Giardino di pietra

di Remo Rudi

La poderosa ‘Gilera 250’ di Alberto affrontava sicura le curve della ripida strada che, oltre le ultime case del paese, iniziava a salire da Ballabio verso il Pian dei Resinelli, la nota località turistica posta ai piedi della Grigna Meridionale. Era la prima domenica di giugno del 1996.
Il rombo del motore rompeva impertinente il tranquillo silenzio di un tiepido mattino estivo ancora semi immerso nelle ombre della notte: quel ritmico e sordo rumore sembrava, infatti, voler sopprimere senza pietà la gradevole quiete notturna che ancora aleggiava sulle pendici coperte di larici ed abeti.
Qualche allegro buontempone aveva scritto a caratteri cubitali sulle scarpate dei quattordici tornanti della salita, nomi di donne. Si leggeva: curva Ginetta, curva Mariuccia, curva Carolina … tutte ragazze che, per meritare il singolare omaggio, i viandanti dovevano immaginale come fanciulle amabili e bellissime.
I due amici, Alberto alla guida della moto e Matteo seduto alle sue spalle oberati da un grosso zaino, avevano deciso di avvicinare il versante occidentale della Grigna Meridionale, un versante caratterizzato da numerose e ardite guglie, molto allettanti per due giovani alpinisti da poco soggiogati dal fascino delle scalate su roccia. La giornata festiva si prestava a tentare qualche difficile scalata, come quella necessaria per raggiungere la vetta del ‘Campaniletto’, un vertiginoso monolito di calcare che, dalla base alla cima, offriva cento metri di verticali pareti e gradevoli tratti di divertente arrampicata.
Sul primo tratto del ‘Campaniletto’, una stretta fessura seguita da un evidente camino offriva l’emozione di superare alcune decine di metri molto difficili, sino a raggiungere un largo pianerottolo dove Alberto ricuperò l’amico. Matteo passò a condurre sul secondo tratto superando una stretta parete verticale che sprofondava nel vuoto. Un difficile passaggio in spaccata permise, infine, ai due giovani di raggiungere la cima svettante su un mare di guglie rocciose e di impervi canaloni che andavano ad infrangersi, come un caotico fiume di pietre, su cupi versanti coperti da mughi. Più giù, il fiordo azzurro del lago di Lecco chiudeva l’immenso panorama.
I due giovani scaricarono lo zaino dalle spalle. Sulle calde pietre inondate di sole, poche parole bastarono per esprimere quel misto di soddisfazione e di orgoglio che premia il successo di aver vinto la loro prima difficile scalata. Quella breve ascensione, ricordava Alberto, è citata persino dal grande Walter Bonatti nelle sue memorie quando, affascinato dalla Grigna, iniziò la sua favolosa attività alpinistica.
Due vertiginose corde doppie riportarono i due amici alla base. La giornata era ancora lunga, si caricarono lo zaino sulle spalle riprendendo il sentiero principale battuto dagli escursionisti.
Mentre risalivano la china, si chiesero: perchè non salire verso il Colle Valsecchi, raggiungere la base della Guglia Angelina e chiudere la bella mattinata con un’altra ascensione su quel superbo pinnacolo?
Il lampo di gioia si accese nei loro occhi, un lampo che non lasciava dubbi: con una facile e divertente arrampicata avrebbe reso indimenticabile una giornata immersi in quel ‘giardino di pietra’.

