L'era glaciale

di Angelo Bolognesi


Così come Sanremo e il Giro d'Italia, è arrivato anche il tradizionale appuntamento annuale con la gita di settembre del Cai, questa volta articolata su giorni due, come Ciccio e Franco, i Dioscuri e gli Zebedei.
E' un piacere masochistico quello di ritrovarsi a ballare sul Titanic tra picchiatelli seriosi, ragionieri satanisti che in birreria alzano i calici ad Astarotte e belle signore, che nel centro di Ferrara, vanno in bicicletta con grazia rara (sembra un incipit di Guido Gozzano).
Constatato ancora una volta come l' appeal della gita fosse in irreparabile declino, mi domandavo, come nella celebre vignetta di Altan, chi fosse il mandante di tutte le cazzate che faccio.
Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
Ricordo il programma della gita: Traversata dal rifugio Sella ai casolari dell'Herbetet.
Di tutto questo non avvenne nulla.

Partenza alle 5:30, previa colazione al bar, gomito a gomito con i ladri d'appartamento appena smontati dal lavoro.
Arrivo a Valnontey alle 12:30 (si, alle 12:30, avete letto bene), sotto un cielo raffigurante il prologo dell'Apocalisse. La pioggia, infatti, arrivava puntuale alle 14:00, la stessa ora in cui, terminate le operazioni preliminari e le abbondanti libagioni, si decideva di mettersi in cammino.
Quindi, quella che si mise in movimento fu una lenta e indaginosa processione di spiriti malmostosi.
Gente incappucciata, infreddolita e, in qualche caso armata di simpatici e variopinti ombrellini automatici, si inerpicava lenta sulle pendici di un monte sotto un cielo che sembrava una lastra di ardesia.
La pioggia annaffiava dal primo all'ultimo passo la straordinaria goffaggine di un corteo nel quale spiccavano i soliti abbigliamenti paludatissimi denotanti una pompa quasi controriformista.
Una visione desolante, ceronettiana.
Si poteva immaginare che all'originario eccesso di baldanza della partenza,sarebbe seguito,alla prima difficoltà, un eccesso di smarrimento.
Ad allietare la comitiva in quelle penose circostanze, ha contribuito un simpatico signore che aveva già fatto la sua comparsa durante il viaggio in pullman. Questi, cercando di illustrare meraviglie e curiosità della per nulla ridente località alpina, dispensava informazioni come un distributore automatico impazzito, fino a quando non è stato allontanato con la forza e con l'aiuto dei cani, mentre i più ritenevano una prova inconfutabile dell'esistenza di Dio il fatto che gli venisse trafitta la testa da un fulmine.
E fin qui, tutto bene.

