Il bivacco all’inizio del nuovo mondo
di Alessandra Panvini Rosati
Capitano a volte incontri con persone a noi assolutamente estranee, per
le quali proviamo interesse fin dal primo sguardo, all'improvviso, in
maniera inaspettata, prima che una sola parola venga pronunciata. (Fëdor
Dostoevskij)
Voleva fare un giro in solitaria, senza particolari pericoli oggettivi e
col desiderio di dormire in quota osservando l’alba di un giorno
iniziato in montagna.
Pensa che ti ripensa, tenuto conto del viaggio e delle condizioni
atmosferiche, decise per salire al Bivacco Suretta, di non nuovissima
costruzione, in lamiera colorata di rosso.
Una volta lambiva il ghiacciaio del Suretta, imponente montagna di oltre
3000 metri.
Ormai è adagiato tra ciò che resta della neve tra sfasciumi e ghiaccio
sporco.
Interessante punto di appoggio anche per salire la Punta Adami, ricordo
di tanti anni prima.
Semplicemente era in vena di bivacco: nove posti in branda in condizioni
precarie, con la certezza di trovarlo vuoto e maleodorante.
Dal parcheggio delle auto, al passo Spluga, ci si impiegano circa due ore
e lei non aveva fretta.
Desiderava godersi l’escursione cadenzata dai suoi pensieri in libera
uscita.
Soddisfaceva perfettamente i suoi bisogni primari con un lavoro e un tetto
sulla testa, non aveva problemi di salute e nuotava nel mare del mondo
modificando lo stile in base alle onde che incontrava.
Inoltre aveva adottato la decrescita felice che, detto tra noi, era un
modo gradevole di buttare sul ridere il non potersi comunque permettere
una crescita.
Per questi motivi, con le sinapsi sgombre da problemi motivati, si
ritrovava a camminare con la mente vagante tra i pensieri più assurdi.
Come commettere l’omicidio perfetto semplicemente attirando il
malcapitato in montagna per poi spingerlo giù da un dirupo; il maglione
tarlato e accidenti al non averlo indossato più spesso per paura di
rovinarlo; il negozio all’angolo che aveva chiuso prima proprio la sera
in cui ne avrebbe avuto bisogno; il desiderio di rileggere la Versione
di Barney … associazioni o dissociazioni di idee.
Salì tra rododendri già in fiore e qualche marmotta, che emetteva fischi
acuti al suo passaggio.
A mezzo pomeriggio era al bivacco.
Ci mise almeno un'ora a renderlo dignitoso, raggruppando spazzatura
abbandonata da ospiti incivili, pulendo il possibile, controllando la
chiusura della bombola a gas, sbattendo le coperte all'esterno
nell’inutile speranza che qualche acaro scegliesse la libertà di sua
spontanea volontà.
Belle quelle coperte, colore caserma, grezze e pizzicanti in modo
abnorme.
Quelle con la scritta "testa - piedi", caso mai qualcuno si
fosse confuso!
Stava ancora sbattendo, in un impulso da governante frustrata, l'ultima
coperta quando vide salire un uomo di verde vestito.
Alla prima occhiata lo prese per un cacciatore, una macchia verde che
incedeva sul sentiero chiazzato dal grigio delle rocce e il rosa dei
rododendri. Ma non aveva armi, solo uno zaino troppo grosso.
Doveva smetterla di pensare a come uccidere un uomo tra le crode e anche
di criticare il volume degli zaini altrui. Quasi si mise a ridere,
mentre fissava l'uomo verde che nel frattempo era arrivato al bivacco.
“Buongiorno”.
“Buongiorno”.
Ecco, era finita la pacchia.
“Adesso questo mi dice che è il primo di una lunga serie di gitanti
improbabili che sbucheranno dal colletto dopo il lago e che urleranno e
sbraiteranno facendosi selfie e rompendo le scatole alle marmotte e non
solo a loro...”.
Non osò chiedere.
Lui entrò nel bivacco e disse a voce alta: "Pensavo peggio! E' tutto in
ordine e sembra anche pulito".
La frittata era fatta, toccava dire qualcosa, nessuno commenta lo stato
di un bivacco se non ha intenzione di fermarcisi.
"Guardi, lei ha di fronte la Mary Poppins del Suretta. Questa parvenza
da Mastro Lindo è opera mia. E' fortunato, se fosse arrivato un'oretta
fa mi avrebbe dato una mano".
Lui si mise a ridere mentre, seduto sulla prima branda, la guardava
stagliarsi sulla soglia della porta in un chiaroscuro controluce.
"Beh, allora grazie per il servizio in camera".
"Questo significa che passerete qui la notte?" - chiese lei.
"Passerete chi?"
"E' solo?".
"Che io sappia si".
Lei ringraziò il Santo, Benedetto sia il suo nome!
"Lei invece cosa fa?"
“Ehi, uomo verde. - pensò - Secondo te sono venuta quassù per prepararti la
cuccia e ora me ne vado? Te lo puoi scordare!”.
Per non farsi riconoscere subito, le uscì un mite e fasullo: "Pensavo di
fermarmi, se non disturbo".
