Cronache da Malga Sorgazza
(Parte seconda)
di Gabriele Villa
E’ trascorso quasi un mese dall’ultimo raid a Malga Sorgazza e i tre alberi assegnati a Maurizio sono ancora là, abbattuti a margine della strada a metà di Val Malène, che attendono di essere tagliati in pezzi e portati a casa. L’appuntamento che ci eravamo dati è slittato per cause di forza maggiore, in altre parole, un mal di schiena per Mauri contemporaneo ad un’infiammazione al nervo sciatico per me. Adesso che, dopo una buona dose di antinfiammatori, tutto è passato siamo pronti per quel lavoro che non può attendere oltre, perché quello è l’impegno preso con Gian Vico, la Guardia Forestale. Il tempo di una veloce colazione e, caricati gli attrezzi sul fido Scudiello, siamo già in movimento verso il posto, dove iniziamo ad operare. Se la volta precedente ero potuto rimanere nella tranquillità della malga a spaccare legna, questa volta ci sarà da lavorare di motosega: strumento “infernale”, ma tremendamente efficace, irrinunciabile quando ci sono tronchi da tagliare. Mauri mi fornisce qualche veloce istruzione sul come usare l’attrezzo diabolico e poi, uno da una parte dell’albero e uno dall’altra, si comincia a “sramare”. Passa poco e già riceviamo la visita di Gian Vico che dà le indicazioni a Mauri su come meglio operare e, soprattutto, dove collocare le due pile che formeremo con i rami di risulta. In due ore e mezza di lavoro il primo dei due alberi abbattuti è “sramato”, tagliato in pezzi di quasi un metro di lunghezza e, con due viaggi di Scudiello, trasferito in malga. Il mio esordio come boscaiolo “motorizzato” lo giudico soddisfacente, anche se devo confessare, la motosega non è il mio strumento preferito, pur avendone potuto valutare l’irrinunciabile efficacia. In attesa del pranzo c’è modo di riposare e guardare le nuvole scure rincorrersi in cielo: le previsioni danno perturbato anche per la giornata di oggi, poi, bello da domani fino a termine di settimana. Sfamati gli operai del cantiere nel quale si ristruttura la malga vera e propria, tocca a noi sederci a tavola e, dopo la sgobbata della mattina, l’appetito non manca; assieme a noi pranzano anche i genitori di Carla, Renzo e Lina, che danno l’idea di essere una coppia tranquilla ed affiatata. Per il pomeriggio è in programma il taglio e trasporto della seconda pianta, quella più grossa e impegnativa. Intanto le nuvole in cielo continuano a rincorrersi sempre più scure; pare che anche oggi la “valle delle lacrime” voglia mantenere fede alla sua fama.
Mentre stiamo preparando gli attrezzi per il lavoro pomeridiano ecco arrivare una visita inaspettata.
Noto Maurizio fare una gran festa alle persone che scendono dall’auto e quindi presumo di stare per conoscere un ospite “eccellente”, probabilmente un’altra delle figure caratteristiche della valle.
Vengo presentato a Doro, a sua moglie Maria Grazia ed ai loro due figlioli.
Questo Doro è un giovane ben piantato, alto un metro e novanta, con una chioma fluente, raccolta a coda di cavallo, un po’ come il Fiorello dei tempi del karaoke. Verrò a sapere in seguito che è un boscaiolo di professione e conosce così bene il mestiere ed i relativi segreti da essere diventato “Istruttore tagliaboschi”. Di cognome fa Granello, ha pure un sito internet, con tanto di referenze, organizza corsi e stage per conto di Regioni, Comunità Montane, Enti Parchi, Protezione Civile, ecc; praticamente ha girato l’Italia intera con questa sua particolare attività.
Chi s’immaginava che potesse esistere un mestiere del genere?
Siccome vedo che se la raccontano con cordialità, mi defilo per dedicarmi a qualche “ciocco” da spaccare con la solita accetta: di legna da sminuzzare c’è n’è ancora tanta ed è destinata ad aumentare ulteriormente. Intanto l’elicottero di servizio, arrivato appositamente, ha cominciato a fare la spola tra il parcheggio e il rifugio Brentari a Cima d’Asta per trasportare materiali, sabbia e cemento per gli operai impegnati in lavori di sistemazione ed ampliamento. Ogni volta che ritorna ecco accorrere un nugolo di ragazzini di uno dei tanti campi parrocchiali dislocati in valle e saliti oggi a giocare e fare attività nei prati attorno a Malga Sorgazza.
Dopo un po’ di chiacchiere in malga, ecco arrivare Mauri e Doro con motosega e lima per affilare il tagliente della catena. Assisto in diretta ad una “lezione privata” dell’istruttore tagliaboschi al cittadino reimpiantato da poco in montagna: la realizzazione di un banco da lavoro “volante” ricavato da un “tappo” di legno alto circa ottanta centimetri. Sotto le dritte di Doro, Mauri ne taglia una fetta alta dieci centimetri per i due terzi della superficie circolare sulla testa del tronco; sullo spicchio che rimane pratica un taglio che servirà per tenere ferma la catena della motosega dopo averne appoggiato il corpo sopra il tassello ricavato precedentemente.
Un trucco semplice che consente di realizzare un comodo banco di lavoro anche in mezzo al fitto del bosco.
