Ciaspoleide

di Michele Pifferi*, Angelo Bolognesi e Leonardo Caselli

*(in contatto telepatico)



Premettiamo che una ciaspolata senza Bibì è come Roma senza Colosseo, come Londra senza Jekyll, come Notre-Dame senza Quasimodo.
Sottolineato doverosamente quanto dovevamo, abbiamo deciso di approntare un collegamento telepatico con l’assente ricoverato su Venere, per raccogliere così i suoi preziosi suggerimenti e inviargli l’augurio di resuscitare in fretta.
Sappiamo, per sentito dire, che un tale ce l’ha fatta in tre giorni.
Ma aveva conoscenze molto in alto.
Procediamo.

Secondo l’austera e scrostata tradizione CAI, all’alba la masnada è salita sul pullman.
Ci siamo sistemati come sgombri in scatola e siamo partiti in direzione Livinallongo o giù di lì.
La solita fermata al malcapitato autogrill, ci ha visti esibirci nell’imitazione di un bidone aspiratutto.
Da lì in poi, in un silenzio da decubito, in una bollente, delirante e pura desolazione, siamo stati teletrasportati fino al ristorante “La Baita”, nostro punto d’appoggio, attraverso una fantasiosa stradina ad una corsia e mezza.
Qui la marmaglia è scesa, mentre l’autista, al fine di girare il grazioso pullman a microonde in direzione del ritorno, è arrivato a Rotterdam.
La Bea scattava foto.

Tra i valenti organizzatori della gita, oltre al nostro Grande Capo Culo Tonante (sempre sia lodato), che ha dato un cenno del suo repertorio nel parcheggio dell’autogrill in una jam session con se stesso, figurava anche Ciaspolo, che appariva già sgualcito, prematuramente impolverato, come se tra una gita e l’altra lo riponessero nel ripostiglio delle scope.
Noi, che siamo suoi fans, sapevamo che stavamo per vivere momenti irripetibili, tenuto conto che i soci del CAI, di prevalente formazione razionalista, sono appassionati soprattutto dagli aspetti scientifici della faccenda.
La Bea fotografava.

Prima di passare al rituale della vestizione e di intasare i cessi della “Baita”, Ciaspolo ha consegnato a tutti la cartina del percorso: un dedalo inestricabile tratto da “Il meglio de La settimana enigmistica di Nostradamus”.
L’analisi del percorso ci ha lasciati nel dubbio se aprire una sezione CAI ad Avignone o passare alla lotta armata.
Dirgli che il percorso non era molto chiaro era come dire a Pamela Anderson che ha poco seno.
La crisi isterica è del tutto inevitabile.

Obtorto collo, ci siamo incamminati sotto il suo sguardo occhiuto e giacobino, salendo in località “La merla” (citata, pare, dal Guccini Francesco nel suo componimento “La fiera ad San Làzar”. N.d.R.), nel bosco di Ciampestrin, tenendo il Col Gallina alla nostra sinistra fino a quando è stato possibile.
Ora, erano noti casi di restyling di automobili (in genere rinnovavano il disegno del paraurti e aggiungevano la scritta “sprint”), ma il restyling di Ciaspolo ci ha fatto cadere le mandibole.

Esibiva, infatti, un copricapo che fu indossato da Sir Laurence Olivier quando, agli inizi della sua straordinaria carriera di attore, interpretò il Fool nel “Re Lear” del Grande Bardo.
Così agghindato, guardarlo zampettare borbottando tra gli alberi nella neve, paffuto come un prevosto, sembrava di essere in una pagina di “Alice nel Paese delle Meraviglie” o in un’illustrazione dei fratelli Grimm.
Dobbiamo confessare che ci ha colti di sorpresa, strappandoci un applauso e un espettorato di considerazioni circa l’evoluzione della specie dal protozoo fino a lui, dato che la sua presenza e diremmo la sua natura fisica costituiscono un mistero avvincente nell’arco che va dai primi grugniti degli ominidi fino ai logaritmi.
Comunque, siamo partiti, mentre lo staff e il personale sanitario di complemento assicuravano di tenere sottomano la situazione e la Bea scattava qualche foto.

