e le sue tradizioni e non è un racconto di alpinismo, in
realtà è una fiaba, una fiaba per adulti.
D’altra parte qualcuno ha scritto che “non bisogna raccontare fiabe
ai bambini per ingannarli, bisogna invece raccontarle ai grandi per
consolarli…”
In questo periodo di pandemia, così complicato e pieno di incertezze,
anche una piccola fiaba può aiutare…..
“Non scacciate i cari spiriti della montagna dalla loro dimora. In
punta di piedi, non chiamateli, ma state in ascolto. E non disturbate il
loro placido governo. Ve ne saranno grati e vi compenseranno”.
(Julius Kugy da "Vita di un alpinista")
Angelo era quello che si chiama un uomo semplice.
Buono e mite di carattere aveva avuto una infanzia difficile nel piccolo
paesino di Borgo Alto dove era nato in una fredda mattina di gennaio.
Di salute cagionevole fin dalla nascita, aveva dovuto trascorrere molto
tempo in casa circondato dalle cure di una madre iperprotettiva e di un
padre taciturno e deluso da un figlio malaticcio.
Guardando dalla finestra gli altri bambini del paese giocare in strada
spensierati, Angelo aveva sviluppato una sensibilità tutta sua.
Come un piccolo abete nato all’ombra di una pianta più grande si
modifica e va a cercare la luce, così Angelo aveva dovuto adattare la
sua infanzia a queste condizioni di vita particolari trovando uno sfogo
naturale nel leggere.
Non potendo poi comunicare con gli altri coetanei aveva trovato nello
scrivere un modo alternativo per esprimere le sue sensazioni e i suoi
pensieri.
Particolarmente portato per le lettere, Angelo riuscì così a studiare e
a prendere il diploma di maestro e insegnando dapprima nella piccola
scuola elementare del paese, e in seguito nella scuola del vicino paese
di Borgo basso.
Dopo la morte dei genitori lasciò la casa paterna vicino alla chiesa e
si trasferì nella baita un poco fuori dal paese che aveva cominciato a
ristrutturare un pò alla volta nei ritagli di tempo.
La baita era in bella posizione su un colle ai margini del bosco con un
campo coltivato ad orto.
Usufruendo della vecchia normativa era riuscito ad andare in pensione a
soli 46 anni e aveva potuto dedicarsi a tempo pieno al suo hobby
preferito leggere, scrivere e andare per boschi.
Nella solitudine della baita Angelo aveva trovato finalmente un ambiente
congeniale al suo spirito solitario.
I contatti con il mondo si limitavano a qualche visita in paese nel
piccolo negozio di alimentari e per scambiare due chiacchiere con
qualche raro amico.
A causa della sua timidezza non aveva quasi mai frequentato ragazze e
non aveva mai avuto una donna.
Le grosse pareti di larice della baita erano piene di libri
rigorosamente ordinati su scaffalature che lui stesso aveva costruito,
un grande tavolo di abete era la sua scrivania.
L’argomento che prediligeva era la storia locale con particolare
riguardo alle tradizioni e alle credenze popolari di quella zona per le
quali era ritenuto un vero esperto.
Sollecitato da qualche ex collega di scuola aveva realizzato anche
alcune pubblicazioni e saggi sull’argomento.
Un paio di volte all’anno, nel periodo natalizio e a metà giugno quando
si festeggiava il solstizio d’estate, Angelo sollecitato dai paesani di
Borgo Alto intratteneva i bambini del paese leggendo storie di folletti
e fate da lui stesso scritte ispirandosi ad antiche favole e leggende
incantando non solo i bambini ma anche gli adulti.
Di carattere schivo però non amava molto mettersi in mostra.
Amava molto le sue montagne specie al mattino presto e al tramonto
quando i colori del cielo erano più delicati e le nubi creavano giochi
di luce e forme bizzarre e le cime dei monti si coloravano di rosso.
Ma ancora di più amava il bosco così pieno di vita e popolato di
folletti e gentili fate.
Leggendo vecchie leggende popolari che parlavano di una cascata
miracolosa che guariva il mal d’amore frequentata da misteriose
presenze, aveva in realtà scoperto un luogo incantato, era una piccola
radura nei pressi di una cascata che nel periodo estivo diventava esile
esile ma in primavera prorompeva con forza alimentando un ruscello che
scendeva a valle.
