I reduci

di Mauro Mazzetti



Ore 5.15: mi giro per l'ennesima volta nel letto, poi mi decido e mi alzo. Dalla finestra vedo luccicare il ghiacciaio dei Bossons e la sua lingua che termina a breve distanza dalle case di Chamonix. Per non svegliare la famiglia, mi sposto sul balcone e mi vesto acrobaticamente, rabbrividendo nell'incerto chiarore che precede un bellissimo giorno di fine luglio. Termica, calzettoni, salopette, scarponi; le ghette no, le metterò sulla funivia che mi depositerà all'Aiguille du Midi, 2800 metri sopra il paese addormentato.
Il solito senso di colpa si appollaia sullo zaino e mi tiene compagnia fino alla stazione di partenza, dove la mia compagna di cordata sta già aspettando, perfettamente bardata ed attrezzata.

Ore 4.30: la sveglia suona imperiosa e senza remissione dà l'avvio ad una giornata lunga ed incerta. Il giovane si affaccia alla finestra di casa, secondo piano del casermone, quartiere Pilastro, Bologna, vedi alla voce "Uno bianca": Uno sbadiglio rumoroso, un veloce gargarismo con l'avanzo del caffè, e subito alla fermata dell'autobus, verso la stazione ferroviaria, treno speciale delle 6.15 per Genova.

La guida di Rebuffat sulle cento salite nel gruppo del Monte Bianco recita approssimativamente: "Cresta Midi Plan, classica salita di iniziazione al mondo dell'alta montagna, facilmente effettuabile in giornata da Chamonix con la prima corsa della funivia". Eh già, la prima corsa della funivia l'avranno presa giusto Rebuffat e tutte le altre guide alpine con diritto di precedenza per l'utilizzazione del mezzo meccanico. I poveri mortali fanno la loro brava fila ed ingannano il tempo guardando lo schermo luminoso su cui scorrono le informazioni multilingue: temperatura a Chamonix, temperatura all'Aiguille du Midi, sono le ore.., la funivia é sconsigliata ai bambini inferiori ai due anni, benvenuti sul balcone del Monte Bianco eccetera eccetera.

Tanti momenti sempre uguali, come se ne vedono nelle stazioni di tutto il mondo. Un saluto convenzionale, un rituale usato ed abusato di strette di mano "alternative", la ricerca del binario, un solo breve sguardo a quello squarcio cementato nella sala d'aspetto, ricordo lontano della strategia della tensione. Il treno é pronto accanto alla pensilina, ed il pensiero corre alla tradotta, che nella canzone la va diretta al Piave, cimitero della gioventù.
Il giovane sale e prende posto in uno scompartimento che, come si legge su un avviso di Trenitalia, é stato igienizzato per il comfort e la sicurezza dei clienti.


Ore 7.15: l'uscita dalla funivia é sempre un momento delicato per il mio orgoglio. Ci vuole un bel passo elastico e misurato, ma non é il mio caso. Fortunatamente, la maggior parte dei trasportati ha già la mente rivolta verso le salite programmate, e non si guarda attorno più di tanto. Eccomi alla solita transenna che sbarra il passo ai turisti occasionali (ma alle sette e un quarto ce ne sono veramente pochi...). Se la mamma mi avesse fatto quindici centimetri più alto non dovrei già arrancare per superare questo ostacolo, che di alpinistico ha veramente poco o niente. Calziamo i ramponi e scendiamo legati per la cresta che affonda nel pianoro glaciale del Col du Midi; ma... invece di svoltare decisamente a destra ed imboccare il ripido pendio, continuiamo sul filo in leggera discesa. La giornata é luminosa, il passo é veloce, l'ambiente é grandioso, il panorama é affascinante.

Ore 8.00: Fermo nella stazione di Tortona, il giovane fruga a tentoni nel vecchio tascapane sdrucito, che lo ha accompagnato in tutte le manifestazioni, in tutti i cortei, in tutti i sit in della sua breve ma intensa esistenza votata alla protesta. Sono passate le città dell'Emilia capoluogo di provincia, ed anche BroniCasteggioVoghera, come dice Paolo Conte in una canzone sulla fisarmonica di Stradella. Poche parole, con i suoi amici di sempre, anche loro gli stessi in tutte le manifestazioni, la bottiglia di minerale che passa dall'uno all'altro, come un nostrano calumet della pace. E' il momento delle riflessioni politiche, delle elaborazioni intellettuali, delle speculazioni filosofiche, di tante parole; é il momento di caricare gli accumulatori della mente con l'energia dell'impegno e della partecipazione.

