Lo zaino
di Gaetano Soriani
Era un tiepido pomeriggio di inizio primavera, l’aria calda e il profumo dei primi fiori contrastavano con l’aria ancora gelida che indugiava nei cortili interni e negli androni della città.
Paola era sola finalmente, aveva portato i bambini da sua madre e aveva tutto il pomeriggio per se stessa.
Certo che negli ultimi due anni ne erano successe di cose, la scomparsa di Marco dopo un penosa malattia, le preoccupazioni per il lavoro, come fare ad andare avanti da sola con due bambini e poi il dolore lancinante della mancanza di lui, un dolore al quale non riusciva ad abituarsi.
Ogni cosa, ogni oggetto della casa, i libri, i dischi, la musica le ricordavano Marco al punto che era arrivata a nascondere gli oggetti che maggiormente le procuravano pena.
Ma ora era sola, aveva intenzione di riordinare la casa, sistemare le cose dei ragazzi e fare anche il punto della situazione.
Fu così che aprendo un vecchio armadio se lo trovò davanti.
Era lo zaino di Marco, il fedele compagno di tante uscite ma anche l’involontario “rivale” che era arrivata ad odiare perché non capiva fino in fondo la passione che Marco aveva per la montagna. Una passione totale, assoluta ma anche discreta, vissuta sempre con la consapevolezza di non poterla condividere con la sua compagna.
Paola rimase a lungo ad osservare lo zaino senza decidersi se richiuderlo per sempre nell’armadio o aprirlo.
Tremando per l’emozione prese lo zaino e con delicatezza lo aprì cominciando a togliere gli oggetti che dopo la scomparsa di Marco aveva buttato dentro con tanta disperazione.
Ogni cosa che estraeva era un pezzo di vita di Marco, una cuffia colorata, un paio di guanti spiegazzati, e poi l’attrezzatura alpinistica : moschettoni di varia foggia e colore, cordini ed altri aggeggi strani di cui non conosceva l’utilizzo. Fu così che nel fondo di una tasca laterale piegato in mezzo ad un libro di montagna trovò alcune pagine scritte a mano da Marco. Era un resoconto dettagliato di una escursione che aveva compiuto qualche anno prima in solitaria e di cui le aveva parlato più volte. La curiosità prese il sopravvento sull’emozione del ritrovamento e cominciò a leggere con avidità quel racconto di una giornata indimenticabile.
La relazione finiva con una considerazione che le prese lo stomaco in un pugno “Vorrei che tu fossi qui con me!”
Richiuse in fretta lo zaino e il suo contenuto sconvolta e decisa a disfarsi di tutta quella roba che le procurava solo dolore. Ma ormai il contatto era stato stabilito e un piccolo tarlo nella mente aveva cominciato a lavorare: quella frase di Marco “Vorrei che tu fossi qui con me!”
Così quasi senza rendersene conto cominciò a fantasticare su quella ascensione chiedendosi se ne sarebbe stata capace. Dapprima era come un gioco che la teneva impegnata, aveva cominciato a documentarsi su guide e riviste confrontandole con la relazione di Marco, poi il gioco si trasformò in determinazione e all’inizio dell’estate aveva preso la decisione : avrebbe tentato di fare la salita alla cima del monte A... per la via comune.
Dalle relazioni risultava che la via era abbastanza frequentata e quindi in caso di bisogno non sarebbe stata completamente sola, le difficoltà non andavano oltre il 1°-2° grado a seconda delle condizioni della neve nei pressi della vetta (cosa di cui non afferrava completamente il significato), inoltre la decisione presa le dava uno strano senso di euforia, quasi che questa cosa fosse un atto dovuto, una sorta di debito d’onore nei confronti di Marco.
Non parlò con nessuno del progetto, non si consultò con nessuno per timore di essere presa per pazza e, nel caso non fosse riuscita nell’intento, nessuno avrebbe saputo niente.
Quell’estate si ritagliò una settimana di ferie alla fine di agosto dicendo che sarebbe andata a fare un giro in montagna con una amica.
Man mano che la data della partenza si avvicinava l’euforia lasciava gradatamente posto al timore dell’incognito.
In montagna c’era già stata in passato a fare dei trekking con Marco, cose tranquille che finivano immancabilmente con i piedi sotto la tavola del rifugio, ma questa era sicuramente un’altra cosa.
