Ne ha 827 ... ma non lo dimostra

di Gabriele Villa



Ho un amico che è un grande appassionato di montagna; da che lo conosco gliene ho sempre sentito parlare.
L’altra sera è venuto a cena a casa mia, cosa che, del resto, fa molto spesso.
Dopo aver mangiato, come tante altre volte, ci siamo seduti sul divano a chiacchierare del più e del meno, più per avere la scusa di berci una grappa che non perché si avesse qualcosa di nuovo da dire.
Siamo così in confidenza che, credo, siano oramai rimaste ben poche le cose che uno non sappia dell’altro, anche se, ad onore del vero, non si è mai finito di conoscere a fondo una persona.
Ad un certo punto si è fatto serio e mi ha detto a bruciapelo, quasi avesse da togliersi un peso:
"A volte mi chiedo, come sarebbe stata la mia vita se non avessi fatto alpinismo?"
"Sarebbe stata come quella di tanti altri – gli ho risposto – come la mia, ad esempio. Alla domenica te ne saresti andato allo stadio, o a pescare, a visitare musei con la famiglia. Magari ti saresti preso un cane da portare a spasso e con cui giocare".
"Non hai capito la domanda. – mi ha detto serio – Che tu faccia alpinismo, anziché motociclismo o vada a giocare a bocce il tempo passa in uguale misura per tutti. Quello che cambia è ciò che ti rimane dentro dopo tanti anni che fai quello che fai.
Che tu abbia fatto mille cose piuttosto di cento non fa gran differenza se dentro ti è rimasto poco perché le hai fatte soltanto per te stesso".
"Ti vuoi spiegare chiaramente invece di parlare per enigmi?" Gli ho risposto con pazienza.
"Ti faccio un esempio con i numeri. – ha detto appoggiando sul tavolino il bicchiere di grappa che, nella foga del discorso, rischiava di rovesciare il prezioso contenuto – Dopo quasi trent’anni che mi arrampico ho percorso più di 800 vie, ho salito otto cime oltre i 4000 metri, ne ho salite quasi trenta oltre i 3000 metri..."
"Beh, non sei contento?" l’ho interrotto.
"Certo che lo sono, ma non è questo il punto. Lasciami finire il ragionamento. – ha continuato con foga – Se guardo bene cosa vedo? Numeri e nomi ben ordinati in un lungo elenco di cime e pareti con al fianco delle date. Ma non è quest’elenco, o almeno non solo questo, che fa massa critica".
"O non sai neanche tu quello che vuoi, oppure provi a spiegarti meglio, perché io continuo…"
"….a non capire. Certo. Io stesso ho capito tanto tempo dopo che arrampicavo.
I primi anni saltabeccavo da una palestra all’altra per allenarmi e appena potevo andavo in Dolomiti nei fine settimana e sulle Alpi durante le ferie.
Avevo un elenco di vie da fare, progressivamente più impegnative ed ero contento solo quando ne spuntavo una.
Di solito, a fine stagione, non ero mai soddisfatto del tutto: o ne avevo spuntate poche, o me ne mancava qualcuna di quelle a cui tenevo maggiormente, insomma, c’era sempre qualcosa che sembrava mancare".
"Ma è normale. Vorresti sempre fare di più o di meglio. Ci succedeva anche quando giocavamo insieme a calcio, non ricordi? Guardavamo la classifica e ci sarebbe piaciuto che la squadra avesse avuto più punti. Adesso che faccio il pescatore quando gareggio e mi misurano i chili di pescato vorrei sempre avere preso più di quanto segna la bilancia".
"Ma è proprio qui l’errore. Ci riferiamo sempre ai numeri fino ad esserne ossessionati. Se guardi solo alla classifica vuol dire che non hai ancora capito nulla". Disse con tono incalzante.
"Allora senti, facciamo una cosa – gli ho detto con quanta più delicatezza mi fosse possibile – tu la smetti di elucubrare e mi dici cosa ti gira per la testa così io finalmente capisco ed entrambi siamo più contenti".
Riprese a parlare con pacatezza, quasi sottovoce.
"Dopo pochi anni da che avevo cominciato ad arrampicare quelli della sezione mi proposero di partecipare ad un corso per diventare istruttore. Accettai forse più per curiosità che per reale interesse. Vissi un’esperienza molto formativa, a contatto con un gruppo docente variegato, ma molto valido. Soprattutto il responsabile era una persona in gamba, quello che si può definire un "maestro" nel senso pieno e completo del termine.
