Paura in Valeille
di Maurizio Malchiodi
“Vedi quella punta là? E’ l’Ondezana. Noi ci andremo.”
Il Don mi indica con il dito, ma per me tutte quelle cime della Valeile sono più o meno tutte uguali.
“Domattina di buon ora tu e i ragazzi partirete per raggiunger il bivacco Malvezzi Antoldi. Io ho un impegno improrogabile ma vi raggiungerò nel pomeriggio”.
“D’accordo Don” - rispondo un po’ dubbioso.
Leggo e rileggo più volte la relazione sull’itinerario per raggiungere il famigerato bivacco su una guida consunta e un po’ datata di Franco Brevini.
[Il sentiero all’inizio ben segnato si inoltra lungo il fiume. In fondo valle si inerpica su una scoscesa pietraia e (cosa veramente disdicevole) il bivacco non è visibile da sotto se non negli ultimissimi metri.]
Partiamo in una decina.
Io “pianurone” per più di dieci anni in vacanza al mare, sono investito del ruolo di guida.
La giornata è bella e calda e il gruppo si muove allegramente.
“Ehi, quanti panini hai?”
“Io tre. Due con la coppa e uno con il prosciutto.”
“Io ho anche le zollette di zucchero per i momenti di crisi”
Ce ne sarà bisogno...
Il Brevini snocciola "dopo un’ora si raggiunge il caratteristico 'sassone' ", sorta di masso erratico lungo quindici e alto sette/otto metri.
E noi dopo un’ora ci siamo.
Non mi sono accorto che con questa andatura i ragazzi boccheggiano.
Passate circa tre ore dalla partenza ecco appropinquarsi la pietraia.
La mia preoccupazione aumenta.
I bolli rossi che prima ogni tanto incontravo sulla via sono adesso scomparsi.
Con le gocce di sudore che mi appannano la vista riguardo la guida che recita "tracce di sentiero poco visibili su pietraia."
Avanziamo.
“Risio, siamo sulla strada giusta?”
Qualcuno ha percepito la mia titubanza e comincia a dubitare della mia capacità di orientamento.
Anch’io se è per questo, ma cerco di non darlo a vedere.
Saliamo faticosamente.
Vedo una cartina, una stagnola fra le pietre.
“Allora qualcun’altro è già passato di qui.” - penso fra me.
Mi rinfranco.
Andrea, bravo ragazzo, ha al polso una meraviglia della tecnica moderna che assomiglia ad un orologio ma schiacciando opportuni tastini ti dice l’altitudine.
“A che altezza siamo?”
“2570” - risponde.
Il bivacco è a 2900 metri circa. Dovremmo quasi esserci.
“Sono stanca” - dice Monia.
“Ho fame” - gli fa eco Matteo
“Mangeremo al bivacco, ormai manca poco”
Il tempo, che fino a quel momento fa è stato magnifico, comincia a guastarsi.
Ci mancava anche questa.
“2900 metri”
Dove cavolo è, 'sto bivacco...
“3000 metri”
“3050 metri”
Le pietre sono finite.
Sopra di noi soltanto neve.
Con grande intuito comunico ai ragazzi, esausti e sfiduciati, che sostiamo.
Dal cappello a cilindro estraggo il coniglio.
Cioè, dallo zaino estraggo la ricetrasmittente collegata con la base a Lillaz.
“Qui Lupo Spelacchiato a Lupo Grigio. Mi senti?”
“shhhhhhhhhhhh”
“Mi senti?”
Niente. Solo fruscio.
“shhhhhhhhhhhhh”
“Qui Lupo Grigio. Siete arrivati?”
Col cavolo.
“Siamo a 3100 metri ma del bivacco neanche l’ombra.”
“Ma è impossibile!”
“shhhhhhhhhhh”
La batteria si sta esaurendo rapidamente.
Spengo la radio e.... Broooooom.... Brooooooom
Tuoni.
Comincia a piovere.
