Bibì & Bibò and the ciaspoling days

ovvero

Ciaspolo davanti e di dietro tutti quanti

di Angelo Bolognesi e Michele Pifferi



Caro lettore, in questo racconto troverai debolezze della carne, trippe allo sbando, menti offuscate.
Che la pietà non ti sia di vergogna.

L’esodo avvenne il 13 gennaio.
Giorno in cui l’uragano Katrina, nel suo allegro peregrinare, ha fatto una capatina sulle Dolomiti. Schiantandole.
Alla notizia della avvenuta scomparsa del Passo Falzarego, nel pullman, saturo come al solito di odori mefitici, prevalse la commozione.
Superata con qualche difficoltà, la subitanea malinconia da andropausa, il direttore di gita, che non nomineremo, ma che è un noto testimonial di una rumorosa marca di fagioli, ha annunciato la variazione del programma, scatenando nei più una crisi di identità.
Tra grida di biasimo e invettive cosmiche all’indirizzo del governo, ha poi timidamente tentato, in un caos paragonabile per intensità al Big Bang, di proporre due percorsi alternativi, esponendosi inevitabilmente all’ingeneroso pernacchio del popolino (tipo noi).
Le mete alternative erano state professionalmente scelte tramite l’uso del pendolino sulla carta dei sentieri: Val di Travenanzes o rifugio Vallandro nei pressi di Carbonin.
La comitiva si è subito spaccata in due schieramenti, tipo guelfi contro ghibellini, o wagneriani contro verdiani, o tradizione contro avanguardia, o almeno interisti contro milanisti.
All’istante si sono scatenate le ardimentose valutazioni sui pro e i contro dell’una e dell’altra scelta, sui dislivelli e i tracciati, le condizioni meteo e lo stato della neve, la lunghezza del percorso e il pericolo di valanghe.
Alla fine delle faticose riflessioni, è uscita “croce” e siamo andati a Carbonin.

Ai nostri occhi un paesaggio dal respiro più che tolstoiano, neve a vagoni.
In un piccolo piazzale, di fronte all’imbocco del sentiero, si è radunata la legione fantozziana di insospettabili che di giorno feriale timbrano il cartellino e la domenica si travestono da Robocop della neve.
Uomini in evidente balia di forze superiori.
Si trattava di raggiungere il rifugio Vallandro, aperto e accogliente, sbranare qualcosa e rientrare.
Il programma aveva qualcosa di solenne e insieme di struggente, come le grandi utopie, che fanno sognare proprio perché sono irrealizzabili.
Guardando l’età media, un presagio orrifico aleggiava tra noi...
L’ambiziosa scelta è stata affrontata con una mestizia invincibile, scalfita solo dalle fuoriuscite in neve fresca di Ciaspolo e dalla speranza, andata delusa, che le tagliole piazzate fossero in numero sufficiente.
Dopo aver coperto, sotto la neve fioccante, un dislivello di circa 600 metri ed aver tumulato fra canti gregoriani, alcuni soci CAI dal 1800, giunti in vista del rifugio dal camino fumante, Borlotto, il capo gita, con espressione ingufita, ha deciso di invertire la marcia.
La dietrologia è immediatamente fiorita rigogliosa tra la truppa infreddolita.
Non sono mancati riferimenti alla massoneria e al Vaticano.
Si discuteva sul fatto che o il Capo è troppo avanti sui nostri mediocri tempi come Galileo o i Ramones oppure è troppo indietro come il re di Tonga o Nilla Pizzi.
Entrambe le ipotesi gli suggerirebbero un anno sabbatico per riflettere sull’incidente spazio-temporale che l’ha portato tra noi. Da parte nostra, teniamo a ricordare che in America esiste una vera e propria istituzione verbale che è il “no comment”, che è la sola maniera elegante e lecita per far capire che su una questione si preferisce glissare.
Quindi glissiamo, non prima però, di aver spedito il suo curriculum ai responsabili del casting di un porno zoofilo.
Abbiamo quindi girato i tacchi, tristi come birre analcoliche per non essere riusciti a lapidarlo. Correva più forte.
Tutti tristi tranne Ciaspolo che emetteva garruli jodel in mezzo alla neve fresca.
Ma, come si legge nei Proverbi (16-32) “Chi è lento nella collera vale più di un eroe”.
Tornati al pullman abbiamo ripreso i nostri posti con una speranza celata nel doppio fondo dell’anima: quella di poter tornare ad ascoltare il nostro neo-eletto per acclamazione sindaco di Lamòn, senza aggrapparci ai braccioli della poltrona.

