Lo spuntino tiberino
La gita ex-corsisti al Monte Fumaiolo e alle sorgenti del Tevere
di Angelo Bolognesi
Come tutti i grandi imperi, che conoscono ascesa, fulgore e ineluttabile
declino, così la nostra beneamata Sezione, nella gita degli ex allievi
del corso di escursionismo, ha evidenziato in un sunto fantastico la
catastrofe antropologica che interessa la gloriosa associazione alpina.
Come se qualcosa che era stato concepito ed evocato, ora minacciasse di
sopraffarla, analogamente alla storia archetipica dell'apprendista
stregone.
Sono abbastanza affezionato (più per pigrizia che per convinzione) al
Club, ma appare inevitabile come la sua disastrosa fine non possa che
essere alle porte.
Si può ammettere che un comprensibile campanilismo porti a sottovalutare
gli aspetti degenerativi e a ingigantire i
meriti, ma il trucco è patetico, fa parte di quegli auto-inganni che
aiutano a tirare avanti quando i conti con se stessi sarebbero troppo
dolorosi.
E' difficile per chiunque cogliere il proprio declino e
accettarlo.
Un classico (triste) nello sport è il campione che si ostina a salire
sul ring anche quando non ce la fa più.
Nel nostro caso c'è una difficoltà in più:avendo egli stesso organizzato
il ring, riesce ancora più difficile capire perchè mai dovrebbe
scendere.
E' una cosa che mette malinconia; passa il tempo come se non passasse
mai il tempo.
Ci si augura che questa catastrofe etica possa avere una soluzione
giudiziaria, non potendone avere una culturale.
Nel suo piccolo, questo esempio, rappresenta egregiamente la storia
dell'umanità intera: prima si fanno delle cazzate e poi si studiano le
cazzate che si sono fatte.
Al raduno ho subito capito l'importanza di poter abbassare le palpebre.
Serve a proteggersi da spettacoli che sarebbero troppo duri da
sopportare.
Un folto gruppo di umani costituito da esemplari maschi in età avanzata,
molti dei quali forniti di trippe fuori ordinanza e stomaci duri come palloni da basket
e da femmine mature, ma ancora in grado
di accennare una rumba, avrebbe destato meraviglia e commozione anche
nei più cinici.
La percezione era di trovarsi fuori dal mondo reale, in un luogo dove
regnava la follia e dove le leggi umane erano considerate fesserie,
proprio come un paio di pantaloni di pizzo addosso a un somaro.
Se avessi visto un maiale volare fischiettando "La Gazza Ladra", non mi
sarei meravigliato. Ma tant'è.
Siamo partiti con il cielo buio come il sogno di un ubriaco ma, non
avevamo fatto molta strada quando la luna ha iniziato a sciogliersi come
un panetto di burro in una padella e le stelle sono diventate sempre più
rade.
Poi una luce rosa ha attraversato l'oscurità e il cielo, improvvisamente
è diventato azzurro come gli occhi di uno svedese.
Nei posti in coda, alcuni curvaioli, esponenti di quella cultura
territoriale fondata sul controllo fisico del territorio, sottratto a
leggi e regole esterne al branco, sparavano musica a palla dai loro
inseparabili congegni portatili.
Mi sono assopito grazie all'autoipnosi, sperando che questa razza si
possa estinguere come i Panda pigri o i Macachi autosufficienti.
Dopo l'immancabile colazione nel malcapitato autogrill di turno,
affrontata con lo stesso entusiasmo di un branco di cinghiali in un
campo di granoturco, il pullman è iniziato a salire lungo le pendici del
monte Fumaiolo mentre l'istruttrice I.N.A.A.T. (Istruttrice Nazionale
Autorizzata Alle Torture) biascicava vocaboli riguardanti balze, marne e
sardoni fossili, non riuscendo a smuovere il torpore generale e
risultando incomprensibile come il cirillico in Morse e forse anche di
più.
