Bibò e il tappone dolomitico
di Angelo Bolognesi
Il viaggio di andata ci ha visti immobilizzati come filetti di sgombri nei
nostri sedili dalle bici accatastate nel corridoio, non essendo riusciti
malgrado i ripetuti assalti a stiparle tutte nel bagagliaio.
Solo chi avesse partecipato al Corso di Alpinismo in Torpedone poteva
uscire dal corrierone per qualsiasi necessità, compresa quella di
darsela a gambe urlando.
Comunque, dopo sei comode ore di pullman, durante le quali ci sarebbero
potuti crescere i funghi addosso, il gruppo compatto è sbarcato a Cima
Banche dove scattava la partenza del Tremendo Tappone Dolomitico: il
Cimabanche - Calalzo di Cadore.
Ai nastri di partenza una trentina di rappresentanti la razza umana
apparivano inguainati in tutine alla Nureyev che gridavano vendetta,
impegnate a fasciare trippe straripanti e rotoli che non riuscivano ad
arginare.
Un signore leggermente in carne ricordava il posto per esserci già stato
in tenda, anche se il Circo Togni aveva voluto troppo.
Chi sembrava Zandegù dopo due anni passati all'Oktoberfest e chi era
identico a Vito Taccone all'ottavo mese di gravidanza. Qualche
pinguedine più accessoriata esibiva biciclette speciali con telaio in
wurstel.
Alcune signore sembravano Jula de Palma travestita da astronauta. E' per traumi del genere che
i serial killer diventano serial killer. Ammazzano la gente e se la
mangiano.
Bisogna stare attenti perchè la miccia della pazzia è corta e silenziosa
e quando si accende, buonanotte a tutti.
Detto questo, si deve ammettere che il tasso tecnico dell'abbigliamento,
esteticamente collocabile tra il sado e il maso, era però altissimo:
avrebbe consentito di affrontare il giro dei 99 passi sotto un cocktail
di neve e grandine dentro una tromba d'aria.
Quindi assolutamente idoneo per un tragitto che si poteva percorrere
quasi senza pedalare.
Io, che mi ero presentato con un normale paio di pantaloni e una felpa,
sono stato guardato come una fanciulla
guarderebbe un topo scoperto sotto il letto.
Ora, è necessario tener presente che nel Cai qualsiasi attività,
dall'andare sulla luna al piantare un chiodo, è un'impresa che richiede
una lunga preparazione, organizzazione imperiale e attrezzature di ogni
tipo.
D'altra parte siamo ormai dopati strutturalmente: siamo dopati di
impegni, di obiettivi da raggiungere, di delusioni da evitare, dopati di
cibo, di fracasso, di velocità, di ritmo, di desideri sempre nuovi.
Dicono sia progresso, ma ormai l'idea di progresso è così malconcia che
è meglio proseguire il racconto senza accanirsi troppo.
Con l'unica raccomandazione di non pedalare a bocca spalancata al fine
di ingoiare il minor numero di insetti possibile, il convoglio si è
mosso dietro ad Hardy, (Fabrizio Ardizzoni - Il direttore della gita.
N.d.R.)
nostra punta di diamante.
Il percorso, completamente in discesa, scelto da una vocazione
invincibile all'autodistruzione, è stato cadenzato dai folli sibili dei
velocipedi alternati ai bruschi colpi di freni in una sorta di alfabeto
Morse del delirio.
Qualche immagine, captata durante il rotolamento a valle, mi è rimasta
stampata nella memoria come la muffa sui muri dopo l'umido dell'inverno:
1) Il capogita, seguito dal gruppo compatto, che parla a mitraglia,
mulinando le braccia per indicare i luoghi.
2) Un paio di passanti che ci guardano come due usciti dalla macchina
del tempo e per un po' si fermano a studiare in che epoca sono finiti.
3) Un vecchio ristorante, in distanza, dove una volta servivano anche
capriolo al cioccolato che, a sentirlo dire così magari uno pensa che fa
schifo, poi,uno lo assaggia e scopre che fa schifo veramente.
4) Una signora con un bellissimo Chiwawa toy grande come un topo di
fogna.
5) Qualcuno del gruppo, fermo in estasi contemplativa di qualche monte.
Espressione ispirata, vagamente mistica e negli occhi la ferma
convinzione che esista qualcosa di superiore. Superiore a noi, facile,
sai che sforzo.
6) E tutti a fare foto a ripetizione a qualunque cosa da inviare poi su
blog e facebook e in tutti gli altri cassonetti elettronici dove la
gente butta i propri pensieri.
Dopo circa quattro ore, sfrecciando sulla strada quasi senza pedalare,
ci siamo trovati a Pieve di Cadore dove qualcuno ha proposto di andare a
vedere la casa natale del Tiziano (1485-1576).
Dal punto in cui ci trovavamo, dove la ragione ci ha abbandonato, per
raggiungere l'obiettivo si doveva imboccare una stradina che decollava
con pendenza a tre cifre.
Chi non avesse voluto affrontarla sulle due ruote avrebbe potuto
accomodarsi in funivia.
E la via crucis su due ruote ha avuto inizio.
L'opera K 626 in Re minore, meglio conosciuta come Messa da Requiem di
W.A. Mozart (1756-1791), qui non avrebbe sprecato le sue note.
Seconda serie di immagini registrate in diretta e rimaste intrappolate
nella memoria come sorci sulla colla.
1) Qualcuno che dopo i primi metri si appoggia al muro e manuale alla
mano, cerca di ricordare come si respira.
