Epomeo: un monte in mezzo al mare
di Rita Vassalli
Fino a qualche anno fa non avrei mai pensato di trovarmi in vacanza al mare e avvertire, già dopo soli tre giorni, “crisi di astinenza da montagna”.
Ho sempre adorato il mare, imparando a nuotare da piccolina e trasmettendo questo amore nell’insegnamento del nuoto fin quasi a trent’anni.
Si racconta, fanno fede foto dell’epoca rigorosamente in bianco e nero, che amassi anche nelle giornate più grigie o in bassa stagione, starmene spesso in acqua. Io e i tedeschi quasi sempre unici bagnanti in quelle giornate dove il grigiore del cielo si riflette in quello ben più scuro dell’acqua.
Poi si sa, il tempo passa, molte cose cambiano. La ricerca sempre più pressante di quiete, di pace che evidentemente non trovavo più in quell’ambiente che mi era stato sempre congeniale, mi ha fatto ripescare ricordi legati alla montagna. Precisamente quando, durante le vacanze estive, il nonno voleva mi sedessi accanto a lui al tramonto ad ammirare il Civetta in quel di Alleghe. A volte si parlava, a volte si taceva, ma effettivamente lì ho iniziato ad apprezzare quanta pace può derivare da ciò che ti circonda.
Una pace capace di amalgamarsi con qualsiasi lotta interiore, sedando anche la più caparbia.
E così, tra luglio e agosto di quest’anno, mi ritrovo in vacanza a S. Angelo d’Ischia. Splendido borgo sfuggito all’edificazione non propriamente controllata, dalle casine rosa e bianche abbarbicate come ostriche alla collina e dove, soprattutto, sono bandite le auto. Nonostante tutte le caratteristiche proprie di un’oasi di pace, come detto poc’anzi sento dopo pochi giorni, la necessità di ritrovarmi a camminare tra i monti che in questa stagione assumono spesso i contorni azzurrini come il cielo in cui si stagliano e ho voglia di riempirmi gli occhi del verde che sembra a sua volta riflettersi verso l’alto. Ogni stagione ha i suoi colori e ogni gradazione di colore, ogni tonalità evoca ricordi e sensazioni diverse. La montagna ne è la tavolozza più ricca.
“Magari all’agenzia per il turismo trovo pure personale esperto per arrampicare un po’, vuoi proprio non ci sia neppure una falesia?”
E’ una solare e trapiantata isolana di origine russa che la domenica, presso l’agenzia, mi fornisce il depliant delle escursioni. Sono ben quattro, tutte guidate da esperto geologo. Senza tentennare vedo subito quella che fa per me: Monte Epomeo - 7 ore comprensive di sosta in cima - da effettuare il martedì.
Naturalmente mi iscrivo e mi accordo di verificarne l’effettuazione che prescinde da un minimo di partecipanti.
Ahimè, è con aria navigata che la gioviale signora mi comunica il lunedì sera che, pur essendo l’Epomeo tappa obbligata per i turisti, così riportano le guide, sono l’unica iscritta. Comprensiva mi dice che la gente viene al mare per stare al mare, che con questo caldo nessuno pensa ad andare a camminare sotto al sole. Giusto in bassa stagione, i tedeschi… Ancora una volta io e i tedeschi! Non mi stanno neppure particolarmente simpatici, ma ci si è messa anche madre natura accomunandomi a loro per alcune caratteristiche fisiche.
Non mi perdo d’animo e decido di affrontare l’escursione da sola. Sarà la mia prima cima in solitaria!
Purtroppo non si trovano cartine del percorso e l’unica cosa che so è che la salita vera e propria parte dal comune di Fontana, a circa 400 metri di altezza, e si sviluppa per 3 km.
Il Monte Epomeo è la cima più alta dell’isola d’Ischia e raggiunge i 789m. Così, giusto per aumentare il dislivello e la percorrenza, decido di portarmi con il bus al comune di Serrara, quello che precede Fontana, ripromettendomi che, se tutto avesse filato liscio, il ritorno l’avrei compiuto interamente a piedi.
Il bus è affollato, per fortuna io sono salita al capolinea. Signore con borse della spesa, passeggeri con valigie, persone di ogni età ed una miriade di salvagenti e braccioli colorati che rende il tutto un carrozzone allegramente variopinto. Lasciata la costa meridionale per inerpicarsi all’interno, a poco a poco l’automezzo si spopola.
Sono seduta di fronte ad un anziano signore dall’aspetto originale. Secco secco, con la pelle avvizzita dal sole come da bravo autoctono che si rispetti, sfoggia un foulard dai colori sgargianti al collo, un basco portato sulle ventitre e un bastone da passeggio dall’impugnatura raffigurante una testa d’aquila. Canticchia e scherzosamente sembra cantare per me. Vede che osservo il suo bastone e mi dice che l’ha inciso lui. E così iniziamo a parlare. Vengo a sapere che ha ottantadue anni, che è miniaturista, che ha dieci figli e i nipoti manco li ricorda tutti.
Accompagna la notizia dei figli con un’ostentazione di virilità postuma che esibisce anche nel mostrarmi i suoi bicipiti, sollecitandomi a tastarglieli. E benché fossero visibilmente più grossi i miei, l’esaudisco complimentandomi con lui. Scende anche lui nel comune di Serrara, pochi passi ancora insieme e poi procedo sola per strada carreggiabile. Arrivata nel comune di Fontana, facilmente trovo nella piazza il cartello marrone con l’indicazione Monte Epomeo.