La salita alla cima del monte Fumaiolo si è rivelata ben presto
nient'altro che un bieco pretesto per poter poi trangugiare un pranzo
pantagruelico al rifugio Biancaneve.
Gli accompagnatori, in sgargiante divisa rosso fuoco, spiccavano nella
lenta processione come pavoni impagliati in un pollaio infestato
dall'aviaria e macchiavano il monte come scarlattina.
Tra questi, Ciaspolo, in veste di ex-Direttore, ex-istruttore,
ex-corsista, ex-ex e in rappresentanza del CAI-Pokemon.
L'intero percorso veniva coperto in due orette scarse, durante le quali
si è segnalato, tra le altre amenità, un dibattito avente come
principali protagonisti il Direttore del Corso e la Narratrice delle
Balze e dei Sardoni e che ha suscitato il più vivo interesse in chi
scrive.
L'argomentare ruotava attorno all'età della Terra e alla comparsa
dell'uomo sulla faccia di questo stesso disgraziatissimo pianeta.
Rivelato al Direttore che, nel primo caso, si trattava di tempi la cui
unità di misura si attesta sul milione di anni, il Direttore stesso
fissava la Narratrice come se gli avesse appena ficcato uno stecchino in
un occhio.
Tutti i bei concetti che aveva ben chiari in mente gli si sono
intrecciati in bocca come un nido di serpenti. Agitandosi come una
scimmia in gabbia riusciva, non senza difficoltà, a comunicare di non
comprendere a pieno la differenza tra 1,10 o 100 milioni di anni.
Ora, a parte il fatto che se si fosse trattato di euro la differenza
l'avrebbe capita al volo, gli sono stati forniti un paio di suggerimenti
di sostegno, dato che, ai più, era sembrato che qualcosa nella sua mente
fosse andato in cortocircuito. Nella sua mente però, i due suggerimenti
ci stavano stretti come due lottatori di sumo in una cabina telefonica.
Uomo di grande esperienza, ha stretto i denti, impassibile come un fante
prussiano e freddo come il culo di un escavatore di pozzi, ha proseguito
la marcia troncando il discorso di netto.
Periodicamente, con aplomb anglosassone, controllava la sensibile
fuoriuscita di fumo dalle sue orecchie.
Si passeggiava così, cianciando soprattutto di poderose stronzate,
quando un alberologo, silenzioso come un topo in punta di piedi su una
coperta soffice, è spuntato sotto un faggio secolare per farci sapere,
tra le altre cose, che in un faggeto è facile perdere l'orientamento.
Probabilmente nessuno l'aveva messo al corrente del fatto che ogni socio
che ha partecipato al Corso di Escursionismo uscendone vivo, è in grado
di entrare nel labirinto di Cnosso, tirare la coda al Minotauro e
uscirne prima ancora che la bestiaccia volti all'indietro il suo bel
musino.
Comunque, tra vesciche, lamenti e giaculatorie, siamo arrivati al
rifugio in netto anticipo sull'orario previsto per il leggero e sobrio
spuntino. Ma la fame, invisibile come Sue, la donna dei fantastici
quattro, si era già impadronita della mandria e la stragrande
maggioranza dei gitanti guardava il rifugio come un cane guarda una
padella unta.
Il rifugio, però, era al completo.
Stabilito che non ci si sarebbe potuti ingozzare prima delle 15, si è
deciso di gironzolare nei paraggi, nervosi come gatti con la coda lunga
in una stanza piena di sedie a dondolo.
Mentre i più fissavano le lancette degli orologi con l'espressione
sbalordita di un bambino davanti a un camaleonte che lentamente cambia
colore. Altri, per ingannare il tempo, pontificavano su certi esami
endoscopici.
Pare che la colonscopia, nella variante "fai da te", caldeggiata dal
nostro pluridecorato vicepresidente abbia riscosso i maggiori consensi.
Qualcuno nel frattempo, con la bava alla bocca, assaliva un cassonetto.