A peggiorare la situazione, già di per sé avvilente, fino a renderla del tutto disgustosa, ci ha pensato Tony Nel, arrivato da Monaco con un disco volante e sceso in mezzo a noi con un raggio verde assieme alla moglie con il naso a trombetta, dato che le disgrazie non arrivano mai sole.
Si è infilato un paio di occhiali catarifrangenti a rilascio prolungato e si sono uniti a noi tra il giubilo della folla.
Salendo per dolci pendii, ricoperti di immacolata neve, il vecchio scarpone ci portava alla sommità di un colle baciato dal sole da cui i nostri occhi, stanchi ma felici, potevano godere di un panorama mozzafiato che andava dalle Alpi al Lilibeo e via di questo passo e chi più ne ha più ne metta, ecc.

A questo punto la desolante, variopinta, interminabile, orrida, fracassona comitiva dal miserabile profilo socio-antropologico, si divideva in due tronconi.
Il troncone A, guidato da Ciaspolo e di cui, purtroppo, facevamo parte anche noi, procedeva indefesso fino alla sommità del colle B.
Il troncone B, agli ordini del Grande Capo C.T., si svaccava sul colle A.

Vogliamo qui, cogliere l’occasione per rendere nota una notizia che non ha avuto la rilevanza che, a nostro avviso, invece merita.
Il Grande Capo è a tutt’oggi l’unica guida CAI, in possesso dei requisiti per poter accompagnare comitive di ciechi e di ciaspolatori notturni sprovvisti di lampada frontale.
Attraverso un meccanismo ad altissimo contenuto tecnologico che non è stato reso noto, può essere rintracciato e seguito olfattivamente.
Dopo questo doveroso tributo al nostro Grande Capo, riprendiamo il racconto.

Raggiunta la sommità del colle B, da parte del troncone A, partivano saluti e fischi in direzione del colle A, dove pascolava il troncone B.
Il troncone B dal colle A rispondeva gaiamente riuscendo, nell’insieme, ad evocare le proporzioni della deriva umana. La Bea fotografava.

Passati questi momenti di fraterna e sincera commozione, e consumati gli orridi pasti, tra grugniti di soddisfazione e inni alla natura intonati da apparati digerenti affaticati, è iniziata la discesa.
Ora, il Ciaspolo, in un raro momento di lucidità, notava che il troncone B stava iniziando a scendere alla spicciolata per conto proprio, e non come da regola, aspettando il ricongiungimento con il rientrante troncone A.
Ciò deve aver fatto scattare, inaspettatamente, qualcosa in qualche piega o circonvoluzione del suo cervello.
Infatti, il nostro, con uno sguardo di lapidaria altezza, degno della tragedia greca, fissandoci negli occhi come i palombi fissano il fucile del sub, ha fatto notare a noi fortunati che potevamo ascoltarlo, che ciò poteva avvenire solo in caso di:
1) legge marziale,
2) conflitto termonucleare,
3) invasione aliena.
Subito dopo, in evidente stato di alterazione psichica, rantolando ha emesso questo:
Questa è una gita sociale. Mica una gita fra amici”, ripetendolo più volte anche rivolto ai larici, in una sorta di trance entero-mistica come non succedeva neanche all’oracolo di Delfi.

Ognuno è padrone delle proprie idee.
Ma se si sente l’urgenza di dirle di continuo, viene il sospetto che siano le idee ad essere padrone di lui.
In questo caso le idee si chiamano “fissazioni”.
Ora, qualcuno potrebbe obiettare che Ciaspolo, per noi, stia diventando un’ossessione.
E possiamo capirlo.
Ma sarebbe come accusare un lappone di essere ossessionato dalle renne.
Il lappone, magari alleverebbe anche pappagalli o danzerebbe tra le palme ai tropici.
Non è colpa sua se gli tocca occuparsi di renne.
Esistono cause ed effetti.
Noi siamo un effetto.
Lui è una causa.
Comunque, teniamo a sottolineare che qualunque idea gli passi per la mente, dall’imminente conquista di Plutone al prosciugamento del Lago di Garda con la carta assorbente, noi staremo ad ascoltarlo, considerando la straordinarietà quasi paranormale del suo avvento tra di noi.
Confidiamo per lui in un aiuto psicologico, magari passato dalla A.S.L., essendo la sua una malattia professionale, come furono la silicosi per i minatori e il mercurismo tra i tipografi.
Auspichiamo, però, che gli storici del CAI si occupino domani di ciò che oggi è ingiustamente sottratto al lavoro degli psichiatri.

