Una fiaba fondista

di Alessandra Panvini Rosati


La neve era arrivata, pesante e primaverile prima del tempo, tanta ma brutta.
Era un inverno antipatico, fatto di pioggia e di temperature inadeguate a cappotti e berretti di lana.
Comunque era arrivata, per la delizia di chi sulla neve macina chilometri sulle piste da fondo.
Gioire nel soffrire, non è per niente strano.
Lo sci da fondo è un mondo a parte, che fa della sofferenza e della tenacia motivo di gioia.
Un mondo adatto a chi preferisce guadagnarsi ogni fiocco di neve, ogni metro di pista, senza fracasso.

Come scrisse Charlie Chaplin:
"Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare. Forse perché non può essere comprato. I ricchi comprano rumore. L'animo umano si diletta nel silenzio della natura, che si rivela solo a chi lo cerca."

Lei chiudeva gli occhi a volte, in estate, in momenti di mestizia e sconforto – non rari – e col pensiero si estraniava ricordando i freddi ventosi ed intensi della Val Pusteria o della temibile Val di Vizze. Come un cavallo a froge aperte, cercava di riassorbire gli odori di cere fluorate, di tutine elastiche e di scarponi sempre umidi. Adorava l’inverno, avrebbe voluto vivere sempre al freddo, forse perché era nata nel mese che all’inverno apre le porte.

Era l’unica a pensare alla primavera con malinconia, ai primi caldi con paura.
Per lei la primavera non era l’inizio della vita ma era la fine della sua.
La fine delle notti che vincono il giorno avvolgendo i monti alle quattro del pomeriggio, la fine del rumore del ghiaccio sotto le scarpe, la fine delle piste innevate e di un mondo in bianco e nero.
Era l’attesa del prossimo inverno.
Lei andava in letargo d’estate.
Non aveva mezze misure, nemmeno con sé stessa.
Amava il ghiaccio ma bruciava ogni attimo della sua esistenza.
Un essere davvero particolare e, di conseguenza, solo.
Adorava lo sci di fondo anche per questo: il fondista scia da solo, non importa quanti amici possa avere con sé sulla pista, è comunque perennemente solo con la sua frequenza cardiaca portata al massimo, col suo respiro ritmico, con le sue motivazioni.
Lei semplicemente sciava ogniqualvolta ne avesse la possibilità.
Piste lunghe e dolci tra i boschi, oppure corte, nervose e tecniche.

Sciava con la musica nelle orecchie per meglio apprezzare ciò che la circondava.
Si creava delle coinvolgenti colonne sonore.
Un giorno, arrivando al Lago di Landro e volgendo lo sguardo a sinistra, alle Tre Cime, iniziò ad ascoltare un notturno di Chopin (Op. 32) che rese la visione, la sciata e il momento assolutamente perfetti.
Non era raro che si mettesse a piangere durante le sue escursioni fondistiche, ascoltando in musica quello che non era in grado di esprimere a parole: il desiderio che si potesse semplicemente sciare fino alla fine del mondo… e chiudersi la porta alle spalle.
La neve, le piste solitarie e lunghe erano il suo luogo perfetto, al quale tornare appena possibile.
Era un richiamo, un amore, uno sport… banalmente era gran parte della sua vita o, meglio, la parte più bella della sua vita.

Un pomeriggio di quel gennaio, che non voleva regalare temperature degne del suo nome, scelse una pista diversa dal solito.
Una bella pista di quindici chilometri che parte in leggera salita per poi spianare e aprire l’orizzonte verso i monti del Tirolo.
I suoi Fisher, vecchiotti ma perfetti, scivolavano a ritmo di un Fado portoghese che la voce di Dulce Pontes rendeva ancor più toccante.
In effetti, pensò che il fado era la musica adatta per quel pomeriggio e per il suo stato d’animo; tale musica sembra triste invece è melanconica… colossale differenza.
Arrivata ai sette chilometri finali, vide un essere della sua specie.
Un fondista solitario, fermo ai bordi dei binari, osservava il pendio della montagna a est.
Si scambiarono il solito saluto, come è d’uso tra chi va in montagna, già un po’ meno tra chi scia, pensò lei…fiutando così che non di turista da “settimana bianca” si dovesse trattare.
Decise di fermarsi ad osservare con lui quella neve instabile, quel pendio che minacciava valanghe al solo pensarlo.
Educatamente spense la musica, nonostante fosse arrivata a Tom Waits “Closing Time”… struggente ballata che poco aveva a che fare con abeti sommersi da neve e orme di lepri tra i cespugli, ma rimandava a ben altre desolazioni metropolitane.
Forse nel titolo poteva esserci un presagio…
Lui le disse che credeva di essere solo, su quella pista non ci passava mai anima viva.
Lei rispose che avrebbe dovuto aggiungere un avverbio alla frase: quasi mai!
Si misero a ridere e si presentarono, stringendosi le mani un po’ maldestramente perché le manopole dei bastoncini da sci non aiutavano il contatto.
Le reciproche inflessioni gergali svelavano una provenienza da luoghi diversi.
Avevano optato entrambi per quella pista, per stare da soli… invece…. luoghi diversi con qualche affinità.

