Il Sergente nella neve ...per sempre

"Addio Sergentmaggiù", sei arrivato a baita

di Fabrizio Ardizzoni



Un cruccio mi assilla dal 16 giugno scorso.

In tre anni di adorato confino sull’Altipiano di Asiago non sono riuscito a mantenere l’auto promessa di andare a conoscere da vivo il figlio più illustre di questa terra: Mario Rigoni Stern, per tutti “il Sergente nella neve”.

Per riconciliarmi in parte con la coscienza decido che andrò a trovarlo da morto.

Così nel tardo pomeriggio di una calda giornata di agosto, prima che il sole faccia capolino oltre il frastagliato profilo del gruppo Carega - Pasubio, sono al cimitero di Asiago, per rendere omaggio, in perfetta solitudine, alla tomba del grande scrittore.

Non sapendo il luogo esatto della sepoltura, passo in rassegna tutti i mausolei e i cippi funerari delle grandi famiglie dell’Altopiano.

Nulla!

Sto per andarmene sconsolato quando in lontananza mi appare, quasi una visione mistica, una signora ricurva che cammina appoggiandosi ad un bastone, l’unica presenza animata all’interno del cimitero.

Mi affretto per raggiungerla: “Scusi signora, saprebbe indicarmi dov’è sepolto lo scrittore...”.

E lei, giocando d’anticipo: “Chi Mario?” (Così tutti qui chiamano il loro cantore).

Si proprio lui - replico un po’ imbarazzato - sa ho girato quasi tutto il cimitero, ho trovato tanti Rigoni, ma non Mario”.

Mi guarda, abbozza un sorriso e in stretto accento veneto: ”Al végna che de chi an se vèd nìa”.

Fatti pochi passi mi indica una zona appartata del cimitero, un campo comune con due filari di piccole croci in legno, stile Grande Guerra.

Questa volta in italiano, aggiunge: “Ecco vede là dove c’è quel grande girasole giallo, è finto però, quello è Mario”.

Infine, chiosando, in non so quale dialetto: “L’era ùmil da vivo el ghe rimasto ànca da mort”.

Non occorrono traduzioni, il messaggio è stato chiaro: “Se la grandezza di un uomo è direttamente proporzionale alla sua umiltà, Rigoni Stern è stato immenso!”.

La sua tomba, ove ve ne fosse stato bisogno, è l’ultimo tangibile segno.

Una semplice croce in legno di abete infissa in un cumulo di terra sassosa, perimetrata da assicelle pure in legno di abete, una piccola targa con inciso il nome e la fatidica data.

Ci sono poi tanti fiori portati anche da lontano da chi, come me, l’ha conosciuto solo attraverso i suoi libri; ai bordi numerose pietruzze di biancone calcareo con dediche, nomi e citazioni di frasi tratte dai suoi racconti.

Ci sono ritornato nel gennaio di quest’anno, dopo le abbondanti nevicate di un rigido inverno senza fine.

Ho incontrato il Sergente nella sua neve, quella di casa sua, lontana ma non dissimile probabilmente da quella della sacca del Don, nella quale il suo corpo riposerà in eterno.

Corre voce sull’Altopiano che il suo spirito invece sia volato in cielo sopra ad Asiago, materializzandosi in un asteroide che porta il suo nome, omaggio della scoperta fatta dai ricercatori dell’Osservatorio Astrofisico di cima Ekar, in una limpida notte di tredici anni fa.

Gli era stato assegnato il numero 12811, ora si chiama “Mario Rigoni Stern”.

Quando alla sera mi affaccio alla finestra del mio rifugio, nella silenziosa Albaredo, la prima cosa che faccio è guardare in alto, in quella direzione che mi è stata indicata.

Lo so che quel piccolo oggetto celeste non è visibile ad occhio nudo, ma la mia fantasia si fa telescopio e vedo sempre lassù un Grande Uomo dalla barba bianca.


Fabrizio Ardizzoni
Asiago, gennaio 2009