Arrivati, nostro malgrado, al rifugio Sella alle 16:30, il capo gita, pisciando acqua come una grondaia bucata, dopo aver confabulato con uno dei responsabili del rifugio, annunciava con gravità scespiriana l'assegnazione delle camerate. Queste erano ubicate in una costruzione staccata dal corpo principale del rifugio.
Praticamente un lager.
Stanzoni freddi e molto adatti alla conservazione degli insaccati contenevano dagli otto ai dodici posti letto in sistemazione a castello, contro i quali molti ebbero la tentazione, non sbagliata, di accanirsi a colpi d'ascia.
A disposizione di ognuno dei deportati c'erano ben tre logore coperte di indubbio valore storico, probabilmente appartenenti, in origine, al Regio Esercito.
Per capire come quella sistemazione stesse sui corbelli ai gitanti non servirono Accademici della Crusca.
Bastarono buone orecchie e una conoscenza della lingua italiana da Scuola Media Inferiore.
Una discreta dimestichezza con il linguaggio postribolare avrebbe favorito una comprensione ancor più esatta dei concetti espressi.
Essendo la temperatura esterna prossima allo zero e quella interna di poco inferiore, alle prime accorate richieste di trasferimento nelle tiepide stanze all'interno del rifugio venne opposta un'intransigenza calvinista.
Così, dai propositi palingenetici che minacciavano sfracelli si arrivava alla mite conclusione che il mondo è incurabile e conviene ritirarsi a giocare a bocce.
In fondo la morte per assideramento è dolce e arriva nel sonno, come la fatina dei denti.
Pragmaticamente, dopo aver gentilmente fatto accomodare altrove i salmerini che vi avevano nidificato, i più hanno cercato di riscaldarsi ficcandosi sotto le coperte. Nel silenzio cimiteriale, il rumore prodotto dal battito dei denti a ritmo di samba ha negato la possibilità di prendere sonno consentendo altresì di riflettere sulla banalità del male, definizione della Arendt mille volte citata che serve a evocare l'ordinario (e per questo invincibile) humus sul quale i peggiori orrori possono germinare; la normalità apparente che nutre i mostri.
Una parentesi ustionante venne ad interrompere per un poco queste riflessioni fatte nel mezzo di quella catastrofe mediatica, politica, culturale e umana, sicuramente frutto del solito complotto tecno-pluto-giudaico-massonico.
Un caldo equatoriale ci accoglieva infatti nella sala da pranzo gremita come una curva in un derby.
Se fosse stata l'anticamera dell'inferno è difficile dirlo con certezza ma, tutti quanti, con i volti paonazzi per il repentino scongelamento e privi di qualsiasi istinto di sopravvivenza, si sono sistemati attorno ai tavoli.
Chi in bermuda, chi in bikini e chi, ben oliato, stringendo rami di rosmarino sotto le ascelle.
Dopo la cena che ha contribuito in maniera determinante alla scomparsa dei cervi dalla zona, ciascuno, in cuor suo, ha rivolto una preghiera alle potenze celesti, per un domani migliore (nel senso meteorologico).
Preghiera che, fatta da individui con un tasso alcolico nel sangue a tre cifre e indirizzata a destinatari che non è certo esistano, difficilmente avrebbe dato risultati apprezzabili. Ma, come recitano i sacri testi " ... Non affannatevi dunque per il domani, perchè avrà già le sue inquietudini". Matteo 6,34
Rientrati ognuno a suo modo, chi con le proprie gambe e chi trascinato nelle camerate BO FROST, una sensazione di disgrazia e desolazione sembrò aleggiare sull'edificio perso nelle nubi e fradicio di pioggia che, imperterrita, continuava a battere impietosamente.
Indossati gli scafandri regolamentari, ci si è infilati sotto le coperte che erano si pesanti come colate di calcestruzzo, però, in compenso, non scaldavano affatto.
Cercai così conforto nelle parole di Paolo nella lettera ai Romani (5) "... ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza; la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza".
Rinfrancato, quando ormai pensavo, per scaldarmi, di passare la notte recitando ad alta voce la Bibbia dei Gedeoni, un essere umano, appartenente al genere femminile e proveniente dall'esterno, ha fatto irruzione nella camerata, dopo aver parcheggiato il Nautilus. Lo spalancamento della porta non ha cambiato di nulla la temperatura interna ma la voce dell'angelica creatura annunciava che il gestore del rifugio, non si sa se mosso dalla compassione o dalle difficoltà oggettive nel portare a valle tante salme, ci aveva messa a disposizione una stanza vuota al primo piano del rifugio, calda e fornita di piumini.
Ringraziando la giovane donna pensai tra me e me:" ... chi cerca trova." Matteo 7,8.
Il nunzio celeste non aveva ancora finito di dare il suo messaggio di gioia che alcuni avevano già raggiunto la stanza e si rotolavano nei letti come baccanti. Festeggiato il nuovo record mondiale di cambio stanza, mentre nel tiepido e accogliente buio ascoltavo il martellamento della pioggia sul tetto, un dubbio si insinuava nella mente: forse che le cose dovevano peggiorare ancora prima di migliorare?
Proprio questa era stata l'analisi del Presidente Nixon sulla situazione in Viet-Nam.
Il risultato finale fu che le cose peggiorarono prima di peggiorare ulteriormente.
E il sabato si fece domenica, così come la pioggia si fece neve.

La mattina, ai primi sguardi increduli, si offrì un paesaggio da era glaciale: cime bianche e pendici dei monti circostanti coperte di abeti appesantiti di neve, davano l'impressione di trovarsi di fronte a gigantesche pastiglie Valda, da cui il nome: Valda Osta.
Queste immagini generarono nei malcapitati gitanti evidenti mutamenti di personalità.
A mano a mano che i surgelati uscivano increduli e inebetiti dalle camerate, venivano colpiti dagli organizzatori a intervalli regolari prima di essere sbrinati.
La parola "neve" sembrava uscire dalla loro bocca come per colpa di un riflesso impazzito del sistema nervoso.

La seconda carica della sezione, da tempo visibilmente innamorato pazzo, di fronte alla visione dell'inatteso paesaggio natalizio poteva essere descritto soltanto con il secondo termine.
Infatti, dopo averlo avvicinato allo scopo di avere lumi sul da farsi, mi resi immediatamente conto che mi avrebbe dato lo stesso responso di un cuscino dell'Ikea.
Egli se ne stava attonito, sguardo fisso, perso nel vuoto, con due sigarette che gli pendevano dalle labbra mentre ne accendeva una terza. E' il suo modo di affrontare la realtà, ma nessuno è perfetto e tutti gli vogliamo bene.
Ovviamente, viste le condizioni meteorologiche, fu presa la decisione di rientrare a Valnontey ripercorrendo in senso inverso lo stesso tragitto dell'andata.
Di questo esempio di buon senso va reso merito al capo gita, uomo di rara saggezza e cortesia.
Di solito in Italia la regola è vivere con precarietà anche le situazioni più serie, lui ha vissuto con serietà la precarietà di quella situazione.
In un paese slabbrato e facilone, ogni richiamo alla serietà delle cose è un indizio di salvezza.
Gli auguro di diventare Gran Visir di Bangalore o, se proprio gli dovesse andare male, presidente di una qualche sezione del Cai.

