Il gigante delle Pale
di Angela Seracchioli
Tanto tempo fa, quando le valli alpine iniziavano appena ad essere abitate dagli uomini, popoli diversi convivevano pacificamente fra di loro nei boschi e fra le rocce: i nani, gli gnomi e i giganti. Ma se dei nani e degli gnomi è rimasta traccia nelle leggende alpine (chi non conosce la storia di Re Laurino e del suo giardino di rose?), poco si sa dei giganti. La ragione va ricercata nella poca simpatia che gli uomini avevano nei loro confronti. Così, per rendere onore almeno una volta a questo popolo gentile, vi racconterò questa loro storia.
I giganti che abitavano fra la Val di Fiemme e la conca dove oggi sorge San Martino, non erano molti ma, per via della loro dimensione occupavano molto spazio. Vivevano in gruppetti familiari. Alcuni si erano insediati ove ora c'è Bellamonte, ma la maggioranza viveva a Passo Rolle. Gli uomini li temevano, avevano una gran paura della loro statura e credevano che la loro stazza fosse indice di malvagità. Niente più lontano dal vero: tanto erano grandi quanto erano miti e delicati. Sì, è vero che ad ogni passo schiantavano una decina di abeti, ma è anche vero che senza questo loro spianare radure e scavare valli quando si sdraiavano al sole, gli uomini non avrebbero mai avuto pascoli per le loro mucche e il Passo Rolle non sarebbe il passo più ampio, erboso e soleggiato di tutte le Dolomiti.
Quando passavano vicino ai paesi degli uomini, i giganti stavano attentissimi a non calpestare le case e non ci è giunta notizia che sia mai successo alcun incidente causato da loro. I giganti avrebbero voluto fare amicizia con gli uomini, anche se erano di carattere un po’ schivo e timido, ma la paura rendeva ciechi questi ultimi e non permetteva loro di rendersi conto di quanto i giganti fossero propensi all'amicizia e attenti ai loro bisogni.
Fu così che, non sentendosi amati, i giganti, una famiglia alla volta, se ne andarono via, nessuno sa dove ma di certo lontano perché di loro s’è persa la memoria. Solo uno, forse il più buono di tutti, rimase. Amava troppo il Passo Rolle e poi non era sposato, non aveva figli ed era ormai vecchiotto, aveva la pancia e non era più agile come una volta.
Ma forte sì, le sue spalle erano possenti e con un sol gesto della mano avrebbe potuto spianare una montagna o sradicare un intero bosco. Dove avrebbe potuto andare? Quella era la sua terra, era nato fra quei boschi, lì voleva restare o morire.
Sì, era il più buono e già varie volte aveva evitato catastrofi salvando tanti uomini che restarono del tutto ignari del suo aiuto. Basterà raccontare di quella volta che deviò il corso del Cismón proprio un attimo prima che investisse con un'onda di piena il nascente paese di Fiera di Primiero. Successe di notte, nel bel mezzo di una tempesta e fu così per questo che nessuno se ne accorse: tutti scambiarono il rumore dei massi che il gigante ammassava per creare una diga, con il crollo di qualche parete o con lo smottamento di un ghiaione dalle parti del Sass Maór. All'alba il gigante tornò come niente fosse al Passo Rolle: a lui non interessava essere ringraziato, aiutava gli uomini semplicemente perché era buono e la sua bontà lo obbligava a farlo. E poi era timido: diventava rosso per un nonnulla e un grazie l'avrebbe tanto commosso che una sua lacrima avrebbe causato un'altra onda di piena, allora sì che gli uomini avrebbero avuto ragione di temerlo!
Stiamo veramente parlando di un tempo lontanissimo, quando la crosta terrestre era ancora in formazione e le Dolomiti, in particolare, di tanto in tanto tremavano, si sbriciolavano, emergevano dai prati, insomma erano ancora in piena fase di assestamento.
Il gigante anno dopo anno si faceva sempre più vecchio, si sentiva un po’ solo ma, quando arrivava la primavera, i fiori che sbocciavano sui grandi prati del passo lo rendevano così felice da fargli dimenticare la nostalgia che aveva dei suoi compagni. In quei giorni di disgelo, quando le chiazze di neve lasciavano il posto all'erba novella, il gigante si sdraiava a pancia in giù, proprio dove ora c'è la Pista Paradiso e annusava il profumo dei fiori e dei prati, sempre con molta delicatezza perché il suo naso possente avrebbe potuto svellere tutto il prato.
Una notte però, successe qualcosa di terribile e anche lui ebbe paura, paura di perdere i suoi prati, la sua casa fatta di pascoli e boschi. Fu una notte tragica, la montagna si scuoteva, le Pale vibravano come fossero stati fili d'erba, un enorme terremoto minacciava di sbriciolare l'intera montagna che si sarebbe riversata sul Passo. Il gigante si alzò in piedi, doveva agire velocemente, solo la sua forza avrebbe salvato il Rolle. Fu così che si precipitò verso le Pale e si sedette con le spalle appoggiate alla Pala che sembrava più in pericolo. Il terremoto scuoteva la terra la spinta della montagna era immane ma il gigante resisteva e spingeva in senso contrario con tutta la sua forza. La sua grossa testa era appoggiata alla vetta della Pala e le gambe puntavano sui prati dove ora c'è la Baita Segantini, spingeva con le spalle e con le braccia, puntava i piedi e resisteva. Alla fine il terremoto finì, ma la Pala a cui il gigante era come incollato pareva troppo fragile per resistere da sola. Fu così che il gigante decise di rimanere lì, di essere tutt'uno con la montagna: fu l'estremo sacrificio di un'anima buona che offriva la sua vita per salvare i pascoli, i boschi e il paese di Paneveggio.
Il gigante è sempre lì, ha la testa grossa, la pancia e le spalle possenti, se lo si vuole vedere in tutta la sua grandezza conviene andare sulla cresta della Cavallazza che gli sta proprio di fronte, ma anche dal Sentiero dei finanzieri, che è ai suoi piedi, si può vedere l'inconfondibile testone e il naso rivolto verso il Rolle. Non può muoversi, è lì per sempre e al tramonto in settembre quando qualche raro escursionista solleva il naso all'insù e improvvisamente si accorge della sua presenza, lui, che è timido, diventa tutto rosso. La chiamano enrosadira, ancora una volta la memoria va al giardino degli gnomi e non a lui che ha salvato la valle. Ma io sono sicura che quel rossore non è lo stesso che si vede sul Catinaccio, bensì l'espressione dell'estrema timidezza del gigante che si è visto scoperto.
Un'altra cosa è rimasta a ricordo suo, il nome. La montagna si chiama infatti il Cimón della Pala. Molti credono che cimón sia una versione veneto-trentina di cima ma non è vero, è l'unico nome di gigante che sia rimasto nei dintorni. Nessuno si ricorda più di Sassón, Pietrón, Rocción, giganti che emigrarono prima di questi fatti. Solo di Cimón ci ricordiamo forse perché, vergognandoci un po’ dell'insensibilità dei nostri predecessori, cerchiamo di rimediare scrivendo il suo nome nelle carte e nelle cronache delle ascensioni.
Settembre 2002