Tuttavia, zoppicando, trascinando e starnazzando come tacchini in un
mattatoio, si sono tirate le 15.00, ora in cui tutti hanno girato
automaticamente la testa in direzione del rifugio con la velocità di una
scimmia da laboratorio sotto oppio. Dopo il breve interludio nei boschi
alla Jack London e dopo l'accorato appello del gestore che invitava gli
altri ospiti ad uscire coprendo gli occhi ai bambini, più fulminea di un
Blizzard la comitiva ha preso possesso del
Rifugio Biancaneve.
Degni di nota, nell'arredo del simpatico locale, un autentico glicine di
plastica provvisto di illuminazione natalizia incorporata e un ridente
maggiociondolo pure di sintesi, che accoglieva festoso il viandante al
suo ingresso.
Viene spontaneo suggerire che tra queste vestigia non avrebbe sfigurato
qualche calendario profumato da barbiere o unto da officina, sui quali
si slogarono i polsi le migliori menti della mia generazione.
Chi scrive, casualmente, ha trovato posto a tavola tra gli
accompagnatori, avendone tanto ai lati quanto di fronte. Per il rispetto
delle norme sulla privacy ma soprattutto per pudore, ne vengono taciuti
i nominativi.
Dirò soltanto che uno solo su cinque aveva sul cranio qualche bulbo
pilifero in evidente funzione.
Da qui in avanti il racconto è riservato ad un pubblico adulto.
Dopo gli antipasti di affettati misti serviti su taglieri pesanti come
aratri, utili appena per oliare le mandibole da piragna degli ascetici
commensali, si è data la stura a uno sfondarsi di risotto, tagliatelle
al ragù di cefalo fungaiolo, cinghiale morto con polenta, scaloppine al
kitkat o cotolette di nutria appenninica e fagioli cotti in una salsa
piccante che sembrava uscita dritta dal culo del demonio.
Le taniche di rosso venivano scaricate dai muletti a dozzine, come le
rose.
Va sottolineato che stiamo vivendo nel periodo meno violento di tutta la
storia umana.
Dalle spelonche degli avi, fino ai nostri giorni, la possibilità di
morire ammazzati è lentamente ma inesorabilmente diminuita. La
civilizzazione è stato il faticoso viaggio verso idee, costumi e modi di
convivenza meno irragionevoli e più controllabili.
Ma non in quel giorno
e in quel rifugio dove l'etica è stata schiantata dalla dietetica.
Infatti, dopo ore di estenuanti libagioni, pochi erano ancora sobri
tanto da riconoscere ancora da che buco entra il cibo e da quale esce.
Altri, con la lingua grossa come se gliel'avesse punta un'ape,
schizzavano ributtanti grumi di parole indecifrabili.
Come nel peggiore degli incubi di Stephen King, comparivano di tanto in
tanto, qua e là, accompagnatori muniti di parrucche nere e ricciolute
che li rendevano perfetti sosia di Brad Pitt quando indossa il casco.
Ne sono stati fotografati due che sembrano il "Duo di Picche"
nell'esecuzione de "Il cieco in una stanza".
In chiusura del veloce e delicato spuntino, va registrato, per dovere di
cronaca nera, il tentativo terroristico di straziare canzoni napoletane
da parte di una minuta frangia di accompagnatori scampati, non si sa
come, alla prova del palloncino.
Alle prime orrende note le luci del Glicine Plasticone hanno iniziato a
lampeggiare con la stessa frequenza dell'S.O.S; il Maggiociondolo,
d'incanto, ha emesso fiori veri per convincere il gestore a portarlo
fuori.
Il resto della truppa ha preso questo ributtante intermezzo canoro come
si prendeva un allarme aereo nel '43.
Pare che all'origine dell'insano gesto commesso dai garruli canterini,
ci fosse il commovente
proposito di fornire a tutti una rapida soluzione del problema
digestivo, in un senso o nell'altro.
A gentile richiesta, sono stati prima percossi e poi perdonati.
Così, tra aliti da far annodare le sopracciglia e pance gonfie come
quella di una vacca affogata, il branco ha cominciato a tirarsi su dalle
sedie come fanno i granchi dalle fessure di uno scoglio.