La nevicata, già affievolita, si fermò del tutto e addirittura, incastrato tra le nubi, si potè intravvedere un pallido, agonizzante raggio di sole.
Chiaramente, dopo una giornata intera dove qualsiasi cosa sembra storta, si diventa facilmente sospettosi quando sembra avvenire il contrario. Per metterci al riparo da questa eventualità, una volta incamminati sul percorso di ritorno, abbiamo cominciato ad incrociare degli umani che salivano di corsa il nostro stesso ripido sentiero, prima coperto di neve e poi, scendendo, spalmato di fango.
I primi erano adolescenti che nell'esercizio puntuale e irrinunciabile della respirazione, emettevano un sibilo simile a quello di un crotalo in amore. Li seguivano a qualche distanza maschi adulti votati all'annientamento con negli occhi uno sguardo che sembrava voler catturare l'ultima immagine da portare con sè nell'oltretomba.
Assieme a questi anche qualche femmina di età imprecisata e in via di trasformazione fisica, apparentemente frutto di combinazioni genetiche tra Lara Croft e Rocky Balboa.
A seguire tutti gli altri: impasticcati, enfisematosi, lardosi e probabili suicidi, tutti seguaci del "principio di prestazione", rane che vollero farsi bue (come se non fosse già magnifico essere una rana).
Mi ricordava la corsa del criceto nella ruota; veloce ma in gabbia, di corsa ma fermo.
Sembrava un'umanità sortita da un libro di Kurt Vonnegut, grande cantore comico della pazzia post-moderna americana. Le neoreligioni, le sette di picchiatelli, gli assembramenti scombiccherati delle solitudini umane erano la sua passione. Era capace di parlare delle derive umane con gentilezza e buonumore e anche per questo fu un grande scrittore.
Comunque, assieme alle nuvole sempre minacciose ma che ci hanno risparmiato docce gratuite, queste cronache swiftiane, variante comica che niente aggiunge al desolante quadro complessivo, ci hanno tenuto compagnia fino all'arrivo, raggiunto il quale ha avuto inizio la fase più complessa e impegnativa dell'intera gita.
Essendo rientrati al Campo Base alle 12:00 e cioè in largo anticipo rispetto alle 16:00 (ora prevista in assenza di variazioni dell'inclinazione dell'asse terrestre, sbarco di alieni o neve in estate), gli organizzatori hanno deciso di impiegare il tempo a disposizione con una serie di esercitazioni ad alto contenuto tecnico che hanno trovato un consenso unanime tra i partecipanti alla gita.

Le foto illustrano con sufficiente chiarezza il tipo di esercitazioni e le difficoltà connesse.
In una di queste si può notare il capo gita sfigurato dallo sforzo titanico durante un passaggio delicatissimo, peraltro riuscito: l'ingoio di un'intera grolla, terracotta compresa.
L'eroico vicepresidente, roso dall'invidia, ha voluto subito emularlo desistendo suo malgrado a causa della totale assenza di nicotina nell'oggetto.
Tutti gli altri, alle prese con difficoltà di diverso grado hanno comunque tenuto alto il nome della sezione.

Malgrado l'alto coefficiente di difficoltà delle prove affrontate, tutta la truppa è riuscita a salire sul pullman, chi con le proprie gambe, chi caricato a spalla e chi trascinato via dalla tavola a viva forza da esperti domatori di ubriachi e di casi umani. In un'atmosfera carica di effluvi di Genepy, il cargo, ondeggiando, si è avviato verso l'autostrada. L'autista, dotato di maschera antigas per mantenere il suo tasso alcolemico entro limiti che escludessero l'ergastolo, comunicava con i responsabili della gita attraverso l'uso di bandierine.
Approfittando del netto anticipo sul presunto orario di arrivo, abbiamo potuto gustare il caffè nell'area di servizio "Viverone Sud", gradire le patatine fritte nell'area di servizio "Le Risaie", ingozzarci con i Rustichella nella "Castelnuovo Ovest", demolirci il pancreas con i muffin nella "Tortona Sud ", stroncarci il fegato con l'ammazzacaffè nella "Stradella Sud ", straffogarci di Camogli nella "Nure", bloccarci la disperata digestione con i gelati nella "Arda Ovest", cercare di assopirci con la camomilla nella "San Martino Ovest ", abbrustolirci il sistema nervoso centrale con il latte di suocera nella "Secchia", tentare il tutto per tutto prima con la citrosodina e poi con uno stura lavandini nella "Pioppa" e abbracciare le tazze nei bagni della "Castel Bentivoglio".

Alle 20:30,arrivati in città, nello stesso luogo dal quale eravamo partiti il giorno prima, i portelloni del pullman si sono aperti come le labbra in un rutto e siamo usciti noi.
Alla fine che dire: proprio una bella gita, vamolà!

Bibò
L'era glaciale
Rifugio Sella, (Valle d'Aosta), settembre 2016