I valori durevoli nell'alpinismo
di Michele Ghelli
Mi chiamo Michele sono di Ferrara e faccio parte del
“Monodito” un’associazione che “raccoglie” tutti o quasi gli appassionati
Ferraresi e non di arrampicata, “le nostre Montagne in città”.
Perché non so se siete informati in merito ma pare che Ferrara sia
statisticamente una delle città italiane più lontane da qualsiasi tipo di
altura… infatti, a rafforzare questa condizione, tra di noi c’è l’abitudine
di definirci “Alpinisti di palude!”.
Questo però, non ci ha impedito di inseguire i nostri sogni e di costruirci
il nostro modo di fare Alpinismo.
Mi permetto di dire “nostro” perché più o meno, la linea di pensiero e i
valori che ci fanno “scattare la molla” ancora oggi dopo tanti anni tra le
Montagne sono sempre gli stessi.
Anche se, si sa, l’alpinismo può avere tante facce e che nel tempo può
mutare.
Attraverso questo mio breve racconto cercherò di descrivere da dove deriva
il MIO Alpinismo, come è cambiato negli anni e, di conseguenza,
i valori che
ne sono scaturiti.
Probabilmente ancor prima di imparare a camminare, ho avuto il privilegio di
trascorrere indimenticabili periodi della mia infanzia in Montagna, “ospite”
dei miei nonni materni, “Nene” Olga e “Barba” Nato (Nonna Olga e Nonno Nato
diminutivo di Fortunato), in un paesino del Cadore, che si chiama Cibiana.
Qui assieme agli amici di allora e ai cuginetti ho avuto la fortuna di:
perdermi nei boschi, arrampicare sui sassi, dormire nelle baite, camminare
ore e ore senza sapere dove eravamo né dove andavamo, il bello era farlo e
basta in completa libertà!
E fu in quegli anni che piano piano cresceva in me la curiosità di scoprire
cosa c’era dietro alle “mie” montagne, una su tutte il Sassolungo di
Cibiana.
L’idea di andare in cima a questa Montagna e vedere che cosa si poteva
scorgere di lassù mi affascinava al punto che me la sognavo di notte.
Quella cima era la prima cosa che vedevo tutte le mattine appena sveglio
quando aprivo gli scuri della mia camera.
Per fortuna però, col senno di poi, all’epoca prevalse il buon senso,
nessuno mai osò salire lassù, nessuno di noi a quei tempi “masticava” di
Alpinismo, o forse fu anche grazie a un sano timore reverenziale.
Fino al giorno in cui, ancora giovane ma non più bambino chiesi a un amico
più esperto di me di accompagnarmi in cima; egli acconsentì e probabilmente
nemmeno lui si rese conto del regalo che mi fece quel giorno.
Lassù vidi tante Montagne con altrettante cime.
In quel momento capii che quello che volevo era continuare a salire le
Montagne per vederne altre da salire…
Poi negli anni le motivazioni che mi spinsero a salire sulle Montagne
cambiarono; però alla base di tutto, come ”scintilla primordiale” c’è sempre
la voglia di salire in cima e guardare lontano.
In principio salendo le vie più facili poi, a mano a mano che l’esperienza e
l’allenamento l’hanno consentito, lungo itinerari via via più impegnativi
scegliendoli in virtù di quello che leggevo affascinato sui libri di storia
dell’alpinismo: vita e motivazioni degli apritori, aneddoti e leggende,
curiosità legate a una Montagna, una parete, una via piuttosto che a
un’altra, quasi a voler rappresentare una MIA, personale, storia
dell’Alpinismo.
Fino ad arrivare un bel giorno… guardarmi attorno… e capire di essere in
grado di salire vie impegnative per essere un giovane Alpinista della
domenica per di più di palude!
Su questa Montagna, su questa parete, su quella via che Maestri e
Baldessari dedicarono a Toni Egger, successe qualcosa di magico che da un
lato mi sradicò definitivamente da un tipo di concezione di Alpinismo e
dall’altro mi proiettò all’interno di un gruppo di persone con le quali
sicuramente rimarrò legato per tutta la vita e non solo in Montagna.
Quel giorno sulla Roda di Vael capii che la FORZA della nostra amicizia ci
poteva permettere di affrontare arrampicate per noi sempre più difficili, la
grandezza di essere UN gruppo come fosse un’unica entità ci dava energie
incredibili.
Dico ci dava perché nella vita niente è definitivo, infatti, qualcuno di noi
per motivi vari ha ridotto drasticamente l’attività e qualcun’altro ha
addirittura smesso, la cosa incredibile però è che ancora oggi anche se non
siamo tutti insieme quell’energia generatasi allora, al momento giusto, nei
momenti di maggior impegno, TAC!, è lì disponibile.
Ed è altresì singolare come i ricordi che vanno ai momenti vissuti insieme,
quelli più nitidi, rimangono quelli che all’epoca ci “regalarono” qualche
pensiero: durante i bivacchi inaspettati, di notte, al freddo.
Momenti che ora apprezzo come esperienza vissuta e che porto tatuati
addosso, momenti ai quali per nessun motivo vorrei rinunciare.
Per questi motivi e per questi valori indelebili ritengo di essere in debito
con la Montagna e con l’alpinismo e, per “pagare” questo debito credo che la
cosa più naturale sia di permettere ad altri vivere queste emozioni.
Ma ritorniamo a LUI… il Sassolungo di Cibiana, quasi a volere chiudere un
ciclo per iniziarne un altro…
L’estate scorsa, infatti, ci sono tornato in compagnia di due giovani
Alpinisti di palude…
Mio figlio Lorenzo e mio nipote Niccolò di sei e sette anni.
Vedere nei loro occhi l’entusiasmo, la gioia e la soddisfazione di quei
momenti è stato come chiudere il conto con quel bambino che per anni sognò
di poter essere li, in cima al Sassolungo…
E… adesso era li, con loro, a guardare altre Montagne.
In conclusione vorrei avvalorare quanto detto fin qui, facendo vedere cosa
può essere in grado di fare una “semplice” giornata in Montagna e
probabilmente ancor di più arrivare in cima a una Montagna.
La foto ritrae mio figlio Alessandro in cima al Monte Cornetto nella
zona delle Piccole Dolomiti Vicentine.
Tornati a casa, la sera, Ale ha
sentito il bisogno di scrivere qualcosa, probabilmente ispirato da quello
che questa giornata gli aveva trasmesso o meglio regalato.
Ciò che mio figlio ha scritto di getto appena arrivato a casa, è questa
poesia, ma al di la della poesia, ciò che personalmente mi ha colpito di più
è quella frase che ha voluto mettere alla fine:
…L’ho vissuta veramente…
Michele Ghelli
Tenno 22 ottobre 2011.