Così, ritornati a casa, assieme a Paolo il ragazzo che con me aveva frequentato il corso di formazione, cominciammo a riorganizzare i corsi roccia della sezione, applicando le idee, i metodi e la filosofia che ci erano stati insegnati.
All’inizio fu dura perché si partiva a costruire qualcosa che nemmeno noi sapevamo bene cosa fosse, ci avevano solamente insegnato in maniera esauriente come realizzarla e noi avevamo condiviso idee e metodi. Qualcuno mostrò diffidenza, ma noi andammo avanti decisi ugualmente".
"Siete stati dei pionieri …"
"No, non credo. Forse i nostri predecessori lo erano stati. Infatti, c’era già un gruppo di arrampicatori abbastanza consolidato ed i corsi si facevano da alcuni anni. Non erano ben strutturati come noi li intendiamo oggi, tuttavia noi proprio da quelli eravamo usciti. Gli altri, i veri pionieri, si erano mossi d’istinto esclusivamente sulla base della loro passione per l’arrampicata, noi a quella passione avevamo aggiunto l’esperienza derivata dalla formazione teorica e didattica ricevuta".
"Sarà stato un periodo esaltante per voi. Ve ne rendevate conto?"
"Non avevamo il tempo per pensarci – mi ha detto sorridendo – organizzavamo corsi e arrampicavamo più che si poteva. Quello che c’era da capire, almeno per quanto mi riguarda, l’ho capito a distanza di alcuni anni".
"Che fai? – gli ho detto diffidente – Riprendi con gli enigmi?"
"No, no. Ti spiego cosa intendo dire. Nonostante siano passati 25 anni da quel corso di formazione io non ho ancora smesso di fare l’istruttore. Ho continuato a compilare diligentemente il diario segnando le vie fatte e le cime salite, ma ho scoperto che non era quello il vero valore o, perlomeno, non era l’unico. Un valore altrettanto importante era dato dalla gente che conoscevo, dagli allievi che si susseguivano ogni anno, con le loro facce e i sorrisi di soddisfazione dopo una salita o una difficoltà superata grazie agli insegnamenti ricevuti, era anche la gratitudine che qualcuno ti manifestava perché aveva imparato cose utili per andare in autonomia con sufficiente sicurezza.
E’ così che ho via via stemperato il "furore alpinistico" dei primi anni imparando a cogliere e a gustare l’aspetto del rapporto umano e della condivisione. E’ stato un percorso di crescita, o almeno tale l’ho avvertito io, e di equilibri ritrovati che mi ha fatto sentire più appagato e più "positivo, come alpinista e come uomo. Alle volte mi chiedo quanti allievi ho avuto in questi 25 anni di corsi, ma non lo so con esattezza; invece so con precisione le vie di arrampicata che ho fatto fino ad oggi: 827. Per fortuna mi sono accorto per tempo che questo dato non era la cosa più importante, anche se ho continuato per antica abitudine a tenere il conto."
"Come non era importante? I dati sono sempre importanti, fondamentali.
Senza numeri non fai classifiche, non hai la misura delle prestazioni sportive, non hai confronti, non puoi fare valutazioni …".
"Ma è altrettanto importante capire che non tutto si misura con i numeri.
Come misureresti, ad esempio, i sentimenti, le sensazioni…?
Quando dopo cena abbiamo preso il caffè, ti sei chiesto quanti granelli di zucchero ci fossero nel cucchiaino che ci hai messo dentro?"
"E perché mai avrei dovuto farlo, scusa?"
"Appunto. E’ la dimostrazione che in questo caso il dato non ha alcun valore pratico: che i granelli siano 500 anziché 2000 non fa il fatto, a te interessa che il caffè diventi dolce come tu lo gradisci".
"Dai concludi che ancora non ho capito dove tu voglia arrivare".
"Ma oramai te l’ho detto, testone. E’ il rapporto umano con le persone con le quali interagisci che aggiunge valore all’attività che stai facendo, il rapporto di scambio che si instaura e che fa sì che tu dia e riceva allo stesso tempo ed in uguale misura. L’attività che tu fai è come il caffè, nel mio caso l’alpinismo, le persone con le quali ho interagito sono i granelli dello zucchero che lo hanno reso dolce come io lo gradivo. Sono convinto che se avessi continuato a cercare le difficoltà tecniche e le vie sempre più impegnative avrei soltanto aggiunto curriculum e lo avrei fatto solamente per gratificare me stesso e appagare il mio amor proprio.
