Antropocene rendiamo conto?
di Gabriele Villa
In quei giorni assolati di inizio 1989, chi se lo poteva immaginare che
fosse iniziata una nuova era geologica della vita del pianeta Terra?
Quella che uno studioso solo pochi anni prima, con avveniristica
intuizione, aveva chiamato Antropocene, ovvero quella nella quale sono
le attività dell’uomo la causa principale delle modifiche territoriali e
climatiche della Terra?
Ma no, dai, in quei giorni si stava davvero bene, con quella temperatura
così piacevole, altroché giacche a vento, berretti e guanti di lana. In
maglietta si stava!
E’ vero che era febbraio, però la pista da sci quel giorno era tutta
nostra, vabbè, non c’era la neve, ma noi eravamo saliti verso il
Sorapiss e se non fosse stato per quel breve camino con una parete
completamente foderata di ghiaccio forse saremmo anche potuti arrivare
sulla cima.
Eravamo soddisfatti, non lo erano certamente gli operatori turistici
della montagna che avevano visto sfumare il lavoro ed i conseguenti
introiti della stagione invernale in maniera irrimediabile.
In fondo, sono punti di vista personali, che si esprimono in base ai
propri interessi economici, al proprio lavoro, alle proprie propensioni.
Quasi dieci anni erano passati da quei giorni assolati ed era giunto il
momento di soddisfare un vecchio sogno, salire il canalone ghiacciato
della Torre Innerkofler, nel gruppo del Sassolungo.
Eravamo in tre e andammo all’attacco con in tasca la fotocopia di una
foto tratta da un libro di Luca Visentini, edito nel 1981, ovvero più di
quindici anni prima. Ancora non si parlava di cambiamenti climatici, al
più allora si temeva l’allargarsi del buco dell’ozono, difficile
immaginare quindi che ci potesse essere una qualche correlazione con lo
scenario che ci trovammo di fronte. Il canale era un ripido piano
inclinato ricoperto da un magro strato di ghiaccio, alla base, iniziava
con un grosso “tubone” di ghiaccio vivo dall’aspetto assai repulsivo; lo
potemmo superare con le piccozze da cascata che avevo portato con me. Al
secondo tiro di corda ci trovammo su uno strato di neve assai molle che
dopo pochi metri si trasformò in una poltiglia fangosa nella quale ci
inzaccherammo come muratori. Una volta usciti dal canale, ci affidammo a
una corda doppia che ci scaricò, assieme alla nostra delusione, sulla
forcella dalla quale eravamo partiti. Quell’esperienza ci fece aprire
gli occhi, la voglia di salire altri canaloni ghiacciati delle Dolomiti
si scontrò con la presa di coscienza che alcuni di questi erano spariti
e altri gravemente compromessi. Qualcosa era cambiato e comprendemmo che
quegli eventi avevano carattere di irreversibilità. Ho sempre seguito con interesse gli scritti, gli studi, le relazioni
sullo stato dell’ambiente, ma devo dire che le problematiche mi sono
entrate nella mente non tanto dalle letture, quanto dal contatto
continuo con l’ambiente della montagna che la mia passione per
l’alpinismo mi ha fatto toccare con mano, anno dopo anno. Può sembrare
semplicistico affermare che la salita alla nord della Presanella o a
quella del Ciarforon o della Tresenta, per esempio, sono diventate
illuminanti, ma non subito, non allora, bensì oggi che quelle pareti di
ghiaccio non ci sono più. Oggi non ho più l’età adatta per ripeterle, ma
ho la conoscenza per capire che cosa è stato perso irrimediabilmente,
ovvero cosa non possono più assaporare gli alpinisti di oggi. Ovviamente
questo è solo un piccolo problema se rapportato al logoramento del
pianeta Terra, però ne è anche tangibile testimonianza.
Questa mia consapevolezza è andata maturando soprattutto con la
frequentazione e la visione costante, anno dopo anno, della Marmolada.
Quattro anni fa, un amico di montagna, Claudio Pra, mi inviò una foto
del suo versante nord e dello stato del (ex)ghiacciaio con un messaggio
che diceva, più o meno: “Guarda come è ridotta la regina delle
Dolomiti”.
Più della visione dell’immagine poté su di me il ricordo della salita
della parete nord con piccozza e ramponi, nel 1979, quando il versante
era ancora completamente ricoperto da uno strato ghiacciato dalla conca
del Pian Fiacconi fino alla vetta. Oggi tutto ciò è scomparso, come
scomparsi sono i seracchi sui quali ci si andava ad esercitare nella
scalata su ghiaccio e durante i corsi di alpinismo.
Altri fenomeni naturali, una volta più radi nel tempo, oggi sono
diventati frequenti, alluvioni e terremoti sopra tutti, e si parla di
“cambiamenti climatici”, ma la comunità umana continua nella sua corsa
verso il “progresso tecnologico”, che oggi assomiglia più a un
impazzimento a tutti i livelli nella rincorsa indiscriminata alle
tecnologie, e a quello che, semplificando, porta l’uomo ad allontanarsi
dalla natura, alla visione di un pianeta del quale siamo ospiti e sul
quale il genere umano cresce a dismisura, intaccandolo fino a
comprometterne seriamente la possibilità di futuro per le prossime
generazioni. E’ da tempo che, tra me e me, visualizzo la Terra come un
grande cane sul quale l’uomo è l’equivalente delle zecche; il fastidio o
i danni che l’uomo arreca costringono l’animale (la Terra) a difendersi,
a tentare di scacciarlo, a volte con dei morsi, altre volte scrollandosi
violentemente, altre ancora con grattate con le zampe o degli improvvisi
colpi di coda.
Dopo la devastazione della tempesta Vaia dello scorso anno, questa
visione tutto sommato “buonista” ha lasciato il posto alla convinzione
che l’uomo per il pianeta è come un cancro che mangia e consuma per
crescere, senza pensare che ucciderà il corpo che lo ospita e lo
sostiene e quindi morirà con esso. Bene, ora so che questo periodo è
stato chiamato Antropocene, l’era geologica in cui sono le attività
dell’uomo le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali
e climatiche del pianeta Terra. Io chiamo tutto questo, più
semplicemente, “fine del mondo prossima ventura”, e sono convinto che
chi la vivrà, nei prossimi decenni a venire, non avrà nemmeno il
privilegio della nostalgia, non avrà il conforto del rimpianto, perché
sarà orfano di ricordi delle esperienze e delle passioni vissute nella
natura non antropizzata e nella montagna. Nessuna tecnologia sarà mai in
grado di compensare, né tanto meno di indennizzare, il danno di questa
perdita.
Gabriele Villa
Antropocene rendiamo conto?
Ferrara, 13 dicembre 2019
“Questa storia partecipa al Blogger Contest 2019” ( www.altitudini.it )
Didascalie delle foto
Fotocomposizione del canalone
ghiacciato della Torre Innerkofler. (Gruppo del Sassolungo)
01a: anno 1981, dal libro “Sassolungo e Sella” di
Luca Visentini
01b: tentativo di ripetizione dell’estate 1997
01c: tentativo di ripetizione dell’estate 2016
Fotocomposizione versante nord
Marmolada e zona dei seracchi.
03a: c’era una volta lo scivolo nord della
Marmolada, estate 1979
03b: progressione in zona seracchi della
Marmolada nel 1995
03c: esercitazioni in zona seracchi della
Marmolada nel 1980
Fotocomposizione del versante
Nord della Marmolada.
02a: foto dalla rete, presumibilmente un inverno
di fine anni ‘50
02b: foto di Claudio Pra, estate 2015