Durante lo spostamento verso Asiago, dove siamo giunti alle prime luci di mezzogiorno del 27 gennaio, abbiamo tenuto una interessante tavola rotonda con le forze vive del popolo, compresi alcuni comboniani, qualche focolarino e diversi esponenti di “Sangue e Onore.
L’argomento era se l’attrazione irresistibile per la neve fresca possa essere una patologia individuale curabile in poche sedute, magari mutuabili, oppure sia rappresentativa di piccoli gruppi sociali e/o etnici, magari permanenze di remote culture celtiche che celebravano il solstizio d’inverno rincorrendosi per i pendii nevosi invasati ed ebbri.
Quando l’altoparlante diffuse, suadente, la voce di Ciaspolo, d’incanto fummo certi che la risposta l’avevamo tra noi. Bastava l’autopsia.
La melassa umana è dilagata sul piazzale gelato, abbastanza informe e slabbrata da sfuggire ad ogni classificazione. Sicuramente buona per una comparsata nel “Signore degli Anelli”.
La mèta del giorno era Cima Verena. 400 metri di dislivello e un vento che piallava le rughe.
Preparate le scorte di viveri, le cisterne d’acqua e i coltellini svizzeri in vista di una precaria sopravvivenza, ci siamo mossi come un sol uomo.
Tra la moltitudine spiccava il nostro web-master, che nel suo vivace transito terrestre, si è presentato agghindato con un cappellino come neanche il front-man di un gruppo heavy-metal che inghiotte topi vivi durante i concerti.
La moglie è riuscita a denunciarlo prima di svenire.
Denotando una concezione perlomeno difettosa del concetto di tolleranza, ma assetati di giustizia, abbiamo spedito una lettera di insulti firmata col suo nome al campione del mondo di wrestling in carica.
Fino al rifugio il nostro procedere è stato allietato da una leggera brezza in grado di spostare leggiadramente intere dune di neve.

Giunti a Cima Verena, abbiamo subito preso d’assalto i cessi, del rifugio, dando un chiaro esempio del “CAI Style”.
Ci riconoscerebbero ovunque, in Egitto, su Saturno o nella nebulosa di Gnaffe che, dicono, sia popolata da gnomi che sputano.
Il capo gita, il non meglio identificato “Cannellino”, dopo un coma visionario, ha stabilito che il ritorno sarebbe potuto avvenire scegliendo tra due (2) itinerari. Uno che seguiva il tracciato dell’andata, l’altro scendendo sulla pista nera battuta da un venticello che accatastava gli abeti nel fondovalle.
Si diceva una volta, prima della legge Basaglia, che ai pazzi non bisognava rispondere.
E’ un criterio rude e impietoso ma ci è sembrato l’unico adottabile.
Dunque: 1° gruppo: tutti meno uno. 2° gruppo: uno.
Parallelamente, Ciaspolo cercava di corrompere un gruppetto di giovani ninfette, inducendole a seguirlo nella neve fresca con imbarazzanti promesse di celestiali godimenti.

Un paio d’ore più tardi, la slavina umana si è abbattuta sul piazzale del parcheggio.
Neanche il tempo di una granita ed eravamo in pullman. Direzione Passo Giau. Arrivo previsto: 9 Febbraio, al crepuscolo. Un silenzio funebre, interrotto solo da pianti e lamenti, è calato tra noi. Poi il nulla.