Avendo fatto l’istruttore ho potuto arricchire l’attività del rapporto con le persone, sentirmi positivo e utile agli altri, insomma ho messo lo zucchero nel caffè del mio alpinismo. Se sai trovare le dosi giuste fra una cosa e l’altra ti realizzi e cresci dentro.
Hai capito adesso che cosa ti volevo dire?"
Tirò un sospiro, quasi si fosse tolto un peso dal cuore, trangugiò la grappa rimasta nel bicchiere, lo appoggiò sul tavolo e si lasciò scivolare, rilassato, sui cuscini del divano.
Guardai il mio amico con un senso di tenerezza e di affetto.
Mi vennero alla mente parole come ... ingenuo ... romantico ... sognatore ..., ma non gliene dissi nessuna perché gli sono troppo amico per dirgli qualcosa che possa dargli dispiacere. Io so bene che lui è fatto proprio così.
Solo una piccola domanda, vagamente provocatoria, gli ho rivolto.
"Senti, non è che ti sei messo a guardare ai valori quando, con l’avanzare dell’età, hai dovuto ridimensionare le prestazioni?"
Si mise a sorridere e chiuse gli occhi come si fa per ricercare una maggiore concentrazione.
"E se ti parlassi di raggiunta maturità, sarebbe presuntuoso da parte mia? Consideriamole entrambe ipotesi da approfondire: io non ho certezze assolute.
Piuttosto, ti voglio raccontare come e quando ho cominciato veramente a capire. – disse parlando quasi sottovoce – Una sera sento suonare alla porta. E’ Beppe, una delle persone che collaboravano ai corsi come aiuto istruttore e ti parlo di più di dieci anni fa, quando dirigevo i corsi di alpinismo e roccia della sezione. Entra e mi allunga una cassettina musicale da lui incisa con una dedica per me (...con stima e riconoscenza... stà scritto).
E’ un piccolo regalo per dirti grazie di tutto quello che hai fatto, dice.
E che ho mai fatto? Rispondo un poco sorpreso.
Sai, siamo riusciti ad andare in cima al Monte Bianco: senza quello che ci hai insegnato tu non lo avremmo neanche pensato.
Mi sono schernito istintivamente: ma sul Bianco ci siete andati voi, io non ho fatto proprio nulla.
Ma lui aveva continuato a ringraziarmi mentre mi raccontava i particolari della salita e di come, sulla vetta, si fossero commossi fino alle lacrime. Quella testimonianza mi fece riflettere e cominciai a considerare in maniera diversa i rapporti che si instaurano con le persone ai corsi.
Mi resi conto che fino a quel momento avevo considerato il rapporto in maniera univoca senza curarmi di cosa potesse pensare chi stava "dall’altra parte". E’ così che ho cominciato a capire veramente il valore del mio essere istruttore, un valore che integrava e completava il mio essere alpinista."
Forse lo guardai un po’ stranito, io, pescatore abituato a rapportarsi con interlocutori muti, lontano da quel tipo di esperienza, mi stavo sforzando di seguire il suo ragionamento.
"Scusami, ma non riesco a spiegartelo meglio di così, – continuò - posso solo farti un ultimo esempio. La scorsa settimana sono andato con un amico, uno che la pensa come me, a fare una salita di VI grado e artificiale, sai quelle di cui ti ho raccontato qualche volta, con le scalette da attaccare ai chiodi per poi salirci sopra.
Niente di straordinario, però, insomma, una cosa di un certo impegno. Due giorni dopo eravamo in parola per un’altra arrampicata, ma nessuno dei due ne aveva voglia. Sai che abbiamo fatto?
Una telefonata a due amici alle prime armi invitandoli ad arrampicare con noi. Siamo andati su una via di II e III grado, quasi una passeggiata per noi, ma i loro sorrisi soddisfatti, durante e dopo la salita, sono stati un’autentica gratificazione. Non è così per tutti, né ho la pretesa che sia la regola universale: mi basta sapere che è buona per me. Quelle due giornate di alpinismo, pur così diverse, per me hanno lo stesso valore e non saprei rinunciare né all’una, né all’altra".

Gabriele Villa

Ferrara, 19 novembre 2002