intraisass ...intraigiarùn
di Gabriele Villa
...”Quante cose ci raccontiamo tra i sassi, seduti in un gelido bivacco, dove le parole sono il nostro unico fuoco, o all’ombra di secolari foreste, in cui il vecchio o l’amico raduna giovani, compagni, per svelare timidamente le sue grandi avventure. Cultura in massimo grado: l’esperienza dell’altro che si travasa nel mio cuore per andare oltre i confini del vecchio, amico, compagno, maestro.
Ciò è la ragione del racconto, che trasmette esperienza, diventa cultura.”...
Così scriveva Alberto Peruffo ne “Il volo dell’editore”, racconto di apertura e presentazione di Intraisass1, pregevole volume di racconti tratti dall’omonimo sito web da lui gestito.
Un “passaggio” illuminante che dà una descrizione acuta e pertinente (e pure carica di delicata poesia) di un’azione tra le più semplici e istintive che un uomo possa compiere: raccontare.
Ma raccontare è facile e naturale quando è conseguenza del fatto stesso di essere in uno stato d’animo particolare e in un determinato luogo: intra i sass, appunto.
Quando il nostro amico Franz, affascinato dal progetto di quel sito web, vi si ispirò, pensò certamente ad una semplice equivalenza: montagna sta a sass, come pianura sta a giarùn.
Fu logico, allora, far nascere Intraigiarùn, con lo stesso scopo, uno spazio web nel quale poter raccontare.
Da quel momento sono trascorsi oramai cinque anni, nei quali tanti di noi hanno raccontato: piccole storie, riflessioni, ricordi di arrampicate, sentimenti, improvvisandosi narratori e poeti, pur nella consapevolezza di non essere né l’uno, né l’altro. Nel frattempo lo scrivere ci ha confortato, fatti conoscere meglio, scoprire sensibilità inaspettate ed ha stimolato la riflessione, forse anche condotto ad una maggiore consapevolezza di noi stessi.
Nella civiltà dell’immagine, esercitandoci a scrivere, noi siamo andati controcorrente, come salmoni spinti da un istinto primordiale, seguendo la strada indicata da Peruffo.
intraisass ...intraigiarùn
Mi è capitato di pensare più volte, a questa nostra avventura mediatica.
Ho considerato che se i sass sono il risultato logico e conseguente dello sgretolamento di quei monumenti naturali che sono le montagne; se sono precipitati a valle nel corso dei secoli per diventare parte integrante del territorio, elemento distintivo e caratterizzante, i giarùn, invece no.
Loro non hanno nulla a che vedere con il paesaggio e la storia geologica della pianura padana.
Vi si trovano, più semplicemente, perché qualcuno ve li ha trasportati due secoli fa.
Infatti, nella campagna ferrarese dell’inizio ‘900 erano un elemento onnipresente nel piatto panorama della pianura.
Li si poteva vedere, accumulati in mucchi ordinati, al fianco di maceri pieni d’acqua, nei quali venivano ammassati i fasci di canapa dopo il taglio nei campi. I fasci, disposti in modo da formare grandi zattere, sarebbero stati poi fatti affondare nell’acqua per favorire la macerazione della canapa e consentirne la lavorazione successiva.
E con che cosa venivano affondate le “zattere” di canapa se non caricandole di giarùn?
Gli uomini, nel pieno della canicola estiva, stavano per ore immersi nell’acqua fino alla cintola e, usando il passamano, caricavano le “zattere” fino a farle sprofondare sotto il pelo dell’acqua, dove rimanevano per giorni e giorni a macerare. I pochi vecchi superstiti di quella generazione ne conservano il doloroso ricordo nelle ossa intaccate dai reumatismi, mentre la generazione successiva, per la gran parte, ne ha già perso memoria e l’ultima, quella attuale, i giarùn non li ha nemmeno visti, perché nel frattempo non servendo più allo scopo, li avevano riportati via, chissà dove.
intraigiarùn ...intraisass
Proprio per quelle fatiche e quei sacrifici, tra i giarùn non si sono mai raccontate storie.
Tra quelli che in origine erano sassi e furono raccolti lungo le sponde dei torrenti montani per essere trasportati in pianura e diventare giarùn, secondo il dialetto locale, si è sempre soltanto lavorato duramente. Per questo, al di là e oltre le affinità etimologiche, ho pensato che intraigiarùn è altro da intraisass, o almeno così lo percepisco io.
Perché noi, figli oramai prigionieri della civiltà elettronica, industriale e consumistica, facciamo il percorso inverso ai giarùn, per fuggire, appena ci è possibile, in montagna?
Perchè ritorniamo tra i sass, a vivere avventure e per poter ritrovare il contatto con la natura?
L’assillo, quasi maniacale, con cui andiamo alla montagna non vi ha mai fatto pensare alla difficoltà del nostro vivere negli agglomerati urbani spersonalizzati, ai quali sempre siamo condannati immancabilmente a tornare?
Ritornando, noi portiamo il nostro personale ricordo dei luoghi che abbiamo visitato, delle avventure che abbiamo vissuto, dei panorami che ci hanno riempito gli occhi e allargato il cuore.
Quei ricordi e quelle avventure, come ideali giarùn, noi li collochiamo, scrivendo e raccontando, in ordinate pile, assieme agli altri accumulati in precedenza, da noi e da altri come noi.
Per farne cosa? Io credo sia per zavorrare il fardello dei nostri pensieri, la zattera delle nostre ansie e dei nostri tormenti, affinché possa sprofondare nel macero della urbana quotidianità, almeno per qualche momento, al fine di ricavarne sollievo e conforto.
intraisass e intraigiarùn
Scriveva ancora, in quello stesso racconto, Alberto Peruffo.
...“Comunque sia, sapere cosa accade fra le pareti, intra i sass, ci piace, ci affascina, ci stimola, ci insegna, ci invita ad incamminarci per la nostra personale avventura. Così è nato intraisass, luogo d’incontro e di comunicazione tra coloro che del cammino tra i monti ne hanno fatto uno stile di vita.”...
Così, similmente, mi piace pensare del nostro intraigiarùn.
Ancora luogo d’incontro e di comunicazione per chi, nell’orizzonte piatto della pianura in cui vive, ama percorrere la strada che porta tra i monti, intra i sass, per ritrovare equilibri perduti, riscoprire sensazioni dimenticate, di libertà, di freddo, di disagi, di avventura, di amicizia, di condivisione...
Ma anche e soprattutto per chi, quella strada che porta intra i sass, fatica a trovarla.
Se leggendo di racconti ed esperienze montane gli verrà la voglia di intraprendere il cammino... beh, allora, tutto quanto abbiamo fatto e andiamo facendo avrà un senso e un merito.
Gabriele Villa
Ferrara, 25 settembre 2005