Chi tentava di abbottonarsi la giacca avrebbe dovuto spremere cinque
chili d'aria fuori dal suo
corpo e avvicinare le estremità con l'aiuto di una squadra di muli.
Qualcuno, baldanzosamente uscito all'aperto sputava tutta l'aria che
aveva nei polmoni e cercava di inspirare senza riuscirci.
Emetteva così un verso che assomigliava al gorgo di un lavandino
otturato, poi
lentamente riprendeva a respirare.
Tra queste immagini liete e sorridenti, ci aspettava all'aperto, disteso
su un panca, Ciaspolo, che è stato ripreso prima e dopo lo spuntino come
avrebbe fatto Cesare Ragazzi prima e dopo il trattamento.
Ciò affinché si possano meglio intuire le dimensioni del dramma.
Nella sontuosa posa sdraiata, la faccia è quella a sinistra. Era stato
reso insensibile come un lichene da salame, cinghiale, fagioli e
quant'altro che tentavano di scalargli l'apparato digerente.
Una mandria di Gnu selvaggi sarebbe potuta passargli sopra al galoppo e
lui non se ne sarebbe accorto.
Riportata all'aria aperta l'intera accozzaglia di stomaci in
subbuglio, qualcuno, probabilmente ubriaco come un castoro sul fondo di
un barile di whisky e pur avendo il pullman a tre metri di distanza, ha
proposto di andare a rendere omaggio alla sorgente del Tevere, fiume
sacro alla Romanità.
Niente di che, più o meno 500 metri di strada, ma con la pendenza di un
dirupo.
Andata in discesa, ovviamente.
Considerato lo stato in cui si trovava la ciurma, il ritorno assumeva i
contorni di un suicidio di massa.
Giunti sul posto con la stessa fatica che fa una slavina a scendere a
valle e dopo aver respirato un po' della retorica di regime suscitata
dal luogo denso di esoterismi da autogrill, tutti i telefonini, le
macchine fotografiche e tutte le altre trappole, hanno immortalato il
nobile romano Claudius Benitus, apparso per l'occasione ai piedi della
stele celebrativa, come da contratto.
Più che il Puzzone sembrava un incrocio tra zio Fester e un Orecchione
Bruno, un piccolo pipistrello che vive all'isola del Giglio, dotato di
ragguardevoli padiglioni auricolari.
Dopo questa gaia incursione nel ventennio, si è tanto necessariamente
quanto drammaticamente preso a risalire. Presto qualche trachea sembrava
avvolta da spire di filo spinato mentre il suo legittimo proprietario
(della trachea, non del filo spinato) inspirava ed espirava gonfiando le
guance come Dizzy Gillespie.
Qualcuno ha iniziato a fare un verso strano, come un gufo che tentasse
di evacuare un'incudine.
Alla fine, ha vinto un pensionato ottantenne, iscritto al CAI da
ottant'anni, che ha tagliato il traguardo percorrendo l'intera distanza
in 1 ora,38 minuti e 18 secondi con un solo attacco d'asma.
2014 odissea nell'ospizio.
Quasi tutta la truppa si è ripresa inalando dalla marmitta del pullman.
Così, dopo i nuotatori con i piedi palmati, i marciatori con il sangue
misto a gasolio, ora avremo anche l'alpino a
ossido di carbonio.
Dunque, dopo questo toccante esempio di umanità a zonzo nel grembo della
natura, possiamo tentare di comprendere, senza eccessivo sforzo, perchè
il narratore dei nostri mali non sia Dostoevskij ma Age e Scarpelli.
In conclusione, doverosamente, bisogna ammettere che ci sono momenti dei
quali, a un uomo, piacerebbe di poter dire:"io non c'ero".
Vamolà!
Bibò
Lo spuntino tiberino
La gita ex-corsisti al Monte Fumaiolo e alle sorgenti del Tevere
Domenica 28 settembre 2014