La cresta si allarga e si restringe, seguendo i capricci orografici della montagna. Da una parte lo scenario si fa grandioso: tante pareti nord, tanti missili di roccia granitica, e su tutti il massiccio del Bianco a sovrintendere ed a dirigere. Dall'altra parte, così giù da sembrare un paesaggio da presepe, ci sono Chamonix e la strada grigia che serpeggia nella valle del fiume Arve.
Arriviamo senza intoppi ad un saltino di roccia, dal quale cominciano le calate in doppia sul ghiacciaio sottostante. Andreina ed io ci guardiamo rassegnati, dopo aver visto che sulla vetta del Rognon du Plan dovremo fermarci a lungo. Chi ci precede, saranno almeno cinque cordate da tre o da quattro componenti, ha poca dimestichezza con le manovre; il tempo passa veloce, mentre noi fremiamo inerti e circondati da un vociare caciarone ed inconcludente. Solo dopo un'ora riusciamo ad attrezzare la prima delle tre doppie che ci depositeranno sul ghiacciaio, da dove scaturisce la seconda parte della cresta; cerchiamo di riguadagnare terreno aggirando di gran carriera un gendarme roccioso.

La stazione di Genova Brignole é presidiata dalle forze dell'ordine in assetto antisommossa. 11 giovane ed i suoi amici passano attraverso gruppi di Carabinieri, di Polizia, perfino di Guardia di finanza, tutti tesi e vigili. Il passaggio dall'ombra scura dell'edificio ferroviario alla luce calda della piazza li risveglia completamente. Non serve chiedere in che direzione andare: basta seguire i gruppetti di persone che muovono decisamente verso il mare. Come i lemmings. L'aria si sta facendo calda, il rado traffico suggerisce una giornata di ferie, con i negozi tutti chiusi e sprangati. Il giovane é stato al carnevale di Ivrea, dove ha partecipato alla battaglia delle arance: anche lì, fino al terzo piano di tutte le case, venivano collocate protezioni rudimentali ma efficaci, per proteggere porte e finestre. Qui a Genova l'atmosfera sembra però diversa, strana e carica di attese inespresse.

Passo dopo passo, procediamo di conserva, scollinando al Col du Rognon. Da lì lo sguardo affonda tra crepacciate e seracchi nel tormentato ghiacciaio, in mezzo al quale serpeggia la traccia che porta al Refuge du Requin.
Traversiamo sul versante Chamonix, intersecando un canalino ghiacciato che risaliamo velocemente fino ad un'aerea selletta nevosa; da lì la via appare evidente, la cresta prosegue e va a morire contro il torrione della vetta.
Ci fermiamo ancora una volta, per aspettare che una cordata completi la discesa in doppia dal pinnacolo, e poi ci avventiamo di slancio sulla roccia con un occhio all'orologio; la funivia forse avrà aspettato Rebuffat, se mai fosse stato in ritardo, non certo noi tapini.

Il gruppetto di giovani aggancia il corteo che si sta lentamente formando in fondo al lungomare. In mezzo alla gente, sembrano ciondolare senza meta individui vestiti di nero; tracciano traiettorie occasionali, avanti ed indietro tra le persone, fermandosi ogni tanto accanto ai marciapiedi. Con abilità professionale, ne scalzano i supporti e li frantumano in pezzi che ripongono in zainetti e borse. Intanto gli slogan rimbalzano e si susseguono lungo il serpentone che si autoalimenta dai rivoli delle strade laterali.

Tre tiri facili su roccia ci consegnano l'agognata vetta dell'Aiguille du Pian. Ci affacciamo circospetti sul versante nord: una fuga di rigole e di rocce accatastate caratterizza lo scivolo del couloir, che sfocia nel pianoro, alla stazione intermedia della funivia. II tempo atmosferico continua a rimanere favorevole, mentre il tempo cronologico sta correndo sempre più veloce: attrezziamo la sosta per la calata in doppia, atterriamo sul plateau nevoso e cominciamo il recupero della corda. Sembrava strano che tutto filasse liscio: la corda si incastra in una maligna fessura obliqua. Dopo alcuni vani tentativi di superare l'impasse, occorre risalire con gli autobloccanti e sbloccarla con energia. Finalmente possiamo riprendere la via del ritorno.

Il corteo adesso si muove un po' sfilacciato, quasi di malavoglia. I gruppetti `fanno l'elastico'; come si dice in gergo ciclistico quando ci si lascia sorpassare da qualcuno più veloce per poi sopravanzarlo. I caschi blu della polizia aumentano di numero e creano passaggi obbligati per i dimostranti, che fluiscono nelle due carreggiate.
Dalle aiuole del lungomare sale all'improvviso un profumo intenso, prima di salsedine e di macchia mediterranea, poi sempre più acre di fumogeno.


