Cronache da Malga Sorgazza
di Gabriele Villa
Quando arrivo al parcheggio sono da poco passate le otto e, guardando verso la malga, ne vedo ancora la porta chiusa. Un po’ mi meraviglio, poi, mentre scendo dall’auto l’uscio si apre: unica cosa in movimento nella quiete totale del luogo. Si affaccia Mauri e ci salutiamo calorosamente.
“Ieri siamo stati a Ferrara – mi dice – e siamo rientrati tardi questa notte”.
“Io invece ho fatto presto stamattina” penso dentro di me. Avevo fretta di sfuggire alla pianura e non volevo rimanere impigliato nel solito traffico che immancabilmente si trova da Padova fin oltre Bassano del Grappa.
L’obiettivo è quello di trascorrere una giornata all’aria aperta, nella quiete della montagna e spaccare un po’ di legna per Maurizio. Quindici giorni fa ne avevo colto la preoccupazione perché un esperto del luogo, sentite le sue intenzioni e di Carla di trascorrere il prossimo inverno alla malga, aveva detto in tono da non ammettere repliche: “ghe vòl almeno dosènto quintali de legna”.
Duecento quintali potrebbero non essere troppi se non fossero da andare a raccogliere nel bosco, tagliare con la motosega, portarli alla malga, ridurli a misura di stufa e poi spaccarli a mano con cunei, mazza e accetta. Se poi si è da soli a fare il tutto potrebbe sembrare come l’imbocco di un tunnel di cui non si vede l’uscita. A fine maggio, dopo la festa di compleanno per Franz, una decina di noi in circa tre ore di lavoro aveva dato una “botta” da 20/25 quintali alle scorte di Mauri, ma la sua preoccupazione era diminuita di assai poco.
Fatta colazione, con il favore di un cielo semicoperto e di un’arietta piacevolmente fresca, mi sono messo al lavoro rispolverando i ricordi di quando da ragazzo andavo a legna con gli zii in quel di San Tomaso Agordino.
“Impara l’arte e mettila da parte”, dice il vecchio e saggio adagio popolare.
Ma chi avrebbe mai immaginato di trovarsi ancora alle prese con l’accetta a spaccare “tochi” di abete e di faggio, a distanza di tanti anni, seguendo gli insegnamenti avuti a suo tempo dall’esperto zio Mario. Nonostante che far legna sia un lavoro faticoso la mattina trascorre piacevolmente perché apprezzo la tranquillità del posto e lo scorrere “naturale” del tempo. I rumori più forti sono quelli dei campanacci delle mucche al pascolo lì attorno che si mescolano con quelli degli operai che stanno ristrutturando la costruzione che si trova dietro e sopra la malga.
Mauri mette in catasta la legna che ho spaccato, mentre la Carla sfaccenda in cucina e prepara il pranzo per i tre operai che, a mezzogiorno, puntualmente si presentano a tavola.
Appena hanno terminato di pranzare tocca a noi sederci di fronte ad un piatto di pasta fumante e saporita. Naturalmente non manca qualche battuta verso l’amico cittadino che è venuto a fare legna.
Dopo il pranzo, a Malga Sorgazza, ognuno ritorna al suo lavoro: gli operai riprendono le attività sotto la guida del capo cantiere Zeno, detto Sandokan (un nome che è tutto un programma), Carla ritorna in cucina tra lavastoviglie e fornelli, Maurizio riprende ad impilare legna, Gabriele a spaccarla con l’accetta, mentre le mucche continuano pigramente a mangiare erba e a ruminare subito di là dallo steccato che cinge la costruzione.
Più tardi Mauri prepara la sega circolare e, prese le misure, comincia a tagliare e montare le perline attorno al banco bar. E’ uno dei tanti lavori ancora da completare, una delle varie rifiniture che dovranno rendere sempre più accogliente questo semplice e caratteristico posto di ristoro per turisti ed escursionisti. In settimana aprirà anche il rifugio Brentari sotto Cima d’Asta e ciò farà sicuramente aumentare il passaggio di gente. Intanto le nuvole in cielo continuano a rincorrersi ed a mescolarsi, diventando sempre più compatte e sempre più grigie. Arriva qualche goccia di preavviso, poi dopo una pausa utile a mettere al riparo tutti gli attrezzi da lavoro, inizia un temporale di quelli seri.
Ripariamo all’interno senza preoccuparci: ciò che non si è finito oggi si farà domani.