Dopo una decina di minuti, iniziarono a risalire il Canale di Val Tesa. Delle limpide voci femminili attirarono la loro attenzione: più in alto, infatti, due ragazze stavano salendo forse anch’esse dirette alla base della Guglia.
Matteo accelerò il passo stimolato anche dalla curiosità di avvicinale, tanto rara è l’eventualità di veder salire su quel ripido ammasso di pietre due giovani donne. Frattanto anche le ragazze avevano notato dall’alto i due alpinisti e, quando Matteo le raggiunse, sostarono per riposare sedute su un enorme masso.
Si presentarono: erano Alice un’esile biondina con due graziose treccine pendenti sul petto, e Sara un’atletica giovane dai corti capelli castani, occhi scuri ed una massa di riccioli sopra un viso leggermente arrossato dalla fatica. Dichiararono di voler compiere l’ascensione della via normale, la più facile, alla Guglia Angelina.
Erano emozionate e un po’ titubanti nel voler affrontare per la prima volta da sole un’ascensione su roccia: avevano da poche settimane seguito un corso di arrampicata sportiva e le stimolava il desiderio di mettere subito alla prova le loro capacità di scalatrici.
Alberto e Matteo non esitarono un attimo dichiarando che anche loro si erano proposti la stessa meta e che sarebbero stati felici di formare due cordate e salire in compagnia con loro.
Le due ragazze, come se si fossero liberate da un cruccio che le opprimeva, accettarono con entusiasmo, si rimisero subito lo zaino sulle spalle pronte a riprendere la salita confidando nell’insperato e gradevole aiuto offerto dai due occasionali amici.
All’attacco della parete iniziale della Guglia Angelina, si formarono dunque due cordate.
Alberto si legò con Sara e iniziò ad arrampicarsi. Matteo aiutò Alice ad eseguire il nodo mezzo ‘barcaiolo’, ne controllò la corretta sistemazione e appese alla cintura della ragazza un paio di moschettoni e un martello da roccia.
Le semplici manovre richiesero solo qualche minuto di attenzione ma permisero anche al giovane di osservare, da vicino e con calma, il piacevole aspetto della sua compagna di cordata.
Alice era veramente graziosa: indossava un pantalone da roccia blu molto attillato. Sotto il ginocchio le gambe nude si infilavano in due scarponcini con suole ‘vibram’ mentre una leggera camicetta scozzese negligentemente slacciata, faceva intravedere due seni vigorosi, ben fatti. Matteo inconsciamente ne fu turbato ma il suo compito di capocordata non permetteva distrazioni… iniziò a salire.
L’ascensione si svolse senza particolari problemi. Le due ragazze, pur essendo alle prime armi su una scalata di roccia, se la cavavano bene, tanto più che, superato il primo tratto un po’ difficile, seguivano altri tratti più facili, su brevi creste e verticali paretine ricche di numerosi ed evidenti appigli che rendevano molto piacevole l’arrampicata.
Al termine di ogni tiro di corda, Matteo si fermava sulle piazzuole di sosta dove recuperava Alice. Osservandola attentamente mentre saliva, ne osservata i movimenti, a volte urlava indicazioni per facilitarne la scalata. La ragazza si sentiva sempre più presa da un crescente entusiasmo ingigantito dall’emozione di riuscire a superare agevolmente anche i passaggi più delicati ed esposti su un vuoto da capogiro.
Ad ogni punto di sosta, Matteo agganciava Alice al chiodo di fermata e le poneva confidenzialmente un braccio sulle spalle stringendola anche lievemente a sé come per incoraggiarla. Quei fuggevoli contatti gli permettevano di sfiorarne le gradevoli forme sentendosi sopraffatto da intense e piacevolissime sensazioni.
Nello sguardo della ragazza, inoltre, splendeva una vena di felicità… sembrava veramente affascinata di trovarsi a vivere nella realtà quell’audace, insolita ed incredibile esperienza. Oltre a tutto Matteo era gentilissimo: usava con lei gesti e parole quasi affettuosi, certo non comuni nelle abitudini di un massiccio ed atletico giovane abituato alle austere condizioni imposte dalle dure ascensioni in montagna. Alice, infatti, si sentì sedotta molto più intimamente di quanto fosse solita esserlo a contatto con gli altri coetanei: la virile energia Matteo era evidente, piacevolmente tangibile nei gesti misurati e nelle parole ferme come fosse una guida affermata, una guida a cui ci si affida ciecamente. I quattro raggiunsero la cima poco prima di mezzo giorno.
Sostarono sulla vetta in silenzio per alcuni minuti: lo spettacolo che appariva sotto i loro piedi in ogni direzione, era un anfiteatro di multiformi pinnacoli che si ergevano arditi dalla base grigio-verde di ripide radure, su fino a perforare l’azzurro del cielo… sembrava di essere immersi un vero ‘giardino di pietra’ come, infatti, fu definito da alcuni scrittori il versante occidentale della Grignetta!
Iniziarono a scendere a corda doppia sino allo stretto intaglio della cosiddetta Bocca d’Inferno. Giunti ai piedi della guglia, mentre Alberto riavvolgeva le corde sulle spalle, Matteo fece notare agli amici che i morsi della fame non potevano più a lungo essere ignorati.
Tutti furono d’accordo di riprendere il sentiero che conduceva al Rifugio Rosalba dove, per chiudere la bella giornata, avrebbero ordinato una pasta asciutta e dato fondo alle leccornie racchiuse nei loro zaini. Ripresero a scendere verso il Pian dei Resinelli nel tardo pomeriggio.
In breve, Sara ed Alberto, forse anch’essi stimolati dal reciproco desiderio di stare soli, sparirono oltre le prime curve del sentiero. Alice invece scendeva con passo lento soffermandosi spesso ad osservare il panorama: sembrava condizionata dalla brama che quella magnifica giornata mai dovesse finire: Matteo la seguiva a pochi passi, con evidente lentezza. Durante le frequenti soste, fu come se non potessero ulteriormente rimandare il bisogno di manifestare il tenero sentimento di simpatia che era affiorato fra loro sin dal primo incontro. Inavvertitamente, si scambiarono gesti sempre più affettuosi fino a tenersi per mano a lungo, seduti sulle pietre. Matteo era letteralmente cotto e molto impacciato nel tentativo di cogliere l’attimo favorevole per esprimere con parole adatte l’inevitabile infatuazione che lo stava travolgendo. Alice, senza darlo a vedere, non aspettava altro. Quando il sentiero a quote più basse s’inoltrò in un bosco di faggi, i due giovani già si erano raccontato le loro vite con parole ed espressioni di una tenerezza inequivocabile.
Udirono, infine, i richiami di Alberto e Sara che li attendevano al parcheggio delle auto. Ebbero solo il tempo per un rapido abbraccio e sfiorarsi leggermente le labbra: scontata fu la promessa di rivedersi al Pian dei Resinelli … la domenica successiva.

Remo Rudi
Giardino di pietra
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