Risaliamo le placche del Rognon du Pian, perché solo noi siamo così masochisti da non scendere al Refuge du Requin. Ho tutto il tempo di riflettere, fra un tiro e l'altro, che ogni tipo di roccia ha un odore diverso. Penso alla pietra di Finale, che profuma di mare e di fossili, oppure al serpentino delle palestre genovesi di arrampicata, che sa di muschio e di licheni; qui le mie narici sono piene dell'odore forte del ferro e della pietra focaia, che solo il granito del Bianco può regalare. Il ritorno comincia a diventare un'avventura, perché queste placche, baldanzosamente discese in doppia, si stanno rivelando assai più ardue in salita. Finalmente sbuchiamo alla selletta nevosa, e da lì riprendiamo di gran carriera la cresta infinita.

Il giovane si guarda attorno stupito: sente un triplice squillo di tromba, segno dell'inizio di una carica di polizia, poi comincia a tossire convulsamente, l'inutile mascherina davanti al naso ed alla bocca, mentre un irrefrenabile prurito gli morde le braccia e le gambe. La gente fa dietrofront, grida e corre, cercando riparo nelle vie laterali ai fumogeni ed ai manganelli. Il giovane perde di vista i suoi amici, sbandati e dispersi tra la folla ondeggiante; due black blocks (o block black? o block buster? o block block?) lo spintonano da parte, e dopo si avventano su vetrine e macchine posteggiate, scientificamente distruggendo e demolendo. 'fitu, vegni chi drentu! (presto, vieni qui dentro!) gli urla un signore di mezza età, barba brizzolata e occhialino da intellettuale, che lo spinge in un portone ombroso e riparato. 'famme vedde, bardascamme (fammi vedere, pivello). Il giovane viene sorretto su per le scale fin dentro un salotto che intuisce ma non vede, tanto il sangue gli imbratta la faccia.

Sali e scendi, scendi e sali, un passo dopo l'altro, un piede sul filo di cresta ed un piede subito dietro, a bilanciarsi contro il vento che ha preso a soffiare deciso e che aspira dal fondovalle brandelli filamentosi di nuvolette grigiastre. Non guardiamo più l'orologio, perché l'ultima corsa della funivia non terrebbe comunque conto delle nostre esigenze. "Andre, e se andassimo a dormire al Cosmiques?" Andreina mi ringhia un "cammina e taci", poi allunga il passo, incurante della mia offerta pelosa. Lentamente, molto lentamente, la torre in cima all'Aguille si avvicina ed ingrandisce. Sul ponticello tra la galleria e l'edificio sommitale alcune persone guardano verso la cresta, cioé verso di noi, poi spariscono all'interno della montagna. Decidiamo allora di deviare verso il rifugio, convinti che l'ultima corsa sia definitivamente persa; sono un po' preoccupato per mia moglie, sicuramente in apprensione. Poi attingo alla filosofia napoletana di un mio ex collega ("Ce poi ffà qualcosa? Non te incazzà! Non ce poi ffà qualcosa? Non te incazzà!").
Il rifugio ci accoglie in un tardissimo pomeriggio di sole velato.

Una veloce ed accurata medicazione ferma lo scorrere del sangue, mentre dalla finestra aperta giungono ordini urlati al megafono, passi cadenzati in crescendo della nuova carica annunciata, grida dei manifestanti, pianti di bimbi, fragore di cassonetti rovesciati, esplosioni di vetri frantumati. Il giovane choccato vorrebbe ritornare subito in strada, ma il padrone di casa lo dissuade fermamente: "Ma ti sei abbelinou? Nu ti né a basta? Stanni ascusu e speta che i celerin se ne vaggan (Ma sei scemo? Non ne hai abbastanza? Stai nascosto ed aspetta che la polizia se ne vada)". Il giovane si convince, beve avidamente un bicchier d'acqua e si affaccia alla finestra. Se non avesse ancora in tasca il biglietto andata e ritorno del treno Bologna/Genova, crederebbe di essere a Beirut o a Sarajevo, fra carcasse bruciate di auto, sirene di autoambulanze, lampeggianti di autoblindo, negozi devastati. Rovine dappertutto, residui di un'assurda ed insensata guerriglia.

Di mattino presto, con lo stomaco chiuso e con le orecchie basse, precedo Andreina sino alla funivia. Il viaggio di ritorno in funivia mi trova rimuginante sulla giornata di ieri; sul piazzale della stazione di arrivo, Chamonix Sud ci accoglie con un muro compatto di giapponesi, pronti al grande balzo verso il balcone del Monte Bianco. Poche centinaia di metri a piedi, poi la chiave nella toppa mi riconsegna al broncio di mia moglie ed al sorriso di mio figlio.

Stazione di Genova Brignole, assolato pomeriggio di fine luglio. Il giovane con la t shirt sporca e lacera sale sul convoglio straordinario che lo riporterà a Bologna, assieme ad i suoi amici ritrovati. Sui sedili dello scompartimento, mentre il treno buca gli Appennini, si raccontano le loro storie: gli esorcismi verbali non serviranno a capire il perché.

Mauro Mazzetti

maggio 2002