Via Comici - Dimai, una grande avventura umana

di Francesco Cinti



Ho sempre sognato e spesso lo facevo ad occhi aperti.
Volavo, semplicemente volavo con la fantasia, nella speranza un giorno di poter seguire le orme di qualcuno che mi aveva preceduto. Ripercorrere insomma i passi per carpirne l’anima.
Si sogna, è vero, con i sogni altrui, ma per me che sono un escursionista prestato all’alpinismo, è già un successo.
Ricordo ancora, quando ho incominciato, su insistenza di mia madre, a frequentare il CAI, nelle serate del martedì. La sezione era piena di alpinisti che progettavano nuove salite e raccontavano aneddoti su vie già percorse e spesso ricorreva il nome di Emilio Comici.

Premetto, la montagna l’ho sempre vissuta sin da piccolo, in modo però totalmente personale, senza conoscerne la storia, ma semplicemente frequentando sentieri, più o meno impervi, con amici o più spesso da solo, mentre ero in vacanza.
Il nome di Emilio Comici era un connubio con la bellezza dei suoi itinerari e all’eleganza della sua arrampicata.
Cosi da giovane apprendista “stregone”, mi immaginavo che un giorno avrei potuto anch'io provare a mettere mani e piedi su quegli appigli, curioso com’ero di provare l’ebbrezza di tale bellezza.

Così l'estate scorsa, improvvisa come sempre, mi è giunta l’opportunità di andare ad arrampicare con due amici sulle Tre Cime di Lavaredo. Non me la sono lasciata sfuggire, anche perché ho sempre lottato con il poco tempo a disposizione e non mi pareva vero capitasse proprio a me questa occasione.
Così via, siamo partiti carichi di entusiasmo e materiale, con l’obiettivo iniziale di fare la via di Emilio Comici sullo Spigolo Giallo, un capolavoro di estetica e raffinata eleganza.
Uno degli amici però questa via l’aveva già percorsa qualche mese prima, così durante il viaggio in macchina abbiamo riflettuto se non ci fosse qualche altra opzione.
A tutti nel profondo, era già chiaro che l’obiettivo in realtà era un altro, lo Spigolo Giallo era stato l’incipit per partire, ma già ardeva un altro obiettivo.
Cosi, dopo esserci consultati telefonicamente con “Chicco” per avere suggerimenti, alla sera ci siamo recati sotto le pareti delle Tre Cime e senza ombra di dubbio l’attenzione cadde sul versante Nord della Cima Grande.
Rimanemmo abbagliati dalla bellezza, con la luce del tramonto, dei colori della roccia e, subito, crebbe prepotente la voglia di affrontare questa parete.

Una piccola parentesi, quando pratico alpinismo lo faccio principalmente perché l’ambiente mette a nudo le nostre anime, impariamo a conoscere prima di tutto noi stessi e poi i nostri “ospiti”, gli amici che ci accompagnano.
Una radiografia precisa di chi siamo, che ci consente di scoprirci, di capirci a vicenda.
Una scoperta dell’uomo e della persona, perché li si legano le vite, le une alle altre, attraverso una corda e nei momenti più difficili e intensi emergono chiaramente i valori umani di cui siamo fatti.
Una delle vie più belle, per me è stata la “Carugati” a Rocca Pendice di Teolo”, non tanto per la via in sé, che comunque è molto bella, quanto perché è stata la prima via fatta assieme a mia figlia Petra.

Ma torniamo alla Comici. Rientrando alle macchine, sì perché abbiamo bivaccato al parcheggio del rifugio Auronzo, decidiamo tutti insieme di affrontare la mattina seguente la parete Nord, seguendo un altro dei capolavori del triestino, che nel ‘33, insieme ai fratelli Dimai, scoprì e disegnò una linea eccezionale in mezzo ad una parete sostanzialmente strapiombante. La ripercorrerà in solitaria nel 1937.

Alle 5:30 del mattino attacchiamo carichi e determinati, saliamo a guida di Claudio i tiri più difficili tecnicamente e ne usciamo dopo cinque ore abbastanza provati fisicamente, sia io che lui avevamo i crampi.
La seconda parte, più appoggiata la affronto io, già stanco, ma determinato ad uscire, la roccia si fa meno bella, il diedro finale, come sempre risulta bagnato e al suo termine decidiamo una variante, sulla base di una seconda relazione, che ci porta ad affrontare un traverso poco sicuro e un successivo diedro giallo strapiombante.
Usciamo dalla via alle sette di sera, facciamo su armi e bagagli in fretta, senza concederci neppure la foto finale di rito, perché il tempo è poco e dovevamo scendere.

Cerchiamo per più di un’ora la via normale, che troviamo solo alle 20:30, nonostante l’aiuto da casa del solito indispensabile “Chicco”, che con la sua disponibilità ci dà consigli preziosi.
Presto però ci troviamo avvolti nel buio e con le pile frontali iniziamo la discesa per la normale, che presto ed involontariamente lasciamo, per percorrere chissà, quale altra via di discesa.
Così che all’una e trenta di notte decidiamo per un bivacco improvvisato in parete.
E per fortuna, visto che l’ultima corda doppia è stata di cinquanta metri nel vuoto.
Fatta al buio e stanchi, non sarebbe stata proprio il massimo.
Alla fine alle 7:30 del giorno seguente mettiamo i piedi a terra e affamati, ma molto contenti, ci dirigiamo al rifugio Lavaredo per una provvidenziale colazione, prima di ripartire per “l’ultimo tiro di corda”, cioè il rientro in macchina a Ferrara, costellato da diverse soste per caffè.

Alla fine tutto è andato bene, ma lo stesso ho cercato di capire cosa fosse, nel bene, andato storto e il perché.
La via aveva messo in luce tutti i miei limiti, tanti, ma allo stesso tempo si è rivelata un’avventura umana e di amicizia incredibile che solo l’alpinismo può dare.
Gli alpinisti, piccoli, grandi uomini, che con il loro zaino pieno di sogni e paure, decidono di scoprire se stessi e gli altri attraverso la montagna.
Un profondo grazie a Stefano e Claudio protagonisti con me di questa indimenticabile giornata.

Francesco Cinti
Via Comici - Dimai, una grande avventura umana
Estate 2019
 


Note a cura della redazione

Per la cronaca: il solito indispensabile "Chicco" che aiuta da casa telefonicamente è Michele Scuccimarra.

Le foto che illustrano il testo, sono tratte dalla pagina Facebook di Stefano Spagnolo.