Bibì e Bibò e la Setta dei Monoditisti
di Angelo Bolognesi e Michele Pifferi
Era una notte buia e tempestosa.
Seduti ad un lurido tavolo di un lurido rifugio di una luridissima montagna, stavamo tracannando un lurido chinotto liscio, quando sentimmo nominare la “Setta dei Monoditisti”.
Quel nome uscì, in compagnia di altri rumori, prove inoppugnabili di una digestione in corso d’opera, dalle luride bocche di due strani esseri che, seduti in fondo alla lurida bettola, riuscivamo a scorgere a malapena, galleggianti nel fumo.
Si parlavano fitti, frasi concitate, sguardi duri, occhi negli occhi.
Di tanto in tanto, sbirciavano circospetti quanto avveniva attorno a loro, grattandosi la sommità del capo.
Quando ebbero esaurito il casco di banane, si spidocchiarono a vicenda, smontarono la sosta, staccarono i rinvii e guadagnarono l'uscio.
Sul loro tavolo, qualcosa brillava tra le bucce di banana e i gusci delle noccioline.
Era una tesserina magnetica, recante la scritta "Monodito".
L'occasione era ghiotta, e non ce la facemmo scappare.
Negli ambienti della Corrente Ortodossa si sentiva a malapena nominare questa setta di Eretici.
Le poche frasi captate erano sempre accompagnate da espressioni che solitamente si possono notare sui volti di chi guarda una pozza di vomito nella Hall di un Hotel a cinque stelle.
Non sapevamo chi fossero e, soprattutto, cosa fossero; se esistessero veramente o se fossero frutto di una fervida immaginazione. Realtà o fantasia; Dumas o “I Tre Moschettoni”?
Era giunto il momento di fare luce.
All’istante decidemmo di dare inizio alle indagini.
Fischiettando "Jeeg Robot" uscimmo dal lupanare e ci dileguammo nelle tenebre.
Veloci ed efficienti come una banda di impiegati del catasto, in capo ad un pugno di anni, riuscimmo ad individuare il Tempio dove la Setta si riuniva.
Tracce di magnesite sulla maniglia della porta, residui di noci di cocco rinvenuti ispezionando i cassonetti e, soprattutto, le indicazioni di un vigile urbano, fugarono ogni dubbio.
Approfondendo ulteriormente le indagini, parve evidente come quella ubicazione non fosse affatto casuale.
La fedele e rigorosa applicazione delle teorie degli Astronomi Assiri e Caldei, durante una gara di grappe, ci rivelò che il Tempio giaceva sulla linea ideale che congiunge la Porcilaia di Bonatti con la Turca di Manolo. Bingo!
Come se non bastasse, l’ingresso è uno, come le Tofane, le vetrate sono due, come le Cime di Lavaredo, e le luci al neon sono quattro come le Torri di Vajolet. Elementare.
Quella costruzione era un anagramma di un indovinello dentro ad un rebus.
Ma col Manuale delle Giovani Marmotte, niente sarebbe stato impossibile.
Una sera, seduti al "Bibì & Bibò Tavolo", nel "Bibì & Bibò Covo", di fronte a questi dati inoppugnabili, ci guardammo negli occhi, buttammo giù d'un fiato una potente cedrata "on the rocks", e decidemmo che era giunto il momento di andare a fare una visitina…
Parcheggiammo la "Bibì & Bibò Mobile" nell'oscurità e ci avvicinammo all'ingresso, travestiti da Friends.
Facemmo scorrere la tesserina nell’apposita fessura e la porta fece "clac".
Non lo sapevamo, ma stavamo per varcare il confine dell’inumano.
Entrammo e ci mescolammo agli strani esseri che si trovavano all'interno e che saltellavano attorno ad una grande impalcatura centrale rivestita di legno; la “Torre con l’Acne”.
Liane penzolanti nel vuoto, accoglievano Primati che sbucavano da ogni dove.
Mentre osservavamo attenti, un interrogativo fece capolino nelle nostre brillanti menti: eravamo finiti nel pied-a terre di Tarzan o in un carrozzone del Circo Togni?
Stavamo discutendo amabilmente queste due tesi, quando ci accorgemmo che la nostra presenza non era passata inosservata.
Forse il blazer blu poteva, inspiegabilmente, aver interferito nella nostra opera di mimetizzazione? Chi può dirlo.
Infatti, poco dopo, con finta indifferenza, un Lemure si avvicinò a noi, così disposto:
A) Canottiera in lamè di gore-tex visonato con climatizzatore, affinché l’incauta goccia di sudore si potesse sentire come la particella di sodio.
B) Pantacollant di ciniglia di Tungsteno con tasche di Eternit e rinforzi in Alluminio Anodizzato. A Pitti-Climb ha sfilato un capo con fodera in Amianto per comode arrampicate in vulcano.
C) Imbrago in Pizzo di Kevlar munito di porta rinvii, porta cellulare, porta parabola, porta Romana bella, porta sfiga, porta a porta, porta voce e porta ombrello. Quest’ultimo consigliato per le arrampicate oltre Manica. Sul davanti, frecce lampeggianti, indicano in tempo reale, nei maschietti, la posizione della marmitta.
D) Scarpette Salamandrate N°15, storico bottino di un furto al Museo Permanente “Ken e Barbie Forever”.
Scannerizzammo il lemure e i suoi dati finirono nel “Bibì & Bibò Micro-Computer”che, pur scarso a gasolio, fece il suo dovere e ci rivelò l’altissima probabilità di trovarci di fronte a Rigoletto.
Dimostrando la nostra proverbiale dose di sangue freddo, esibimmo allora la nostra tessera di appartenenza alla Corrente Ortodossa, svelando così la nostra identità.
