Il ponte della trota
di Gaetano Soriani
A tre anni dalla morte di mia figlia ho voluto riordinare i pensieri e
gli appunti “buttati giù” a caldo nei primi giorni dopo la scomparsa per
ripensare e riordinare con più serenità le sensazioni di quei momenti
dolorosi.
Il risultato di queste considerazioni è un breve racconto che propongo
ai lettori di intraigiarun
non senza qualche timore per il contenuto particolare e personale.
Potrà sembrare, infatti, inusuale e forse anche inopportuno, un racconto
di questo tipo in un sito che si occupa di racconti ed esperienze di
montagna, in realtà è stata proprio la montagna a fare da filo
conduttore e da chiave di lettura per “metabolizzare” questa esperienza
dolorosa.
Percorrendo la stradina che conduce in val di Fanes (poco sopra
Cortina), dopo un ponticello sotto cui scorre impetuoso il rio omonimo
che scende dalle famose cascate, c’è una piccola ansa sulla destra
scavata nella roccia dove l’acqua limpidissima è quasi ferma.
In questa pozza dove l’acqua profonda è di un intenso colore azzurro
verde, c’è quasi sempre ferma immobile una grossa trota.
Questo anfratto per il pesce costituisce, infatti, una posizione
ottimale per trovare cibo al riparo dalla fortissima corrente che
altrimenti lo travolgerebbe.
Di questo fenomeno me ne accorsi più di trent’anni fa quando cominciai a
frequentare il Cadore e scoprii questa valle stupenda.
Ricordo che con i miei figli ancora piccoli avevamo chiamato quel ponte
“il ponte della trota”, perchè ogni anno quando tornavamo in montagna
per le vacanze estive la val di Fanes era una tappa obbligata e i
bambini correvano avanti impazienti di vedere se la trota ci fosse
ancora.
Nel corso degli anni poi ho avuto modo di accompagnare nella valle
diversi amici e sempre sotto il ponte trovavamo la nostra trota che era
diventata una delle certezze della vita.
Anche i miei figli poi crescendo avevano mantenuto quella simpatica
tradizione di andare a vedere sotto il ponte della trota senza rimanerne
mai delusi.
In particolar modo la più affezionata era mia figlia Beatrice che, già
adulta amava trascorrere con amici qualche giorno in montagna onorando
sempre l’appuntamento con la trota.
La scorsa estate ho accompagnato per l’ultima volta mia figlia in val di
Fanes.
Beatrice era da tempo ammalata e indebolita dalle pesanti cure di
chemioterapia, ma aveva voluto ritornare là insieme ad una amica.
Quando siamo arrivati al ponte per la prima volta dopo tanti anni la
trota non c’era e confesso di aver interpretato la cosa come un presagio
funesto.
Beatrice è mancata il 10 dicembre 2013, a trentaquattro anni, stroncata
da un tumore che non le ha lasciato scampo. Dopo aver lottato e sperato
per due anni, ai primi di settembre i medici ci dissero che le restavano
tre mesi di vita. Entrammo nella dimensione della sofferenza e del
dolore.
Di fronte alla morte non ci sono alternative, o l’accetti con fede
pensando che fa parte di un “progetto” più grande e diverso dalle tue
aspettative o non l’accetti perché non la comprendi e ti disperi
pensando che la vita è uno schifo e che tutto non ha senso.
In quel momento pensando ai tre terribili mesi che ci attendevano, ho
immaginato quel periodo come una metafora della montagna, come a una
lunga e faticosa via alpinistica d’ambiente durante la quale io e mia
moglie avremmo dovuto accompagnare nostra figlia passo dopo passo fino
alla fine, “sulla vetta”.
Come una vera via alpinistica quei tre mesi avrebbero comportato un
lungo ed estenuante “avvicinamento”, "l’attacco" vero e proprio e la
“scalata” finale senza però disporre di alcuna relazione o indicazione.
Avremmo dovuto viaggiare “a vista” affrontando come in montagna di
momento in momento le difficoltà che si presentavano, cercando di
sostenere Beatrice senza cedere alla disperazione e mostrandoci sempre
fiduciosi.
Mi ripetevo che quei tre mesi sarebbero stati forse l’esperienza più
importante della nostra vita e che quello che ci aspettava
ridimensionava ogni altro problema che ci fosse mai capitato.
Beatrice era consapevole di quello che aveva ma non le dicemmo tutta la
verità perché già troppo provata da due anni di cure e terapie
infruttuose.
E così iniziammo questa straordinaria esperienza che ci avrebbe cambiato
profondamente, mentendole giorno dopo giorno sulla effettiva gravità
della situazione come quando da piccola la portavo in montagna per
rifugi e le ripetevo “dai che siamo quasi arrivati, non manca molto
…”
Le piaceva la montagna, fin da piccola ricordo che quando finivano le
vacanze estive durante il viaggio di ritorno in automobile per i primi
chilometri piangeva disperatamente perché non voleva tornare a casa.
Poi se ne era allontanata nel periodo dell’adolescenza e ricordo che mia
moglie diceva che forse l’avevo fatta camminare troppo da piccola con
lunghe e faticose escursioni e vie ferrate.
Da qualche anno però si era riavvicinata e amava tornare nei posti che
aveva tanto frequentato da piccola.
Amava tantissimo la musica in genere e quella irlandese in particolare e
assieme ad una amica aveva fondato un “Acustic folk duo”.
La “marcia di avvicinamento” durò circa due mesi e mezzo durante i quali
Beatrice fu accudita a casa con il supporto dei medici dell’ANT, poi ai
primi di dicembre si rese necessario il ricovero in ospedale e iniziò
“l’attacco vero e proprio alla via”.
Poi, come in montagna quando inaspettatamente dietro uno spuntone arrivi
in cima e sei circondato solo dal cielo, anche noi raggiungemmo la vetta
dove però noi rimanemmo e Beatrice proseguì da sola per raggiungere il
cielo.
La vedemmo andarsene con un ultimo sofferto respiro.
Mauro Corona ha detto che quando si arriva in cima ad una montagna si
può soltanto scendere, e anche noi scendemmo da soli, storditi e
frastornati, per ritornare alla quotidianità della nostra vita, alle
cose di tutti i giorni
con i nostri ricordi, i nostri fantasmi e il
vuoto immenso lasciato da nostra figlia.
Beatrice è stata per noi un esempio di coraggio e dignità
nell’affrontare una “via” di estrema difficoltà che avrebbe scoraggiato
chiunque.
Ci rimane la sua voce nei tanti CD e filmati su youtube, i suoi
strumenti, la tastiera, la chitarra e tanta tanta musica.
E poi la vita continua…..
Post Scriptum
L’estate scorsa sono tornato in val di Fanes, ma come
l’anno precedente non sono riuscito a vedere la trota al solito posto sotto
il ponte.
Sono ritornato invece in questi giorni di fine aprile e con mia sorpresa
ho ritrovato non una ma due trote che guizzavano nella corrente, mi è
sembrato un segno dal cielo.
Gaetano Soriani
Il ponte della trota
Cento (FE), aprile 2016