Prima dell’arrivo a Pescùl (si, proprio con l’accento sulla “u”), il direttore di gita di cui nomineremo solo le prime lettere del nome: “Cias” e le ultime:“olo”, sempre per rispetto alla privacy, ha emesso quello che passerà alla storia come “l’Editto di Ciaspolo” nel quale annunciava che ci avrebbe seminato negli alberghi con la tecnica di lancio dei paracadutisti: uno qui... uno là... uno laggiù.
Alla fine, dopo aver inutilmente pregato gli Dei affinché fosse risucchiato sulla galassia di Gnork o, in seconda istanza, sprofondasse in una voragine mentre è in gita CAI a Pozzuoli, sono partiti cori di invettive nei suoi confronti.
E’ mancato solo il gavettone.
Promettiamo a tutti che gli sequestreremo il cane e lo libereremo sul retro di un ristorante cinese.
Eravamo in 50 e siamo finiti sparsi e lontani come coriandoli in agosto.
20 al Passo Staulanza, rifugio Staulanza, stanza Staulanza, piatto della sera: Staulanza.
4 in un igloo con un San Bernardo che ha subito chiesto asilo politico al vicino porcile.
5 a Pescùl, baita Lorenzini. Gradito l’abito scuro.
10 a Bormio che tanto non è distante.
5 nel bosco.
3 Moschettieri.
2 in camera con Roby.
I due in camera con Roby eravamo noi.
Si dà il caso che Roby sia un capodoglio di due tonnellate che vive nella piscina Comunale.

Ma di questo parleremo poi.
Spaesati e patiti dal fuso orario, il pullman ci ha vomitati davanti al rifugio Staulanza.
Entrati nel rifugio, ci hanno guardati come si guarda un nido di cimici da distruggere col flit.
Solo il tempo di indossare le armature da bravo ciaspolatore, ed eccoci catapultati sulle nevi nell’oscurità della sera.
Con in cuore una predisposizione d’animo da bicchierata sul lungomare, da giro in spider con il pulloverino sulle spalle, ci siamo incamminati allegri verso l’assideramento.
Dopo i primi passi sotto il cielo limpido, orfano di una luna assente ingiustificata, la processione di flagellanti procedeva lenta e penosa.

La luce delle frontali permetteva di individuare i primi dispersi.
Se dalle cime circostanti, lo Yeti ci ha visto, si sarà fatto un’idea di cosa può essere uno sciame di lucciole affette da turbe psichiche. Avrà scosso il testone, prima di ritirarsi a fare il bagnino in California.
Solo, in testa, il Grande Capo con un vantaggio di 1’ e 20” sul gruppo che si teneva a distanza di sicurezza dal suo vigoroso metabolismo. Il silenzio ci avvolgeva, non si sentiva neanche Radio Maria.
Giunti su di un candido pianoro, perla immacolata racchiusa nello scrigno dei monti, nel baluginìo di mille stelle accese abbiamo ripassato, ognuno in cuor suo, quel centinaio di ragioni che fanno dell’uomo una miserabile, presuntuosa cacca. Metaforicamente parlando.

Il nostro web-master, sconvolto da tanta bellezza, ha gettato con disprezzo le sigarette, accendendosi un bastoncino. E fumandolo. Senza filtro. Un bel momento.
D’un tratto, un raptus motorio, ha colto Bibì e Roby.
Il cetaceo era provvisto di una lampada frontale che, nei casi di emergenza, sostituisce il faro di Portogaribaldi.
La lampada veniva alimentata da una minuscola batteria, copia esatta di quella che giace in fondo all’oceano e che dava corrente al Titanic.
Il grazioso accumulatore trovava sistemazione all’interno dello zainetto del mammifero acquatico.
Due cavi dell’alta tensione collegavano la batteria alla lampada passando sulle sue orecchie. Ripugnante.
I due si sono inerpicati su di un ripido pendio, facendosi inghiottire dal buio. Le ricerche sono state sospese prima di essere avviate. Ci trovavamo in un luogo meraviglioso in una notte meravigliosa.
Di fronte a noi il Nuvolau e l’Averau; dietro l’Averau e il Nuvolau; a destra l’Averau e a sinistra il Nuvolau.
Che spettacolo !!