2) Qualcun'altro dalle cui fauci cominciano a uscire suoni tipo cani
molto piccoli che litigano, branca la borraccia e si attacca al frappè
di cotechino.
3) Nomi di santi canonizzati al momento e nome di Dio pronunciato quasi
sempre invano.
4) Qualche colpo di tosse uguale al rumore di un sasso che finisce in un
tagliaerba e lo rompe.
La broncopolmonite in agguato come una pantera.
5) Sinonimi di animali in ambedue i generi,che si rotolano nel fango e
dai quali si traggono insaccati di ogni tipo.
I nomi,a volte, vengono affiancati a quello di una tra le professioni
più antiche.
6) Qualcuno,sudato come un rospo, sguardo spento, sorpreso in
conversazioni di rara intensità su temi universali come l'aldilà, la
pluralità dei mondi abitati e l'esistenza di Dio, con il manubrio. Il
quale sembra fornirgli risposte molto precise.
La situazione cambia sensibilmente dopo l'applicazione combinata
all'aspirante salma di: defibrillatore, ossigeno e qualche petardo. Al
termine del trattamento il novello Lazzaro può constatare che le
capacità intellettuali del manubrio sono drasticamente diminuite.
Effettuata approssimativamente la conta dei superstiti davanti alla casa
dell'incolpevole maestro del colore tonale, l'accolita di fantasmi è
ripartita per portarsi con un ultimo sforzo al Tennis Club di Calalzo
dove (sorpresa!) il gestore aveva approntato un lauto spuntino: panini
imbottiti di ogni tipo e foggia, patatine e assaggi di formaggi locali.
Tutto quanto con prezzo esposto in bella evidenza.
Si sa che nell'epopea Cai c'è una componente quasi rabelaisiana (nessuno
si offenda, Rabelais è pur sempre uno scrittore). Inutile dire che la
mandria di ciclisti si è avventata sul cibo con il solito stile
anglosassone.
Neppure una faida fra cammellieri al Cairo o una resa dei conti fra
cocaleros in Colombia avrà mai la stessa strepitosa e immortale
teatralità.
Ma il colpo di scena è arrivato alla fine della merendina quando
l'incolpevole Hardy, passato per riscuotere tra quanti avevano goduto
dei benefici del rinfresco (praticamente tutti), si è trovato nelle mani
una somma ridicola.
Di fronte a questa omissione di buon esempio, giustificata dai più a
colpi di 'non sapevo', 'non credevo', e 'a me m'ha
rovinato a guera' è parso evidente come ignoranza, ingenuo candore e
furbizia, siano campi non sempre facilmente separabili.
La nostra catastrofe umana ha questo di bello e di brutto: è
irriducibile al fluire dei secoli, un evergreen della commedia umana.
Tra mille anni, quando già da molto tempo saremo sotto la dominazione
cinese, guardie rosse inutilmente disciplinate tenteranno, senza
successo di mettere in ordine i discendenti di questi.
A quel punto Hardy, umile come un maniscalco davanti al signore a
cavallo col frustino in mano, si è rivolto al gestore del club
mostrandogli la miseria raccolta.
Questi, dopo aver controllato la somma ha assunto lo sguardo di uno
rimasto sotto l'ecstasy.
Poi,freddo come un sicario del KGB, con cortese indifferenza gli ha
risposto che si sarebbe accontentato di
quanto aveva raccattato, abbozzando pure un mezzo sorriso che è riuscito
a tirare su con un angolo della bocca,
tipo ictus.
Hardy, travolto dalla modestia umana del suo clan e punto nell'orgoglio,
dopo un necessario sfoggio di arti marziali e, solo in pochi casi
ricorrendo alla garrota, è infine riuscito a far quadrare, seppur
approssimativamente, i conti e ad evitare al simpatico gestore di
prenderlo là, dove la folgore di Zeus non illumina.
Alla fine, applausi e brindisi.
Ridere e piangere per la stessa notizia è cosa che capita sempre più
spesso.
Non si sa se siano la vergogna o il ridicolo, l'ira o l'ilarità a
garantire il miglior esito ai tuoi sentimenti.
Un classico, come Sofocle.
O come Aristofane.
La speranza è quella che, tra qualche milione di anni, si possa
ricordare queste situazioni con lo stesso tono, lo stesso sgomento con
il quale oggi diciamo "ma ti ricordi quando al cinema si poteva
fumare?".
Risolto il problema almeno dal punto di vista legale, siamo rientrati
nel ventre ovattato del pullman, questa volta con le bici nel posto
delle bici e i cristiani nei posti dei cristiani; sistemazione che è
costata ai due autisti ore di studio, litri di sudore, il sostegno di
uno psicologo e una dozzina di seghe da ferro.
Siamo ripartiti nel magico momento del tramonto che arriva ogni giorno
da quando è nato l'universo eppure è sempre un miracolo che inebetisce.
Ci porta verso un giorno nuovo che sembra essere un enorme regalo
impacchettato di arancione ancora tutto da scartare. Un momento da
godersi, finalmente, in santa pace.
Purtroppo però dai primi posti, di tanto in tanto, microfono alla mano,
qualcuno biascicava qualcosa che forse erano parole ma somigliavano di
più a rottami che rotolano dentro uno scatolone.
Poi è arrivato Mazinga e ha ucciso tutti.
Vamolà!
Bibò
Calalzo, domenica 27 settembre 2015
P.S.
Un saluto a Bibì che da quando è in Germania è crollata anche la
Volkswagen.