Mauri e Carla m’invitano a trascorrere la notte da loro, invito che accetto volentieri, anche se avevo preventivato di rientrare in serata. Appena cala la pioggia avviso casa dalla cabina telefonica all’aperto, vale a dire con l’ombrello sotto al palo della bandiera, unico posto dove il cellulare ha campo. Poco dopo le mucche, sentita aumentare l’intensità della pioggia iniziano a correre verso il bosco con il chiaro intento di andare a ripararsi nel fitto degli alberi. Fa un certo effetto vedere questi grossi quadrupedi, altrimenti tranquilli e lenti in ogni loro movimento, correre velocemente giù per il prato sotto la pioggia battente. Fuori è rimasta la carriola metallica che serve a portare la legna in catasta; si riempirà certamente d’acqua, ma pazienza. Quando oramai ha smesso di piovere riceviamo visite. E’ Claudio, il “conduttore di vacche”, che è venuto a vedere se le sue mucche hanno dato fastidio. Entra per un bicchiere di vino bianco, mentre i suoi due cani attendono silenziosi e diligenti davanti alla porta. Facciamo un brindisi e quattro chiacchiere. Ci racconta che a lui piace il caldo e anche il mare e non si meraviglia per nulla della pioggia perché, dice, se c’è una nuvola sul Tesino è sicuro che pioverà alla Sorgazza; è per questo che lui la chiama la “valle delle lacrime”. Quando spiove Claudio rientra a valle e noi andiamo a vuotare la carriola ed a riporre la legna rimasta sotto la pioggia. La sera scende lentamente e noi,dopo cena, ce ne stiamo a chiacchierare tranquilli, fino a che la stanchezza della giornata non prende il sopravvento e ce ne andiamo a letto, immuni anche alla febbre da europei di calcio che pervade un po’ tutti in queste settimane di giugno. Fuori è il silenzio assoluto, la quiete di Malga Sorgazza avvolge tutte le cose.
Al mattino successivo non ci sono sveglie che suonano, la giornata riparte con calma e ognuno di noi riprende le attività da dove le aveva lasciate.
Mauri m’invita ad andare in paese con lui per le spese, ma preferisco rimanere a continuare il mio lavoro di spaccalegna. Oggi dovrò lavorare di cunei per spaccare parecchi “tochi” nodosi d’abete e poi studiarne bene le “venature” per evitare che l’accetta rimanga incastrata nei nodi: è la prima cosa da imparare quando si rompe legna. Mauri torna dopo un’ora abbondante e si scopre il perché del ritardo: si è fermato a caricare tre pezzi di un faggio abbattuto dai boscaioli che stanno lavorando a fianco della strada che sale alla malga. Saranno due quintali di peso che vengono subito ridotti a misura con un rapido lavoro di motosega e che la mia accetta completa di sminuzzare.
A fine mattinata si ripete il rituale del pranzo, prima gli operai che oggi sono quattro e poi noi tre.
Nonostante le braccia comincino ad indolenzirsi e mi stia spuntando una vescica sulla mano sinistra, continuo il mio lavoro, mentre comincio a sentire avvicinarsi l’ora del rientro a Ferrara.
Arriva qualche cliente: prima una famigliola, poi un ferrarese originario di Copparo e trapiantato a Castel Tesino da quasi trent’anni, infine a bordo dell’Ape d’ordinanza, arriva Erminio.
Barba bianca fluente, occhio vivace e spirito arguto, si vede subito che è un “personaggio”.
E’ conosciuto per essere stato un bracconiere inesorabile a tal punto che la sua fama si è tramandata e gli sopravvive anche ora che non caccia più e gli è rimasto solo il soprannome che la dice lunga sui suoi trascorsi: Terminator. Scopro che è lui il “consulente ligneo” di Mauri, il quale gli fa subito vedere il gran lavoro fatto in questi ultimi due giorni. Erminio guarda con attenzione, poi, quasi emettesse una sentenza, dice con voce grave: “continua a tajàre legna, che l’inverno l’è lòngo”.
Finiamo d’impilare la legna tagliata che Mauri ha stimato in otto quintali.
Non male per due giorni di lavoro di un cittadino come me.
Erminio intanto, preso il binocolo, si è messo a scrutare il costone boschivo di fronte alla malga e di là dalla valle. Sicuramente cerca qualche camoscio al pascolo o più semplicemente ripete un gesto antico ed abituale che gli ricorda un po’ della sua gioventù.
Esaurite le chiacchiere i clienti se ne ritornano a valle, Erminio continua a scrutare con il binocolo e io mi cambio e mi preparo per tornare a mia volta a casa.
Indugio perché non ho voglia di lasciare la quiete e la tranquillità di Malga Sorgazza.
In questi due giorni credo di essere entrato nello spirito intimo di questo luogo, di averne penetrato l’essenza. Adesso ho capito a pieno che vuol dire “scelta di vita” ed ho una certezza: Maurizio e Carla passeranno quassù il prossimo inverno, ne sono sicuro. E non solamente quello.
Sarà necessario tornare ancora a spaccare altra legna, per aumentare la scorta, secondo i suggerimenti del saggio Erminio.
Gabriele Villa
Ferrara, 20 giugno 2004