In realtà stava pensando tutt'altro: “Sei tu che disturbi accidenti,
prendi su il tuo zaino da 50 litri che non si usa più manco sul Nanga
Parbat e torna a valle! Che questa è casa mia e qui comando io!”
L'uomo sorrise.
"Beh, allora che ne dici se passiamo a darci del tu? Ormai è tardino,
non credo avremo altri ospiti.”
"Molto lieta".
"Cosa hai portato per mangiare per cena? Io, non sapendo quello che
avrei trovato, mi sono arrangiato con del formaggio, pane e della
frutta. Ho anche un thermos con del thè e spero resti almeno tiepido per
domattina".
"Anche io, più o meno, ho portato roba fredda già pronta: tacchino
affettato, frutta secca, un paio di bottiglie di acqua, il solito
insomma... Ed anche una candela con cerini per creare atmosfera
romantica. Sai a volte nei bivacchi ti fregano anche le candele".
"Tu sei una che ci viene spesso? Volevo provare l'esperienza ma non sono
esperto in materia".
"No, non sono una bivaccofila. Se posso mi fermo nei rifugi, quando sono
aperti, per evitare di portarmi dietro la casa in vettovaglie. Nel caso
specifico, avevo semplicemente voglia di aspettare l'alba qui sopra,
dormendo male, starnutendo per la polvere e probabilmente con brividi di
freddo".
Lui rise.
Lei rise.
"Allora ti ho disturbato? Pensavo di essere solo".
"Ma no, ma no figurati, ci faremo compagnia dato che, per esperienza, ti
anticipo che dormiremo zero!"
Lui era alto il giusto, era magro il giusto, era biondo il giusto.
Lei iniziò a pensare che avrebbe potuto anche esserci di peggio nella
vita.
Si fece buio, con le prime stelle già inchiodate al cielo e il primo
freddo, sottoforma di brezza.
Non parlavano molto.
Lui armeggiava con la casa portatile che si era caricato fin lì. Lei
aveva deciso di sedersi fuori dal bivacco.
Seppur con spiccata propensione alla chiacchiera, amava i silenzi
soprattutto condivisi con qualcuno che sa ascoltarli ed apprezzarli.
Tuttavia, i silenzi con uno sconosciuto possono essere alquanto
imbarazzanti.
“Adesso cosa dico? Perché non parla per primo lui? La buttiamo sul
nazionalpopolare? Calcio, birra e canzonette? E se poi pensa che sono una minus? E se invece il minus è lui?”.
Decise per rimandare l’inevitabile conversazione che alla fine avrebbe
dovuto iniziare.
Se ne stava fuori dalla porta con la schiena appoggiata alla lamiera,
imbacuccata in due coperte, osservava il cielo cambiare i colori per
prepararsi alla luna.
Dentro, lui schiacciava un pisolo.
Lei si accorse che dormiva quando, girandosi verso sinistra abituò lo
sguardo all'oscurità interna e lo vide abbandonato sotto tre coperte
(naturalmente posizionate al contrario coi piedi sulla faccia).
Pensò “Non russa, meno male”.
Altrimenti, il pensiero di commettere l’omicidio perfetto alla Hitchcock
si sarebbe potuto tramutare in realtà dopo qualche ora.
Con l’immagine dell’uomo verde spintonato dal dirupo di cui sopra, anche
lei si assopì, seduta, per risvegliarsi dal freddo e da un certo
appetito.
Era tempo di cenare e di provare a far funzionare la stufa con quel po'
di legna accatastata nell'angolo del bivacco.
Entrò piano.
Doveva svegliare l'uomo verde che, al contrario, stava beato nel
paradiso dei sogni di chi è sereno.
Percepì una sensazione di familiarità immediata, la cosa la stupì.
Si sedette sul bordo del posto letto e con la mano destra gli accarezzò
la spalla scuotendola leggermente, gesto che le ricordava sua madre
quando cercava di svegliarla per farla andare a scuola.
Lui si girò lentamente, tra il lusco e il brusco del sonno che non è più
ma che ancora non è stato vigile, e con la mano sinistra strinse la sua
mano, brevemente.
“Mi spiace disturbarti ma è tempo di canederli, che non ci sono!”
E risero mentre lui si sedette, ormai presente.
Decisero per mantenere i ruoli ben definiti: lei imbastì una specie di
tavola con quello che avevano portato da mangiare, mentre lui cercò di
accendere la stufa.
La legna era secca, ma la canna fumaria non aspirava, era tutto troppo
malmesso per funzionare.
“Accidenti, non si accende nemmeno con le preghiere. Ho trovato la stufa
più frigida della vallata…”.
E risero ancora, insieme.
Lei lo tranquillizzò: “Pazienza, non siamo in inverno. Le temperature
non saranno così rigide. Se vuoi, ti posso offrire una specie di grappa,
un liquore che ho portato da Riga. Si chiama Black Balzam”.
“Ecco, adesso mi prenderà per una superciuk” - pensò.
Lui non conosceva quel liquore. Effettivamente in Italia non va via come
il pane.