Vedo che Mauri ne è soddisfatto perchè, in effetti, questi insegnamenti sono una manna per un cittadino come lui, pur se dotato di una buona manualità e notevole inventiva, perché sono frutto di tanta esperienza specifica derivata da anni di lavoro. L’affilatura del tagliente della catena della motosega è pure un’arte, da apprendere con attenzione e da esercitare con diligenza e Doro gli elargisce consigli pratici, seguendone con attenzione il lavoro:
“Tuti i crede de savèr fàr, fin che no i se confronta con i altri. Ma pensa – dice – se ti, citadino, te impari a guzàr la motosega meio dei locali; che sodisfaziòn per mì che te ho insegnà”.
Intanto le nuvole in cielo hanno finito di rincorrersi e si sono accumulate e gonfiate, mentre l’aria si è fatta fresca e le prime gocce di pioggia cominciano a cadere.
Ripariamo all’interno e anche altri arrivano a cercare riparo dalla pioggia che ora si è avviata fitta fitta: c’è chi continua a chiacchierare, chi si beve un bianchino, chi accarezza Bepi, il cagnetto di Mauri che sembra un gomitolo di pelo chiaro, chi si è tirato vicino alla stufa che la mano previdente di Carla ha pensato bene di accendere per stemperare l’aria fredda della saletta da pranzo.
Solo l’elicottero continua la sua spola incurante della pioggia battente, in modo da completare il trasporto di tutto il materiale. E’ un piacere vedere con quanta precisione ed abilità il pilota conduce quel mezzo così versatile ed efficace. Ma la pioggia non dura tanto e lascia un bel cielo terso; ognuno lentamente ritorna alle sue mansioni dopo la breve pausa imposta dalla pioggia.
Anche noi, non appena i visitatori se ne sono andati, ritorniamo a fare mente locale sull’obiettivo del pomeriggio: il secondo albero, quello più grande, è ancora là che aspetta al fianco della strada.
Ci mettiamo rapidamente in movimento e, una volta sul posto, si ricomincia a lavorare.
Stavolta adottiamo una tattica diversa: Mauri “srama” con la motosega, mentre io rimuovo immediatamente i rami disponendoli in pila secondo le indicazioni date da Gian Vico al mattino.
Il lavoro procede con più ordine, fino a che tutti i rami sono in pila e il tronco dell’abete è “nudo”, pronto per essere tagliato a pezzi. Facciamo ruzzolare sulla strada i pezzi che caricheremo sul furgone, mentre gli altri li teniamo sul prato sopra strada, così, per prudenza e per non indurre qualcuno in tentazione perché qui di legna ne hanno bisogno tutti e... non si sa mai.
Nonostante le visite e le chiacchiere del primo pomeriggio andiamo a cena dopo avere completato il lavoro che avevamo programmato al mattino. Carla ha preparato un menù sostanzioso, da boscaioli, e noi facciamo onore alla cuoca. Fuori, la serata è tranquilla, come sempre del resto, il cielo è terso e stellato e l’aria fresca e pungente; dentro, il fuoco crepita nella stufa ed emana un gradevole tepore che si spande nella stanza. Una piacevole rilassatezza pervade tutti quanti fino a che, dopo qualche decina di minuti, ognuno si dirige verso il suo letto.
La mattina seguente è una di quelle da incorniciare: il cielo è perfettamente limpido, l’aria tersa e le cime che delimitano la valle sembrano in rilievo.
Il programma di lavoro è già stabilito: abbattimento di un abete di circa otto metri, sramatura, taglio, carico e trasporto, assieme alle rimanenze del taglio del pomeriggio di ieri.
Do una mano a Mauri ad affilare il tagliente delle due motoseghe e poi si comincia.
Faccio la conoscenza con la “tacca direzionale” : una fetta di tronco che si taglia e si asporta dalla pianta, proprio nella giusta direzione nella quale si è scelta di farla cadere.
La nostra cadrà all’interno del cortile di una casa in ristrutturazione nella quale, almeno oggi, non c’è nessuno. E’ la prima pianta che Mauri abbatte e non se la cava male, segno che gli insegnamenti di Doro sono stati efficaci. Il resto è lavoro oramai abituale e pure l’affiatamento fra noi comincia a funzionare. In un paio d’ore abbiamo terminato, caricato tutto e fatto pulizia: sullo Scudo ci saranno sei quintali di legna e le ruote sembrano sparire dentro la carrozzeria. Mentre rientriamo facciamo una sosta per vedere un’altra pianta abbattuta; è un abete di una ventina di metri, probabilmente spezzato dal vento e dalla neve dell’inverno scorso.
Sarà l’obiettivo del prossimo raid in Val Malène.
Faccio venire ora di pranzo segando a mano i rami più sottili raccolti nel bosco e spaccando ancora qualche “ciocco”, fino a che le mie braccia dicono basta e mi siedo con i genitori di Carla a conversare, in attesa della chiamata a tavola. Il sole è caldo e la giornata rimane bella; oggi non pioverà.
Dopo pranzo indugio un pochino, ma so che devo rientrare a Ferrara prima di cena perché la mia giornata finirà a tavola per la festa di laurea di un nipote.
Prima di mettermi in auto leggo un’altra volta ciò che è stato scritto con il gessetto sulla lavagna a fianco della porta d’ingresso della malga. Sono tre semplici strofe in rima baciata scritte il pomeriggio precedente da Maria Grazia, la moglie di Doro, mentre pioveva e tutti erano intenti nel loro conversare.
La città ti rende pazza?
Vieni presto qui in Sorgazza!
L’allegria vuoi trovarla?
Qui ci son Maurizio e Carla!
Pane, vino e un bel sorriso...
E ti senti in paradiso!
Ogni ulteriore commento sarebbe decisamente superfluo.
Gabriele Villa
Ferrara, 16 luglio 2004