L’incantesimo è stato rotto dal Capo che, raccogliendo le dita da terra e muovendo a fatica la mandibola congelata, ha sentenziato che era giunto il momento di ritrovare uniti la via del ritorno.
Formidabilmente compattati dai sentimenti di obbedienza e di ossequio alle gerarchie, ognuno si è messo in moto nella direzione preferita, con la tanto recondita quanto inespressa speranza di ritrovarci, un giorno, al pullman.
Il percorso scelto da Ciaspolo, ovviamente in neve fresca, era evidenziato da una rugosità di superficie, simile a quella creata dalle talpe nei giardini. Il fenomeno andrà studiato. Forse.
Una famiglia di increduli è uscita sul balcone di casa per assistere al passaggio della colonna infame che ricordava per drammaticità le ritirate durante la campagna di Russia.
Le donne, commosse, coprivano gli occhi ai bambini. A guardarci veniva il magone.
Ognuno reagisce ai traumi della vita come sa e come può.
La nostra truppa allo sbando, una colorita corte dei miracoli, lo fa, generalmente, scaraventandosi a cena, travolgendo ogni cosa e inneggiando alla “magnata”.
E’ penoso, ma non è poi così grave. Fa parte delle patologie di nicchia, come i satanisti e gli avvistatori di UFO.
Sbranata la cena con fibrillante entusiasmo, un sussulto di decenza ci ha fatto signorilmente rinunciare, dopo litri di grappe e vari altri diabolici intrugli, all’ammazzacaffè.
Poi, dopo quattro chiacchiere intervallate dall’abbassarsi frequente e incontrollabile delle palpebre, abbiamo guadagnato le camere.
Noi + Roby ci siamo sistemati ognuno nel rispettivo sarcofago e, non appena spente le luci, un impercettibile, soave e delicato respiro si è sparso per l’aria scura.
Neanche la scena delle bighe di “Ben Hur” riesce a produrre la mole di suono che è uscita dalla bocca del capodoglio. Pensiamo che, per l’occasione, si sia fatto doppiare da un reattore.
Durante la notte, visti gli inutili tentativi di rianimarlo, abbiamo pensato di manomettere l’impianto idraulico del bagno, in modo che l’acqua di scarico del cesso scendesse, l’indomani dalla doccia.
Così che si potesse lavare adeguatamente.
Le prime luci dell’alba ci hanno visto giurare solennemente sulla tessera CAI che, alla prima occasione, gli avremo collegato la frontale ad una centrale nucleare rumena.

Con il sole alto, dopo aver raccolto i gitanti sparsi ai quattro venti abbiamo scollinato il Giau, percorso qualche tornante a scendere e poi, siamo stati sputati fuori dal pullman in curva.
Ognuno con lo stretto necessario per la propria sopravvivenza.
Si preannunciava una giornata splendida, si poteva andare tranquillamente incontro alla morte.
Con il sole in fronte.
Dopo un primo tratto in ombra, durante il quale siamo stati seguiti a distanza da un furgone della Findus, il sole ci ha accompagnato fino alla forcella tra le raccomandazioni e i consigli di Ciaspolo.
Questi spaziavano dal modo giusto di procedere, alla lunghezza dei bastoncini; dall’uso del dopobarba, alla ricetta dell’Amatriciana; dalla tettonica a zolle, allo schematismo trascendentale Kantiano.
Ha continuato così fino a divenire la dimostrazione semplificata e viva della dialettica hegeliana e poi marxista secondo la quale una volta enunciata la tesi (è fatto così) e l’antitesi (no, lo è diventato dopo aver contratto una terribile malattia tropicale), si deve arrivare alla sintesi che è frutto di entrambe.
Ora, la sintesi secondo noi, è che in ogni caso, la pazienza è come un vestito stretto che prima o poi si lacera.
Magari all’altezza del cavallo.
Dato però che i nostri genitori ci hanno insegnato che non si interrompe chi sta parlando, così come non si lecca il piatto e non ci si scaccola in pubblico, non abbiamo replicato, sicuri che presto qualche divinità terribile in fase creativa avrebbe accolto le nostre suppliche.

Valicata la forcella siamo discesi verso il laghetto di Mondeval, ovviamente coperto di neve, trote comprese.
Lì abbiamo consumato un veloce e frugale spuntino, durante il quale abbiamo potuto ammirare Bibì e Guay col Fum esibirsi in un’arrampicata di due metri su di un masso con evidenti problemi di solitudine, stabilendo la 1° invernale da parte di due involuti psichici tra gli oooohh !! del pubblico nauseato.
Ma gli spettacoli non erano finiti.
Abbiamo assistito in diretta esclusiva alla defecatio da parte della controfigura di Ralph Malph.
Questa è avvenuta in un immacolato piano nevoso, baciato dal sole, al cospetto di torri di roccia che, dando prova di grande dignità e saggezza, non si sono scomposte, ignorandolo.
Pochi gli spettatori paganti, terreno in perfette condizioni, arbitrava il signor Lo Bello da Siracusa.