Lei gli raccontò di come lo avesse assaggiato la prima volta, durante un
viaggio, di quanto le fosse piaciuto e di come lo centellinava per non
farlo finire, non sapendo se lo avrebbe ritrovato con facilità.
“Gli hai detto centellinare? Tu? Vuoi che abbia di te un’immagine da
signora a modino? Al posto della rozza bevitrice di sgnappa che sei?”
- Pensò, e rise da sola, anche se lui se ne accorse.
Lui accettò l’offerta e a sua volta le raccontò di quanto gli piacesse
un Campari servito ghiacciato, particolareggiando e dettagliando il
racconto tanto da farle venire il sapore in bocca.
Ormai era sera nella conca del Suretta, chiusi nel bivacco, con un paio
di candele accese, infreddoliti ma sereni, scoprirono di non essere
astemi!
Mangiarono. Parlarono.
Risero.
Risero.
Risero.
Con calma rimisero a posto le confezioni vuote, pulirono le briciole dal
tavolo.
Nel farlo si sfiorarono spesso.
Lei accese la pila frontale che portava sempre nello zaino, in modo da
poter spegnere le candele.
Lui non sapeva nemmeno cosa fosse quell’aggeggio.
“Et voilà, adesso it’s time for the Black Balzam experience, ready my
friend?”
“Oh yes, I will be glad to taste it”
“Ottimo, è anche English oriented….” - Pensò lei.
Estrasse la fiaschetta e la porse all’uomo verde, pregandolo di non fare
lo schizzinoso e di bere diretto.
Dopo di lui, arrivò il suo turno.
Il liquido era denso e caldo, di un sapore fruttato ma non dolce.
Lei si augurò che fosse di suo gusto.
Dopo nemmeno dieci minuti, si ritrovarono con le guance ravvicinate, la
bocca aperta e la lingua fuori mentre il maschio teneva disperatamente
la fiaschetta in alto a braccio teso in un estremo tentativo di far
scendere ancora, almeno, un paio di gocce!
La coppia si ritrovò così seduta in terra, sopra ad un paio di coperte a
mo’ di isolante, vestita di tutto punto, con una piacevole sensazione di
leggera ebbrezza regalata dal liquore e anche dalla consapevolezza di
essere sospesi in un momento quasi intimo giunto per caso, in un non
luogo in mezzo ai sassi.
Lei ipotizzò: “Cosa ne dici se facciamo cambiare aria e apriamo la parte
superiore della porta? Se ci giriamo e restiamo coperti, intanto
possiamo guardare le stelle, sempre ammesso che non sia diventato
nuvolo”.
Lui rispose: “In qual caso guarderemo le nuvole o anche solo il nero”.
Spensero così la frontale, si accoccolarono meglio sul pavimento usando
il muro come schienale e si coprirono con le coperte, testa-piedi
piedi-testa testa-testa piedi-piedi, ormai il bivacco sembrava il
pavimento di un venditore di tappeti.
Non sarebbe stato necessario restare così vicini, la temperatura era
accettabile.
Semplicemente volevano sentirsi, mantenere il contatto tra loro, senza
fare rumore, senza gesti ambigui e senza bisogno di troppe spiegazioni,
già inutili.
A lei venne in mente una canzone: I hope that I don’t fall in love with
you, di Tom Waits.
A lui venne in mente una canzone: Have I told you lately, di Van
Morrison.
Ognuno se la cantò nel privato del proprio cuore. Nella consapevolezza
di essere felici.
Il silenzio era perfetto.
Il buio li riparava dalla pochezza del mondo sottostante.
Fu lei a crollare per prima, allungando le gambe fino a trovarsi
sdraiata.
Pronta a dormire, non voleva staccarsi da lui.
“Come faccio a dirgli che preferirei dormire qui sul pavimento con lui
al mio fianco piuttosto che salire sulla branda? Che tanto non saremmo
nemmeno più comodi?”.
Dopo un istante capì che non ci sarebbe stato bisogno di fare domande.
La sintonia era tale che lui le rispose con i gesti.
Allungò a sua volta le gambe, allargando il braccio sinistro verso di
lei per accoglierla in un mezzo abbraccio.
L’uomo verde le augurò la buona notte chiedendole: “Come si fa a
imparare l’arte dell’andare in montagna? Mi piacerebbe impratichirmi un
po’”.
Lei rispose: “Si deve iniziare piano, dandosi delle mete ragionevoli,
superando le prime difficoltà e ascoltando le sensazioni che si provano.
Poi, se le montagne ci accettano, tutto verrà di conseguenza.
Si sale verso le montagne mentre loro scendono ad incontrarci e portarci
su….”.
Si addormentarono con un bacio, solo accennato.
Il mattino arrivò accecante, con un freddo sole da est che accese la
luce nel bivacco.
Avevano dimenticato di chiudere la parte alta della porta.
Si svegliarono insieme.
Questa volta il bacio fu avvinghiante e armonico.
“Dove eri?”
“Dove eri?”
Non importava più.
“E adesso?”
“E adesso?”
Decisero di superare le prime difficoltà, affrontando il loro nuovo
mondo tenendosi per mano.
Alessandra Panvini Rosati
Il bivacco all’inizio del nuovo mondo
Milano, primavera 2019