“Mettetevi il k-way” - ordino, come se fosse il rimedio di tutti i nostri guai.
In quel momento, anche se disorientato e confuso, prendo una saggia decisione.
“Lupo Grigio, ci siamo persi, infuria il temporale. Noi scendiamo.”
“Ok. Siamo partiti in vostro soccorso. Vi veniamo incontro.”
La discesa è estremamente difficoltosa per le pietre instabili rese viscide dalla pioggia.
Nessuno fiata.
Si sente solo il brontolio dei tuoni che seguono i sinistri bagliori dei lampi.
Vedo la paura negli occhi dei miei compagni.
All’improvviso dietro di me, “OCCHIO, SASSO.” - urla Monica.
Mi giro e vivo questa scena come al rallentatore e stranamente con estrema freddezza.
Un asteroide del diametro di circa venti centimetri sta precipitando nella mia direzione a folle velocità.
E’ un attimo.
Mi butto letteralmente sulla mia sinistra.
Evitato di un soffio.
Tutti mi guardano come un sopravvissuto.
Monica è bianca come un cencio e non riesce più a parlare.
Un minuto di totale silenzio e immobilità.
“Spostiamoci da questo maledetto canale. Fa da collettore per i sassi che cadono”, roba da manuale… solo che non ne avevo mai letto uno.
Abbiamo perso la dimensione del tempo e il sole come tutti i santi giorni sta tramontando.
Le ombre della sera si avvicinano accrescendo ancor di più la nostra angoscia.
“Shhhhhhh. Shhhhhh. Siamo in fondo alla valle. Dove siete?”
“Anche noi siamo ormai in fondo.”
“Dovremmo vederci ormai.”
Si, ora li vedo.
E’ proprio il Don con due suoi ragazzi che ci sono venuti incontro.
Per me e per tutti è la fine di un incubo.
In quel momento e solo in quel momento tutti si accorgono di avere una gran voglia di fare pipì.
Fino a quel momento le funzioni fisiologiche di ognuno di noi erano sospese, dimenticate.
Il rientro è accompagnato da lampi e saette che rischiarano il buio totale che ormai ci avvolge.
A casa ci arriviamo alle ventidue, distrutti e affamati.
Più tardi nel caldo del mio letto ripenso a tutto quello che mi è passato nella testa quel giorno.
Una cosa sopra tutte.
“Se riesco a portare a casa la pelle, in montagna non ci vado più.”
Almeno non in questa maniera.
Ecco perché sono diventato istruttore di alpinismo.
Maurizio Malchiodi
Piacenza, 17 marzo 2009
Piccola nota a cura della redazione.
La Valeille si sviluppa a Sud della conca che ospita il caratteristico borgo di Lillaz, frazione di Cogne, dove confluiscono i torrenti Urtier e Valeille.
Benché vicinissima alla più nota e frequentata Valnontey si presenta subito più selvaggia e solitaria al curioso escursionista che arriva per la prima volta.
Le ripide scarpate, le numerose frane e le ferite lasciate dagli ultimi eventi alluvionali lasciano infatti poco spazio alla vegetazione ed all'attività escursionistica.
Molto più interessanti invece le salite alpinistiche, dalla punta delle Sengie, il gruppo degli Apostoli alla punta Ondezana, e le cascate di ghiaccio che si formano nei mesi invernali.
Già conosciuta ai tempi dei Romani, di cui si conservano ancora i resti di qualche miniera, fu poi utilizzata sin dal 1600 dai primi abitanti di questi luoghi per andare negli alpeggi piemontesi attraverso il colle di Teleccio. I ghiacciai in quell'epoca si erano quasi del tutto ritirati e tracce di queste mulattiere lastricate stanno ritornando alla luce in questi anni. Facili e frequenti gli incontri con stambecchi, camosci, scoiattoli e se fortunati anche con l'aquila reale che nidifica in questa valle.
NOTA. Le foto che accompagnano il testo sono tratte dalla rete e l'autore è Claudio Trova.