Sosteneva Nostradamus che il mondo sarebbe finito con l’elezione di un Papa nero.
No. Vedere in uno scenario candido un bipede appartenente alla specie Homo Sapiens che depone una merda (scusate il francesismo), sarà il vero segnale. Sicuro.
La visione rimarrà per sempre nei cuori di quanti, come noi, hanno avuto la fortuna di assistere all’evento.
Potremo dire: quel giorno c’ero anch’io.
Con quella delicata immagine incrostata sulle retine, è iniziato il rientro, avvenuto dipingendo tra le crode innevate un affresco popolare di vigoroso cromatismo e sonorità da licantropi.
Sembrava filasse incredibilmente tutto liscio quando Ciaspolo (ancora lui) si è bloccato.
Con lo sguardo porcellanoso e fisso che hanno anche le bambole assassine nei film di serie C, ha cominciato a spiegare come si doveva scendere procedendo nella neve fresca, ad uno sparuto pubblico quaresimale e afflitto che lo guardava attonito.

Passava poi alla dimostrazione pratica lanciandosi all’impazzata da un dirupo.
Quella brillante epifania di fervido attivismo ci lasciava sgomenti.
Avevamo ancora le mandibole dondolanti e la lingua a penzoloni, quando abbiamo visto le sue ciaspe stagliarsi nitide contro il cielo terso mentre il resto sprofondava nella neve rovinosamente.
Sono stati alcuni minuti di autentico godimento estetico.
Un soffio di gioia, qualcosa di gozzaniano, che intenerisce e, insieme, strugge.
A prescindere, come direbbe Totò.
Le ricerche sono iniziate con il ritardo di legge. Praticamente a esequie avvenute.
Un hip hip urrà! alla memoria ha salutato la ripresa della marcia.
Scendendo nel bosco, alcuni di noi scivolando felici, rimbalzavano sugli abeti come palline in un flipper.

Ondeggiando così, distrattamente, siamo ritornati sulla statale quasi tutti.
Abbiamo atteso il pullman rincantucciati in un’ansa ai margini della strada, all’imbrunire, come emigrati che nei giardinetti di una città sconosciuta scrivono cartoline alla fidanzata e sospirano per lo spaesamento.
Un prevedibile rigurgito di nostalgia di casa.
Riaccatastate le nostre povere attrezzature ci siamo trasferiti al Passo Giau per un ultimo tentativo di riprendere sembianze umane in un sussulto di decenza.
Entrati nel rifugio, speravamo di imbatterci in qualche gallina prussiana in costume ampezzano, autentica perla di folclore come i negretti nel tucul, i fachiri sui chiodi e i pellerossa che fanno augh!
Invece niente. In mezzo a una autentica bolgia da stadio, due bariste gentili come gorilla in gabbia, ci hanno servito tra i grugniti l’ettolitro di birra che ci passa la mutua.
Dopo il rutto che ne è seguito e che è stato accolto con grida di giubilo e fuochi d’artifizio ad Agordo, siamo passati ai cerimoniali di fine gita: una corsa nei sacchi e una bella castagnata, poi tutti sul pullman.
Alla guida il nuovo autista che salutiamo caramente.
Uno stunt-man di Hollywood che ha raggiunto il limite invalicabile di frontali con ogni mezzo di locomozione.
Gli manca il pullman.

Vogliamo ricordare e ringraziare tutti quanti ci hanno dato spunto, volontariamente e no per le nostre riflessioni.

Tra questi:
Bimona & the ICE QUARTET;
E(s)lisa che sta ancora rimbalzando tra gli abeti;
Due sorelle che per partecipare alla gita hanno temporaneamente abbandonato il set della famiglia Addams;
Wilma De Angelis che guardava i bastoncini con l’aria di chi pensa che potrebbero servire per infilarci un porcetto;
Bea che ne è stata convinta immediatamente;
Ralph Malph cui doneremo un water liofilizzato per le emergenze;
Roby cui, da ora in poi, lanceremo solo dei calamari di plastica.

Alla fin fine, che dire…? Una bella gita!
GOMO THERE! (Vamo là!)


Bibì & Bibò
Gennaio e febbraio 2008


Per la preziosa collaborazione nel fornire le immagini a corredo del testo la Redazione ringrazia:

Beatrice Bonilauri
Leonardo Caselli
Stefano Fogli
Giovanni Mari