Era un luogo nascosto e solitario, lontano dai rari sentieri della zona
per via di un fittissimo bosco che ne nascondeva l’accesso.
Con la sua fervida fantasia si era convinto che quello fosse realmente
il luogo magico della leggenda ma non ne aveva parlato con nessuno.
Quando lo prendeva la malinconia saliva colà, si sedeva su un masso nei
pressi della cascata e si lasciava cullare dal rumore dell’acqua.
Le grandi pareti rocciose lo affascinavano ma nel contempo lo
spaventavano.
Riteneva infatti che l’uomo non avesse il diritto di violare la
sacralità di quei luoghi, la verticalità di quella dimensione così
ostile e minacciosa, ma doveva invece fermarsi al limite dei boschi dove
finiva la vita.
La dottoressa Valeria Sandri di Milano dopo varie insistenze di amici
accettò di trascorrere un paio di settimane di vacanza in montagna nel
paese di Borgo Basso.
Dopo la morte del marito aveva rispolverato la laurea in lettere moderne
e aveva cominciato a collaborare con una importante casa editrice
milanese che si occupava di letteratura per l’infanzia.
Dopo oramai dieci anni dalla perdita del marito, era riuscita a
ricostruirsi una vita abbastanza serena, aveva un lavoro che le piaceva
e che le dava molte soddisfazioni e una cerchia di amici sinceri che
l’avevano aiutata a superare i momenti difficili.
L’unico cruccio era quello di non aver avuto un figlio.
A cinquant’anni era ancora una bella donna, colta e intelligente Valeria
stava vivendo una sorta di seconda giovinezza.
Un giorno durante un’escursione a Borgo Alto vide un manifesto che
pubblicizzava una sagra che si sarebbe tenuta il mese successivo in
occasione del solstizio d’estate.
Nel programma della manifestazione si parlava di animazione per bambini
con lettura di fiabe e giochi.
Peccato pensò, non avrebbe potuto vedere la festa perchè doveva tornare
a Milano la settimana prima.
Incuriosita però chiese informazioni a un passante.
“Parli pure con il Maestro è lui che sa tutto”.
E così Valeria conobbe Angelo “il Maestro” come lo chiamavano in paese.
Nei quindici giorni successivi Valeria si recò spesso nella baita sulla
collina rimanendo affascinata dal mondo fantastico di Angelo e dalla sua
straordinaria personalità.
La presenza della “bella signora di Milano” non passò inosservata
destando inevitabili chiacchiere tra i paesani di Borgo Alto.
Angelo che non aveva mai frequentato una donna era turbato da quella
presenza femminile che era entrata nella sua vita, ma col passare dei
giorni si ritrovava ad attendere con ansia le visite di Valeria.
Pochi giorni prima della partenza per Milano Valeria prese una decisione
di cui essa stessa si stupì, decise infatti di rimanere per la sagra che
si sarebbe tenuta la settimana successiva, spiegò la cosa ai suoi amici
dicendo che sarebbe tornata a Milano da sola la settimana dopo e
cominciò a cercare una camera o un alloggio.
L’ideale sarebbe stato trovare qualcosa su a Borgo Alto per non andare
avanti e indietro, ma nel paese non c’erano alberghi e pensioni inoltre
la festa del Solstizio d’estate aveva richiamato quell’estate un sacco
di gente anche dai paesi vicini e non solo turisti, motivo per cui
Valeria non riusciva a trovare neanche una camera.
A quel punto Angelo, non senza arrossire, le propose un po' goffamente
di alloggiare, se lei si fosse adattata, al pianterreno della vecchia
casa paterna vicino alla chiesa che era ancora in buono stato e che nel
periodo estivo teneva aperta per arieggiarne i locali, in quel modo
sarebbe stata più vicina e avrebbe potuto seguire tutti i preparativi
per la festa.
Era la soluzione ideale e Valeria accettò di buon grado.
Le piccole strade di Borgo Alto erano state addobbate con fiori, ceri e
con ceppi di abete cui era stato praticato un taglio a croce in modo che
all’imbrunire, una volta appiccato il fuoco, avrebbero arso lentamente
illuminando di luce tenue le strade e spargendo nell’aria vampate di
faville che si disperdevano nel buio della notte.