Dopo la performance della Pizia con le ciaspe, noi siamo rimasti in attesa di notizie come le mamme con un figlio al fronte, mentre la Bea scattava qualche foto.
Consultate le viscere di un socio estratto a sorte, si è stabilito che la discesa procedesse con lo scopo secondario di ricongiungere i due tronconi (A e B) e con l’obiettivo primario di porre fine al refrain nevrotico “Questa è una gita sociale. Mica una gita fra amici”, così da salvaguardare l’incolumità fisica di Ciaspolo oramai in serio pericolo.
Egli, ignaro delle congiure sanguinarie ai suoi danni che si ordivano nell’ombra, ma anche sotto il sole, balzellava nella neve fresca, fornito di lente di ingrandimento, annunciando ora la scoperta di un cristallo di ghiaccio pliocenico, ora una traccia appartenente al mostro di Firenze, ora la prossima quaterna sulla ruota di Bari.
A volte, con un po’ di fortuna lo si può vedere, gratuitamente, predicare ai nanetti dei giardini.
In coda al gruppo, ciaspolatori flagellanti, lanciavano suppliche al dio delle Afonie Fulminanti.
Alla fine, i due gruppi (A e B) si sono ricongiunti casualmente a ridosso del Castello di Andraz, proseguendo poi uniti, fra canti e sghignazzi fino alla “Baita”.
Qui, dopo esserci rifocillati bellamente, e aver ridotto i bagni del folkloristico locale, dopo un paziente e minuzioso lavoro di ricostruzione storica, alle sembianze delle latrine di un accampamento Unno, gli sgombri si sono ordinatamente stratificati nel pullman per il viaggio di ritorno e la Bea ha scattato qualche foto.

Poco dopo la partenza, l’autista nell’intento di mettere in funzione la radio, ha spinto invece il pulsante “grill”.
Tra lo sfrigolio delle carni, vaghe raschiature di conversazioni andavano spegnendosi, mentre, dietro di noi, negli ultimi posti, si innescava una lotta estenuante dalla partenza all’arrivo, tra il testosterone e il rimmel.
Il tutto mentre si sonnecchiava e, per la temperatura, si sorrideva appena.
Ad un annuncio del Grande Capo di cui ricordiamo i passaggi salienti riguardanti su e giù, di qua e di là e la rava e la fava, è stata attribuita dall’intero torpedone, la stessa rilevanza della minima di Ankara.
Diciamo non pervenuta.
Mentre rosolavamo, abbiamo rivolto un ultimo pensiero a Ciaspolo chiedendoci in cuor nostro se non fosse meglio, per lui, dedicarsi a qualche attività mansueta e protetta, come il mosaico o la passamaneria, anziché consegnarsi ad un destino di psicofarmaci e di complessiva tristezza.
A metà cottura, pensavamo contenti, che il giorno successivo, dopo una gita CAI, è portatore di una dolcezza struggente e risanatrice, come una convalescenza dopo una lunga malattia infettiva.
Ed è questo, probabilmente, che ci fa apprezzare le gite.

L’ultima immagine impressa nelle nostre retine è quella del Grande Capo, addormentato e ormai abbrustolito nel sonno, bocca aperta, gambe a penzoloni, senza una scarpa.
Un’immagine che vorremmo consegnare ai posteri in tutta il suo pregnante significato.
La Bea fotografava.
E poi il buio.
Una bella gita... vamo là!


Bibì* & Bibò e Guay Col Fum,
*(in contatto telepatico)


Ferrara, gennaio 2009

P.S.
Vorremmo chiudere con un indovinello.
Guardando la cartina ed in particolare i cartelli stradali dislocati lungo il percorso, indovinate perché è stato multato il Grande Capo, tenendo conto che agli STOP si è sempre fermato.