Il giorno fatidico arrivò prima del previsto e prima che si rendesse conto era in viaggio verso le dolomiti.
Aveva prenotato una camera a mezza pensione in un piccolo albergo fuori del centro abitato di B... praticamente ai piedi del colosso dolomitico che si era proposta di scalare.
I primi giorni furono impiegati per ricognizioni e lunghe marce di avvicinamento giusto per fare un po’ di fiato e un po’ di gambe. Con noncuranza assunse anche qualche informazione dal proprietario della pensione che le profuse una serie di informazioni preziose.
Alle cinque del mattino del sabato successivo con il vecchio zaino di Marco sulle spalle Paola lasciò l’auto nei pressi del bosco e cominciò ad attraversare la zona dei mughi prima dei ghiaioni sommitali.
La marcia di avvicinamento era faticosa, ma l’aria tersa e pungente del mattino era stimolante e piacevole.
Dopo circa due ore era già sopra i ghiaioni dove cominciavano le prime roccette. Decise quindi che era ora di fare una breve sosta per bere un sorso di acqua e mangiare una tavoletta di cioccolata. Durante la sosta fu raggiunta e superata da una piccola comitiva di alpinisti tedeschi che la salutarono cordialmente.
Rinfrancata dalla presenza di persone cercò di non perdere di vista la comitiva pur tuttavia rimanendo a debita distanza. La cosa cominciò a complicarsi quando il sentiero evidenziato da deboli segni di vernice rossa si inerpicò per una stretta serie di cenge che salivano a zig zag nel fianco della poderosa parete rocciosa.
Mentalmente ripassava la relazione di Marco che sapeva a memoria, la concentrazione era massima e cercava di controllare la tensione con lunghi respiri.
Una grande emozione fu quando riconobbe “il Monaco” un pinnacolo che sembrava da una certa angolazione un Monaco appunto con un lungo saio e cappuccio. Nella relazione di Marco era stato addirittura schizzato a matita.
Dopo le cenge ci fu un’altra serie di roccette e poi finalmente un’ampia forcella dove decise di fare una sosta più lunga. La vetta appariva ancora molto lontana e, da una certa quota in poi, imbiancata di neve.
Man mano che saliva l’ambiente si faceva sempre più severo e grandioso.
Finalmente dopo una lunga e faticosa salita per placche inclinate parzialmente innevate di neve fresca, si trovò in un piccolo anfiteatro di alte rocce oltre le quali c’era solo cielo.
Intuì di essere nei pressi della vetta e con un ultimo sforzo superò un piccolo camino aiutandosi con uno spezzone di corda fissa lasciata dalla comitiva di alpinisti che la precedevano e si ritrovò in vetta avvolta da una luce straordinaria e da uno stordimento che la lasciò senza fiato.
Fu allora che capì tutto. Capì la fatica dell’avvicinamento, capì la paura, la tensione, comprese persino lo zaino, il suo peso che finiva per diventare un fedele compagno di viaggio.
Capì la struggente bellezza delle cime che la circondavano e il senso di compiutezza e di pace che provava ad essere lassù in quel piccolo spazio tra le nuvole.
Comprese per la prima volta quanto piccola e fragile fosse e come tutte le cose del mondo viste da lassù assumessero un’altra prospettiva, ma provava nel contempo anche un senso di onnipotenza che non aveva mai provato.
Ora la presenza di Marco era quasi tangibile e per la prima volta dopo tanto tempo pianse, un pianto liberatorio che la riportò alla realtà, ora le era tutto chiaro e lo aveva sempre avuto sotto gli occhi.
Gli alpinisti che l’avevano preceduta dopo essersi congratulati con lei le chiesero di aggregarsi a loro per il ritorno.
Prima di partire si girò indietro per un’ultima volta quasi a memorizzare quel luogo incantato.
La discesa pur non rappresentando grossi problemi era in ogni caso delicata soprattutto in alcuni punti dove la neve recente rendeva scivoloso il fondo inclinato.
Mentre Paola, di nuovo concentrata sui passaggi più impegnativi scendeva a valle, se solo si fosse voltata di nuovo avrebbe potuto notare accanto alle sue impronte sulla neve altre impronte molto più leggere quasi impercettibili che la seguivano da vicino e che l’accompagnarono fino a dove il sentiero si fece sicuro.
Gaetano Soriani
Febbraio 2004