Un sorriso beffardo fece la comparsa sul volto del Lemure che, malgrado il disgusto, vinse la naturale tendenza a risolvere il problema con le armi e ci permise di assistere al Rito che stava per iniziare.
Le luci si attenuarono, i Primati si accovacciarono e il silenzio calò su di noi.
Da una porta, illuminata da un riflettore, apparve una creatura che camminando, inciampava nelle mani.
Sapeva di tappo. Sulla maglietta campeggiava una scritta: “Gibbone Antropomorfo di Genesi Oscura”.
Per comodità noi abbrevieremo in G.A.G.O.
Il Gibbone si è esibito in una performance che ha spedito il pubblico direttamente al delirio.
Ha eseguito, arrampicando, il Giro della Morte, infilando le dita anche nelle prese di corrente.
Un “OLÈ” degli spettatori, scandiva ogni scarica.
Una prestazione illuminante. A lui, in segno di riconoscenza, il pubblico ha simpaticamente offerto dei datteri tirandoglieli ad uno ad uno con la fionda. Un bel momento. Qualche lacrima e molti accendini accesi nel buio.
Poi, schivo, il G.A.G.O. è tornato a balzelloni a Lumignano, dove si possono trovare i suoi escrementi a ridosso del muro dell’Asino, non volendo esso contaminare il suo giaciglio nella Grotta della pancia Casarotto.
Ah, l’evoluzione, che processo affascinante! Ma bando ai sentimentalismi.
Dopo di lui, ha fatto il suo ingresso Helly Ghelly, un Babbuino Padano che è solito accompagnare la sua esibizione alle note dell’indimenticabile ever-green di Edoardo Vianello.
Tra l’incredulità entusiastica degli astanti, è:
1) risalito per la parete “C.T.M.F.U.P.” (Cerro Torre Mi Fai Una Pippa), attraversato il tetto in direzione sopra-sotto, davanti-dietro, destra-sinistra, dentro-fuori, smarrendosi diverse volte ma ritrovando sempre la retta via;
2) andato al K2 a prendere un gelato cioccolato e croccantino;
3) reclamato perché era piccolo;
4) fatto il giro delle Mura;
5) un pano alla Cantinetta;
6) un calice da Giori;
7) ritornato su uno Skateboard con le ruote saldate.
Il tutto con una lavatrice attaccata al culo. Carica. Alla fine il pubblico, incontenibile, gli ha steso il bucato.
Ovazioni, tripudio e qualche svenimento, per l’emozione, di alcune Bertucce di buona famiglia.
Un rullo di tamburi ha preceduto l’entrata di Sua Altezza Reale. Il risultato di una fusione avvenuta in laboratorio, tra un Caprone dell’Aspromonte e un Orango Coreano, chiusi assieme in un frullatore genetico.
Il prodotto è lui: KI-KO-SKU-CHI. L’unico Orango con la coppola.
Sotto l’incitamento della folla estasiata, ha riproposto il suo numero più celebre: l’arrampicata di spalle, conservando una sana diffidenza verso ciò che viene dal di dietro. A furor di popolo, ha concesso un assaggio del suo pezzo forte. Ha spittato la parete a colpi di lupara.
Il pubblico, incontentabile e sempre più esigente, è stato definitivamente conquistato quando, con accattivante disinvoltura, in un passaggio 9+, ha creato uno Scoopy-Doo con la corda, dando una brillante dimostrazione di cosa si possa fare disponendo di alluci opponibili. Per chiudere il suo numero, il KI-KO, ha danzato per un’ora su una parete strapiombante mentre, chi gli faceva sicura, impercettibilmente affaticato, è stato tenuto in vita con flebo, respirazione artificiale e granchi nelle mutande.
L’Orango è poi uscito tra due ali di folla che lo acclamavano al grido di “Santo Subito”.
A questo punto, dobbiamo confessare che anche chi vi scrive, è stato contagiato dall’esaltazione generale.
Constatando che, nel frattempo, una folta peluria ci stava crescendo sul corpo, abbiamo iniziato a dondolarci con le liane. Saltando sulle zampe posteriori e battendoci il petto con quelle anteriori, o viceversa, abbiamo reso onore a KI-KO-SKU-CHI, l’Orango calabro-coreano e a tutto il serraglio di bestiacce affabili e simpatiche.
Ci avevano conquistato. Lo ammettemmo, tra una banana e l’altra, spidocchiandoci allegramente.
Al verbo di questa setta eretica, non restammo insensibili.
Da allora la nostra presenza si fece più frequente.
Vogliamo cogliere l’occasione per ringraziarli per la loro disponibilità, promettendo loro, se smetteranno di infilarsi le dita nel naso, che i pochi sopravvissuti, potranno passare una serena vecchiaia nella casa di riposo “L’Arca di Noè”. Banane e Front-Line a gogò!
Tornando, per concludere, a quella sera, ci è doveroso ricordare che, in quel clima da orgia Dionisiaca, si è poi esibito l’ultimo esemplare. Non lo abbiamo visto bene, ma pareva un quadrupede di pelo chiaro, avanti con gli anni.
Pare che la sua specialità consista nella arrampicata in apnea.
La scienza ufficiale non si è ancora pronunciata in merito, ma sembra respiri da un altro orifizio.
Per quanto abbiamo potuto constatare personalmente, la fase inspiratoria non rappresenta una sua pe-cul-iarità. Sulla fase espiratoria, invece, rimane un’autorità indiscussa. Garantito.
Alla fine, tra il giubilo, uno spettacolo pirotecnico indoor ha concluso le celebrazioni.
E quindi uscimmo a riveder le stelle. Vamo là!
Bibì & Bibò
Gennaio 2007