Decisero di proseguire insieme fino alla fine del tracciato.
Un po’ di vento iniziava a salire da nord, non potevano stare fermi per molto!
Erano fondisti… quindi vestiti poco; con quelle tutine costose ma difficili da portare, che non lasciano molto spazio all’immaginazione e anzi, nel 90 % dei casi, evidenziano il ridicolo di corpi goffi.
Non era il loro caso, sebbene non più giovani, erano ancora seducenti, belli di un bello sportivo, sano, sincero.
Lui disse che da quelle parti il vento da nord era presagio di altre nevicate.
Lei ne era perfettamente consapevole ma preferì far finta di non saperlo.
Ripresero a sciare, con lui davanti, per cavalleria.
Era molto bravo nel gesto tecnico; lei lo era meno.
Aveva una pattinata lunga e precisa, senza i soliti difetti degli amatori… lei se ne accorse immediatamente.
Ogni tanto lui si voltava per sincerarsi di non averla lasciata troppo indietro; lei arrancava un po’ ma, per orgoglio, non l’avrebbe mai ammesso.
A lei piaceva già quel suo sguardo, girato verso di lei, oltre la spalla destra, in fase di spinta.
Lui spingeva a destra, mentre lei caricava sulla gamba sinistra, di preferenza.
Cercava di affrettare la sua sciata con pattinate un po’ raffazzonate quando era certa di non esser vista … per poi effettuare un gesto pulito – se non proprio perfetto – non appena si accorgeva che lui stava per voltarsi, sempre a destra, sopra la spalla, con quel gesto che dimostrava attenzione e presenza.
Era già un’abitudine tra loro.

Dopo un po’, lui si fermò, a bordo pista; alzò lo sguardo verso uno scorcio di cielo tra gli abeti e indicò le nubi che ormai erano arrivate facilitando il compito al crepuscolo e oscurando prima del tempo la vallata.
La nevicata sarebbe arrivata presto, forse ancor prima del buio.
Il vento da nord non mentiva, mai.
Lui le chiese che cosa, in un caso come questo, avrebbe ascoltato nei suoi auricolari…
Lui, così purista nello sciare ascoltando solo il rumore del suo respiro e delle sue pattinate sulla neve.
Lei fece finta di offendersi e spiegò che due cose belle, insieme, ne formano una ancor più bella: sciare e ascoltare musica, poteva anche essere molto coinvolgente.
Lui aggiunse che in quell’istante, in quel luogo, le cose belle erano ben più di due: c’era lo sci di fondo, c’era il bosco innevato, c’era lei e …. se avesse deciso per un brano…. ci sarebbe stato anche quello.
Lei assunse un’espressione tra il divertito e il terrorizzato: aveva nel suo Ipod centinaia di brani ma riteneva quasi impossibile azzeccare una musica che potesse piacere ad un fondista sconosciuto!
Mentre lui si aggiustava il berrettino, ci pensò e decise: vento, neve, buio incombente e la loro presenza… non poteva essere che Van Morrison “The healing has begun”.
We’re gonna stay out all night long - And then we’re gonna go out and roam across the field
Baby you know how I feel when the healing has begun …

Lei gli inserì l’auricolare sinistro nel padiglione destro e tenne per lei quello destro nel padiglione opposto. Fece un respiro a pieni polmoni e diede il comando di avvio.
Non è un brano immediato e si deve avere padronanza dell’inglese, ma la musica è un crescendo di tensione e coinvolgimento erotico - emotivo.
I loro visi erano vicini, le due orecchie quasi attaccate, i quattro occhi rivolti verso il fondo della pista…
Non si mossero per i quasi sei minuti di canzone.
Alla fine, lui rese l’auricolare alla legittima proprietaria con un sorriso inequivocabile, non aveva capito una sola parola, ma quella era la musica giusta.

Ripresero a sciare.

Arrivati alla fine della pista, la cosa più logica sarebbe stata il tornare al Centro Fondo, da dove erano partiti… e anche senza troppe soste!
Nessuno dei due parlò.
Non volevano azzardare alternative.
Si guardarono negli occhi, dal basso verso l’alto superando le lenti gialle degli occhiali da neve.
Iniziò a nevicare, subito fitto.
Nessuno dei due parlò.
Nel silenzio si trova a volte la verità.

Quel che amore tracciò in silenzio accoglilo, ché udir con gli occhi è finezza d'amore.
(W. Shakespeare)

Lui si slacciò dai laccioli dei bastoncini e pose le mani sulle spalle di lei, nel classico gesto che si fa per riscaldare un corpo raffreddato.
Poi si rimise i laccioli e le chiese di fissare in fondo alla radura, là … là … oltre le folate di vento che ormai soffiava badilate di fiocchi sui loro visi.
Diresse le punte dei suoi sci verso quell’orizzonte ormai scuro.
Si voltò nel solito modo verso di lei, puro scrupolo.
Lei gli fece un lieve cenno del capo.
Lui ricominciò a sciare e lei lo seguì.

Nessuno li vide più.

Qualunque cosa tu possa fare, qualunque sogno tu possa sognare, comincia. L’audacia reca in se genialità, magia e forza. Comincia ora.” (Johann Wolfgang Goethe)

Alessandra Panvini Rosati
Milano, inverno 2014