Da lì inizia la salita vera e propria che fino a qualche anno fa veniva effettuata servendosi dei muli.
C’è pure un cartello dove riesco a reperire finalmente qualche notizia sul rilievo.
Imbocco un vialetto asfaltato e mi sto allontanando dal paese quando mi affianca un ragazzino che porta due grosse sporte della spesa. “A signò, che andate all’Epomeo? Bella giornata avete scelto... non troppo caldo... poco sole... eh, però tiene un poco di foschia...”
Avrà dieci undici anni e parla come un uomo vissuto. Si è seduto sui gradini di quella che presumo sia la sua casa continuando a chiacchierare, ci manca solo che estragga una sigaretta per gustarsi quel momento di piacevole, e forse per lui naturale, scambio. E così parliamo del tempo, della festa del paese che sarebbe iniziata con la processione la sera stessa e di tutto quello che avrei ammirato dalla cima del monte.
Fino in cima non incontrerò più nessuno sulla mia strada, come del resto le indicazioni. Ora posso affermare che raggiungere il monte è molto semplice, ma quando ho imboccato quel primo sentiero tortuoso, poco curato, immerso tra cespugli di macchia mediterranea, acacie e faggi, sinceramente una vegetazione molto rigogliosa che lo rendeva poco transitabile, ho temuto di aver sbagliato via e una leggera inquietudine mi ha assalito. Per fortuna dopo non molto mi sono riallacciata ad un brevissimo tratto asfaltato che portava al tratto più impegnativo della salita.
Infatti, in corrispondenza di questo c’è un negozietto che, ho saputo al ritorno, offre in prestito agli escursionisti bastoni d’appoggio per affrontarne la fatica.
Tra pendici, margini di valloni, selve e colli la vegetazione sul fianco che sto salendo si dirada sempre più e mi ritrovo ad inerpicarmi in canali scavati nel tufo. Il paesaggio è suggestivo. La roccia giallognola e liscia percorsa da lunghi canaloni lo rende surreale. Come se la grossa mano di un gigante si fosse trattenuta al magma per non scivolare in mare e ne avesse lasciato indelebili solchi. Complice di questa immagine fantastica la leggenda del Titano Tifeo, personificazione del vulcanesimo, imprigionato da Zeus nelle viscere dell’Epomeo, spargendo le sue membra per tutta l’isola. Salgo e percorro questa zolla di crosta terrestre che non è propriamente un vulcano, in quanto manca di cratere, ma è massa magmatica “vomitata” da un bacino vulcanico esistente sotto la piattaforma continentale dei Campi Flegrei.
Arrivo in breve a 50 metri dalla cima dove, non poteva mancare, un caratteristico bar/ristorante e sento una ragazza che informa un turista che il locale lavora molto di sera. Le notti di plenilunio poi è meglio prenotare.
Naturalmente per raggiungerlo bisogna essere muniti di torce.
Pochi metri e già il panorama che mi si offre sembra notevole. Pochi passi in aderenza e “mi arrampico” sul punto centrale del punto più alto del monte. Una torretta scavata nella roccia di circa 5 metri di larghezza. E dalla sommità di questo monte non c’è lato in cui mi giri che non mi affascini. A Est si intravede Napoli, con la sagoma del Vesuvio e più giù la penisola Sorrentina. Domino l’intera isola di Ischia, che si adagia ai piedi di questo monte.
Riesco a scorgere, sì, perché un po’ di foschia c’è, le isole di Procida, Capri e Ventotene.
Anche ogni fianco del monte è vario.
Da quello scosceso con piantagioni, a quello collinoso con pochissima vegetazione, a quello che parte dal mare con dolce pendenza per poi inclinarsi verso la cima o l’altro che ne è l’esatto contrario.
Mi siedo in questa torre naturale e mi prende una gran voglia di scrivere, quasi di meditare.
Leggerò poi in seguito una frase del poeta Lamartine a proposito dell’Epomeo che condividerò pienamente “...luogo paradisiaco dove l’anima s’innalza... che nessuna penna potrà riprodurre, dove si vive l’aria di un altro mondo”.
Il luogo dove mi trovo è molto ventilato, ma da previdente escursionista ho di che coprirmi e questo mi permette di restare, non come gli unici turisti che sopraggiungono, che scattate alcune foto devono scappare via infreddoliti.
Mi beo di quell’aria un po’ mistica, un po’ ascetica, sarà complice forse di questa sensazione la presenza sul monte dell’ex eremo di S. Nicola e di una chiesa già esistente nel Quattrocento.
Non so con precisione quanto mi sono fermata là in cima, ma è con passo tranquillo e pace interiore che poi percorrerò a piedi i circa 14 km che mi riporteranno a S. Angelo.
Mi sento appagata. So che la cima salita è ben poca cosa ma è stata la mia prima in solitaria.
E poi, quale miglior iniziazione per chi, come me, ha coltivato due grandi amori: una passione giovanile per il mare ed ora la montagna, l’amore che spero invecchierà con me.
Rita Vassalli
Agosto 2006