Gli ambienti della ex scuola elementare in disuso da anni, erano stati
adibiti dalla locale pro loco e da alcuni paesani volonterosi a piccolo
“museo” dei ricordi della comunità montana : vecchie foto in bianco e
nero, vecchi arnesi dei contadini ed altre suppellettili.
Valeria per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva felice e serena
come una bambina, era una sensazione che aveva dimenticato e ne ebbe
quasi paura, paura che finisse, che fosse tutta una illusione, un sogno.
Nel giro di pochi giorni era stata proiettata in uno spazio e in un
tempo a lei sconosciuti, erano successe tante cose così in fretta e
sentiva che la sua vita poteva cambiare radicalmente.
Una piccola orchestrina di musicisti improvvisati aveva iniziato a
suonare una irresistibile musichetta e alcune coppie avevano cominciato
a ballare allegramente.
“Dai Angelo ti prego andiamo a ballare anche noi!”
Ma Angelo si defilò impacciato dicendo che non era capace.
La musica però era troppo invitante, l’atmosfera di festa, le luci, la
gente allegra, forse anche qualche bicchiere di vino che aveva bevuto
contagiavano Valeria in modo irresistibile e quasi senza accorgersene
cominciò a battere il ritmo con le mani e a danzare da sola.
A quel punto un paesano in costume d’epoca la prese per mano e cominciò
a farla ballare.
Angelo la osservava e pensava che avrebbe voluto essere al posto di
quell’uomo che senza conoscerla la stringeva a se facendola piroettare
con maestria.
Valeria cercò Angelo tra la folla e lo vide un po' defilato che la
guardava con una espressione particolare, per un attimo i loro sguardi
si incontrarono e Valeria lesse in quegli occhi qualcosa che la fece
quasi commuovere, era come se Angelo la implorasse di smettere e le
chiedesse di andare da lui.
Negli occhi di Angelo lesse anche tutta la solitudine e la malinconia
del suo mondo così fragile e delicato, gli apparve indifeso e bisognoso
di affetto.
Valeria ringraziò il suo improvvisato ballerino e tornò da Angelo, si
guardarono a lungo negli occhi e Valeria ebbe la certezza che quello
sguardo silenzioso era stato più esauriente di tante parole.
Prese a braccetto Angelo e gli chiese di accompagnarla a fare due passi
in un posto più tranquillo perchè era un po' stanca.
Dopo aver camminato a lungo per le stradine del paese in festa, Valeria
chiese di essere accompagnata a casa perchè era già tardi.
Angelo l’accompagnò verso la vecchia casa vicino alla chiesa incapace di
parlare pensando che Valeria sarebbe partita il giorno dopo e che
probabilmente non l’avrebbe più rivista.
Anche Valeria era taciturna e pensierosa ma invitò Angelo ad entrare un
momento perchè salutarsi così sulla strada non se la sentiva.
Si sedettero sul vecchio divano e Valeria sopraffatta dalla stanchezza e
dalle emozioni degli ultimi giorni sentiva ora una grande pace,
ascoltava la voce di Angelo che le illustrava le idee che gli erano
venute per la prossima festa che avrebbero fatto per Natale e piano
piano sentiva che avrebbe potuto addormentarsi così semplicemente.
Angelo tutto preso dal suo parlare non si accorse che Valeria si era
addormentata sul divano come una bambina.
Rimase in silenzio a guardarla per alcuni minuti, le accarezzò la fronte
poi prese una penna e scrisse alcune righe su un foglio che lasciò sul
tavolo: “Avrei voluto rimanere qui questa notte e vegliare su di te,
ho chiesto consiglio ai folletti della notte e alle fate dei boschi ma
questi mi hanno detto che non era una buona idea. A malincuore ho
seguito il loro consiglio e sono uscito chiudendo piano la porta per non
svegliarti. Buona notte”.
Ancora stupito di se stesso per quello che aveva fatto, Angelo appena
uscito in strada si sentì molto stupido e avrebbe voluto tornare
indietro, ma oramai era troppo tardi.
La mattina seguente dopo aver trascorso una notte agitata si alzò di
buon’ora e si incamminò nel bosco verso la radura con la cascata come
faceva di solito quando era triste o preoccupato.
Quando fece ritorno alla baita il sole era già alto nel cielo.
Infilato sotto la porta trovò un biglietto.
“... a volte anche i
folletti della notte e le fate dei boschi possono sbagliarsi.......”.
Gaetano Soriani
Il Maestro
Cento (FE), gennaio 2021